Evo Morales non potrá essere rieletto per un quarto mandato. Con un 51,31% di voti contrari il governo di La Paz esce sconfitto dal referendum sulla riforma costituzionale che avrebbe permesso al presidente Boliviano di presentarsi nuovamente alle elezioni del 2020. Una vittoria dell’opposizione sulla scia della “primavera” neoliberale del Sud America.
di Luca Cafagna
Morales si è presentato questa mattina in conferenza stampa a La Paz, occhi sereni e sorriso tranquillo. “Abbiamo perso una battaglia, non la guerra, la lucha sigue” le sue prime parole. “Il referendum dimostra che la metà del popolo boliviano è con noi, questo è lo zoccolo duro del nostro consenso, da qui dobbiamo ripartire” ha continuato. Al terzo mandato, dopo undici anni di governo che hanno cambiato il volto della Bolivia attraverso massicci investimenti nel settore pubblico e nel welfare, il governo ha giá pronto un piano ulteriore di circa 40 miliardi di dollari. Un investimento in politiche sociali e welfare che però non è bastato ad evitare la sconfitta nel referendum.
Maturato nelle ultime settimane della campagna referendaria, il risultato è figlio anche della “guerra sporca” portata avanti dall'opposizione sui media. Immagini e memes diffusi ad arte sui social network per denunciare i 200 dollari spesi da Morales per un taglio di capelli – notizia rivelatasi infondata – accompagnati dagli attacchi personali allo stesso Morales per una relazione avuta con Gabriela Zapata, imprenditrice e lobbista.
Una campagna denigratoria su cui si stende l’ombra della NED (New Endowment for Democracy), un’agenzia privata statunitense finanziata direttamente dal Congresso che negli ultimi anni avrebbe appoggiato organizzazioni vicine all'opposizione boliviana con almeno 8 milioni di dollari. Scenari inquietanti a cui si aggiungela biografia di Carlos Valverde – il giornalista che ha denunciato la relazione tra la Zapata e Morales – ex paramilitare, capo dell’intelligence boliviana tra l’89 e il ’93, implicato in casi di narcotraffico e ora convertitosi in voce “dura” dell’opposizione al governo del MAS.
Assieme alla campagna mediatica, sul risultato boliviano ha probabilmente pesato lo scandalo che ha colpito il partito di governo Movimiento al Socialismo (MAS) negli scorsi mesi. Arrestati una ex ministra, due senatori e due dirigenti di organizzazioni vicine al governo per essersi appropriati di 6,8 milioni di dollari destinati allo sviluppo di organizzazioni sindacali e campesinas. Il governo ha annunciato la massima durezza nel perseguire la corruzione ma l’impatto sul consenso in alcune aree rurali è considerato molto pesante da alcuni analisti.
Lo stesso Morales ha sottolineato oggi come si sia “pagato il comportamento di alcune nostre amministrazioni locali, per noi il legame coi movimenti sociali e i settori rurali è fondamentale, sono loro che devono determinare le nostre politiche”. Proprio a questi settori si è rivolta sin dal 2006 la politica del governo, che è riuscito a ridurre dal 38,2% al 17,3% il livello di povertà nel paese, e ha conseguito altri risultati importanti dal punto di vista dell’educazione e dell’inclusione sociale. Ma probabilmente servirà anche trovare nuove strade per opporsi al nuovo progetto di egemonia neoliberale latinoamericano. Alle prossime elezioni mancano ancora quattro anni, che in politica sono un tempo enorme per immaginare strategie e linee di azione. Ai movimenti sociali boliviani il compito di trovarle, a partire da quel 48% che ha votato "SI" domenica scorsa
tratto da DinamoPres