Riflessioni da New York
1. L'uragano Sandy è stato considerato soprattutto come un sintomo ed un risultato del cambiamento climatico. Lontano dall'essere un fenomeno naturale, questo cambiamento è una questione sociale, politica e culturale: riporta alla qualità delle relazioni sociali nelle quali viviamo, al tipo di politiche con le quali siamo governati e alle forme di vita nelle quali socializziamo. Quando il dato economico costituisce la chiave di spiegazione del sociale, del politico e del culturale, tutto deriva irrimediabilmente dall'economia: anche il cambiamento climatico. Anche se il famoso Rapporto Stern ha rivelato nel 2006 che questo cambiamento provocherà una caduta del PIL mondiale che può arrivare al 20% nei prossimi decenni, l'attuale imposizione dell'austerity e il sequestro dittatoriale della moneta rendono impossibile lo sviluppo degli investimenti necessari per impedire il disastro. Il capitalismo assomiglia sempre più ad un serpente che si morde la coda. Al Gore, paladino della coscientizzazione sul cambiamento climatico, è una buona prova di questo. Lui è padrone di tre ville e vive in una casa con decine di stanze e la piscina privata: si calcola che il modo di vivere della sua famiglia consuma venti volte più energia elettrica che un'abitazione media del suo paese. Anche se gli statunitensi costituiscono meno del 5% della popolazione del pianeta, consumano il 26% dell'energia mondiale. Inoltre generano da soli il 24% del totale delle emissioni di anidride di carbonio che si producono nel mondo. Il Rapporto Stern sottolineava già 6 anni fa, che questo tipo di emissioni stava generando un incremento nella velocità del vento che minacciava di scatenare violenti uragani ed inondazioni negli Stati uniti. Dunque alla fine un serpente che si morde la coda.
2. Sandy ha messo sul tavolo i temi che il tempo elettorale aveva ignorato: tra questi il primo è proprio quello del cambiamento climatico. La recente campagna elettorale si è caratterizzata dai silenzi e dai vuoti generalizzati. La logica elettorale è solita a convertire la politica in retorica vacua o come si dice ora, in un semplice esercizio ideolessicale: mero gioco semantico e costruzione ideologica. Il fatto certo è che nella sua condizione ideolessicale, le elites del mondo si dividono tra quelle che negano il cambiamento climatico e quelle che lo ammettono però si impegnano con tutte le loro forze a che l'umanità non possa combatterlo. Romney fa parte della prima e Obama della seconda. Nel 2009 c'è stato a Copenhagen la XV Conferenza sul cambiamento climatico dell'ONU. Giorni prima Obama aveva firmato un accordo con le autorità cinesi per bloccare la conferenza ed impedire un accordo mondiale vincolante per permettere la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Come sappiamo, il Rapporto Stern ha collegato direttamente queste emissioni agli uragani negli Stati Uniti: qualcuno potrà pensare alla produzione politica di Sandy. Il fatto certo è che nelle recenti elezioni per la Casa Bianca gli statunitensi si sono visti costretti a scegliere tra un politico che nega la realtà ed un altro che si impegna non solo a far sì che questa realtà non cambi ma per certi versi peggiori. Questo sarà il nostro destino fino a quando resteremo stretti nel cerchio concentrico delle elites e di quello che è istituito. Il capitalismo non solo è un serpente che si morde la coda, ma anche un labirinto.
3. La produzione politica delle cause di Sandy è simmetrica alla produzione politica delle conseguenze. Prima di Sandy, New York aveva sofferto dell'intensa gestione neoliberista degli ultimi quattro sindaci. Giuliani e Bloomberg sono risultati particolarmente virulenti in questo senso: le loro politiche municipali hanno eroso considerevolmente le infrastrutture della città, creando un obsolescenza nei trasporti, moltiplicando le infrastrutture e estendendo la povertà. Nel suo libro Shock Economy, Naomi Klein ha definito questa ingegneria socio-economica come "capitalismo del disastro". A New York esisteva già un disastro prima dell'arrivo del disastro: l'abbandono neoliberista delle infrastrutture locali ha favorito non di poco l'invito per Sandy. I più di quaranta morti nella città, la sospensione del trasporto urbano, le case distrutte e la sospensione del servizio elettrico illustrano realmente la materialità di uno shock segnato da nomi e storie vere e reali. Elisabeth, per esempio, vive a Long Island e ha perso il suo yacht. La sua casa lussuosa sulla spiaggia ha avuto danni alla struttura. Ha racconto la sua storia alla catena televisiva Fox. Era profondamente commossa e non poteva smettere di piangere. Maria viene filmata nella trasmissione al canale Univisión a Coney Island. Era molto seria e tranquilla. Così come suo marito, lei è una persona migrante senza documenti. Tutte e due abitano con i loro tre figli in un piano sottointerrato con poca luce e scarsa ventilazione. Mentre Maria raccoglie l'acqua, una reporter cerca senza esito di farle dare una testimonianza. Stanca della giornalista, infine le ha rilasciato questa dichiarazione: "guardi signorina, questa situazione non è di adesso, ci succede ogni volta che piove. Io soffro per Sandy tutta la mia vita".
4. Sandy non solo ha messo in luce a New York l'erosione neoliberale delle infrastrutture, ma anche ha reso evidente l'abbandono delle persone: migliaia di newyorchesii sono ancora senza luce, né acqua, né riscaldamento, né accesso agli alimenti ancora a molti giorni dal passaggio dell'uragano. Poi è successo il miracolo: una marea di gente comune e anonima ha cominciato ad autorganizzarsi per tessere una fitta rete di cooperazione che ha portato migliaia di volontari, acqua, medicine, vestiti e tonnellate di alimenti nelle zone maggiormente colpite. Si tratta di una esperienza veramente bella e profonda spinta da due motori fondamentali. Il primo si basa su un carattere culturale e si connette con il comunitarismo che, a differenza del modello d'intervento europeo, ha caratterizzato la vita urbana nelle grandi città degli Stati Uniti: l'assenza di intervento pubblico ha favorito una cultura della community e dei tessuti locali attivi. E' un fenomeno contraddittorio e complesso del quale ha parlato dieci anni fa il sociologo francese Jacques Donzelot, in un interessantissimo libro che è stato oggetto di una critica spietata da parte della sinistra (Faire société: la politique de la ville aux États-Unis et en France). Il secondo motore della potente esperienza di cooperazione che Sandy ha scatenato ha un carattere politico: Occupy Wall Street. Sono stati gli attivisti quelli che hanno mossi i primi passi, che hanno lanciato l'appello e che hanno organizzato le reti digitali sulle quali si è estesa la materialità dell'esperienza. Occupy Wall Street è ora Occupy Sandy
5. Anche se dai suoi inizi il movimento Occupy ha funzionato come uno spazio di incontro tra differenti, l'egemonia graduale di una componente attivista tradizionale, caricata di gesti e linguaggi che risultano generalmente escludenti, ha sottratto potenza all'esperienza sia svuotandola di persone comuni sia sconnettendola dai registri estetici e formali della sinistra. Lo scorso mese di settembre abbiamo letto il rito della commemorazione dell'occupazione di Zuccotti Park come una scena stessa del decesso irrimediabile della potenza del movimento. Ma ci sbagliavamo, come ci succede la maggior parte delle volte. Sandy ha generato la seconda resurrezione di Occupy. La prima si era prodotta all'inizio, quando la brutalità della polizia colpì a fondo l'opinione pubblica e mobilitò la sensibilità comune di gran parte della città a favore del movimento. La seconda è arrivata con l'uragano che è stata in grado momentaneamente di dislocare la terribile disfunzionalità che ci portiamo dietro in molti che veniamo dall'attivismo tradizionale: quando smettiamo di intendere l'azione politica come il progetto di costruzione di un soggetto e una identità, siamo capaci di articolare il movimento come infrastruttura e agenzia al servizio del comune, dell'intelligenza collettiva e delle forme di soggettivizzazione e di vita in rete. Ed allora torna la gente e il movimento di nuovo è fatto da ognuno e la politica è ancora una volta stare insieme intorno ai problemi che ci riguardano e il senso di questo naviga in una orbita costituente. Quello che abbiamo già conosciuto nella piazza. La politica di cui ha bisogno il presente. Occupy Sandy ha dimostrato che gli amici e le amiche dello spazio Making Worlds avevano ragione quando dicevano a quelli di noi più stanchi che la soluzione non era abbandonare la barca, ma stare, nonostante tutto ed in in qualche modo, nel movimento. Questo è quello che succede ora. Agli stanchi e ai profeti ci tocca ascoltare e imparare, come sempre.