Il suo nome è diventato pubblico nel 2012 quando è stato nominato alla guida della commissione che ha condotto la fase esploratoria del processo di pace. Non ha studiato a Cuba né in Unione Sovietica, come si legge in alcune notizie che circolano in rete. Tuttavia, come altri membri delle FARC, è riuscito a frequentare alcuni corsi alla Facoltà di Medicina dell’Università Nazionale.
S.com: L’implementazione dell’accordo di pace è ormai all’angolo. Come vedono le FARC il momento politico che sta vivendo il paese?
MJ: Ci piacerebbe che tutti fossero coinvolti in questo processo. Fino all’ultimo momento abbiamo cercato di coinvolgere il presidente Uribe, invitandolo a parlare con noi. Solo adesso ha lasciato intendere che vuole parlare. Abbiamo detto che non era possible continuare a lasciare che altri facessero politica a nostre spese, è molto complicato. Lo abbiamo invitato quattro volte all’Avana a parlare con noi. Era necessario che Uribe venisse per raggiungere davvero una pace sicura e per questo vogliamo che tutti i settori siano coinvolti, ma loro non hanno voluto.
S.com: Non temete avviare l’implementazione in questa situazione di polarizzazione politica?
MJ: Lo temiamo nel senso che già si vedono conseguenze nelle strade. Sono stati uccisi molti dirigenti. Alla fine, noi siamo soltanto un settore che vuole che le cose avanzino per far prosperare economicamente il paese, in mezzo a tutta questa gente. Vogliamo stare in tutte le attività, politiche, economiche e culturali.
S.com: Però… vi sembra facile?
MJ: Sarà complicato, la gente ha molta paura. Questo paese è stato segnato dal terrore.
S.com: Questa nuova ondata di omicidi, vi ricorda un altro sterminio politico?
MJ: La gente si è cominciata a svegliare in Colombia. Ci sono state molte manifestazioni e molte pressioni sullo Stato. E’ lo Stato che deve fermare questa violenza e far sì che la Colombia effettui un cambio di direzione preciso. Bisogna fermare la violenza, la morte, il terrore.
S.com: Ha partecipato alla fase esploratoria del processo di pace. E’ stato uno di quelli che ha aiutato a organizzare l’agenda che si è negoziata. Pensava che le cose sarebbero andate così?
MJ: Nell'immaginario del compagno Alfonso - che è stato quello che ha cominciato tutto questo processo - sì, era così che doveva andare. Noi abbiamo sempre aspirato alla pace, anche nelle tre volte anteriori in cui ci siamo seduti al tavolo delle trattative.
S.com: In cosa si è vinto e in cosa si è perso?
MJ: In tutto questo processo si è ottenuto molto. Abbiamo parlato con la gente e abbiamo esposto quello che realmente pensiamo. Una parte della popolazione colombiana è stata ricettiva, un’altra è stata preda del terrore. La gente non vede una possibilità reale di arrivare a qualcosa di sicuro, quando continua la violenza. In questi giorni ci sono state manifestazioni di violenza e la gente ci domanda, “e voi come farete? vi uccideranno”.
S.com: E voi che rispondete?
MJ: Non pensiamo che questo succederà perché in ogni caso c’è la popolazione, la resistenza della gente che vuole una Colombia diversa. La gente, in maggioranza, vuole la pace.
S.com: Al teatro Colombo, Timoleon Jiménez ha parlato di “governo di transizione”. A che si riferiva?
MJ: Un governo di transizione sarebbe una via d’uscita. E’ una proposta valida che permetterebbe al paese di ripensare come dare una soluzione e una svolta alla situazione così complessa che abbiamo in Colombia. Se continua il terrore in Colombia non si potrà andare avanti, cambiare pagina. La gente continuerà a essere emarginata. Non c’è stabilità laborale.
S.com: Però in che consiste la proposta? Avete pensato ad alcun candidato che possa guidare la proposta?
MJ: No, non abbiamo pensato a nessuno, per il momento. In Colombia ci sono persone democratiche e pensiamo che potrebbero guidare una proposta come questa. Bisognava fare una proposta al paese. In Colombia che sono molti democratici con aspirazioni reali. Molti dirigenti politici, sociali che hanno capacità e sostegno popolare.
S.com: Potrebbe essere qualcuno della destra? C’è spazio per una apertura politica, qualcuno che già ha fatto carriera e potrebbe coprire questo ruolo?
MJ: Certo, noi siamo aperti al dialogo con tutti. Non chiuderemo la porta a nessuna possibilità. Tutti devono impegnarsi per la pace o questa non sarà possibile. Serve integrazione.
S.com: E dove si colloca in questo panorama l’ex presidente Alvaro Uribe? Vi vedete seduti attorno ad un tavolo con lui?
MJ: E’ possibile, lui deve capire. Sono avvenute tante cose. Anche lui deve riflettere.
S.com: Nel Teatro Colombo avete mandato un segnale a Trump. Temete che compaia il fantasma dell’estradizione?
MJ: Bisogna vedere quello che farà. In campagna elettorale sono state dette molte cose ma adesso che si installa come presidente si percepisce un cambio. Le cose che ha detto in campagna non si sentono con la stessa forza. Bisogna aspettare che si sviluppi l’attività politica per poter dire qualcosa.
S.com: Per il governo il giorno D (implementazione) coincide con la ratifica degli accordi. Anche per voi?
MJ: No, una volta che sia fatta la legge sull’amnistia, perché abbiamo bisogno di garanzie. Se leggiamo l’accordo, quello è ciò che si dice. Si dice che ci deve essere una amnistia generale. Per questo diciamo: bene, con l’amnistia inizia il processo di implementazione. Noi rispetteremo i patti come sempre abbiamo fatto, implementeremo punto per punto l’accordo. Non usciremo dai termini degli accordi. Marulanda diceva che la cosa più importante è la parola data.
S.com: Ci sono alcuni impegni che hanno data, mentre altri solo parole. Non temete che il governo faccia dei trucchi?
MJ: La popolazione è il settore principale per l’implementazione degli accordi. Tanto il Governo come la popolazione e noi stessi sappiamo in che direzione vanno gli accordi. Per questo siamo pienamente convinti che arriveremo a quello che è stato accordato. L’impegno di arrivare alla pace è un impegno collettivo e siamo certi di raggiungerlo. Da parte nostra faremo ogni sforzo.
S.com: Una volta deposte le armi, saranno disponibili 10 seggi nel Congresso. Che direttiva c’è per il resto della guerriglia?
MJ: Noi proponiamo una nuova forma di fare politica. Senza corruzione e senza menzogne dove la gente possa esprimersi, opinare senza timore che le sparino addosso. Una politica dove la gente possa realmente dire quello che pensa. Per questo, la nuova cultura politica che proponiamo sarà condivisa dalla “nostra” gente con la popolazione.
S.com: In questo progetto politico rientrano tutti i membri delle FARC? Quanti di loro sperate di portare con voi?
MJ: La maggioranza. Uno dei processi che faremo in questo momento è quello educativo: chi non ha le elementari, le faccia, la secondaria e poi quello che vorranno fare. Ci sono molti, per esempio, che vogliono essere medici e le università ci hanno offerto aiuto in questo processo, la Distrital, la UIS, la pedagogica e molte altre che credono nella pace. Vogliamo che la nostra gente si educhi, perché un gruppo senza istruzione non ha futuro. Puntiamo sull'istruzione e la formazione e su questo lavoriamo.
S.com: Che succederà il giorno 181, quando tutte le FARC avranno lasciato per sempre le armi?
MJ: A partire da questo momento quando entreremo nel processo di pace sicuro, quando i nostri responsabili saranno identificati con questo processo, non ci sarà nessun trauma. Trauma nel senso che è proprio per questa possibilità che abbiamo lavorato tutta la vita. Mi ricordo ancora le parole dei compagni Jacobo e Manuel che sempre hanno parlato di pace. Nell'immaginario della gente “Jacobo Arenas”, o “Manuel Marulanda” rappresentano la violenza, però queste sono le falsità che si sono collocate in questo immaginario. In questo ha vinto Uribe, in far entrare nella testa della gente una realtà distorta. In questo senso è stato molto abile e ha vinto: ha convinto la gente di cose distorte.
S.com: Però, Boxava, La Chinita, i sequestrati?
MJ: Certo, però quando ci è risultata chiara la situazione politica, anche noi abbiamo fatto le nostre riflessioni e abbiamo fatto i cambi che erano necessari. Per esempio nel tema del sequestro, il compagno Alfonso dopo una indagine nazionale, disse: “Questo è un problema terribile”, credo fosse a ottobre 2011, quando disse che non ci sarebbero state più detenzioni. In questo stesso momento cessò tutto, perché questi sì, siamo una organizzazione che assume e mette in pratica rapidamente le direttive.
S.com: In questa tappa di incertezza è stato con la guerriglia. Qual è l’ambiente?
MJ: I nostri stanno realmente vivendo quello che vivono le altre persone nel paese, hanno aspettative e sperano che ci siano cambi, noi abbiamo la volontà politica. Speriamo che anche la controparte ce l’abbia.
S.com: Però, ci sono state difficoltà quando siete arrivati ai punti di pre-raggruppamento?
MJ: Sì ci sono state difficoltà in questa prima tappa. Il cibo in questo ultimo mese l’ha portato il Governo alle zone o punti di pre-raggruppamento. Tuttavia abbiamo problemi con il cibo che è arrivato deteriorato. E’ importante che comincino a funzionare i meccanismi per dare soluzioni. Ci sono molti problemi di salute. Prima risolvevamo questi problemi con meccanismi nostri. Un problema semplice, come un mal di denti o un problema più complicato diventano difficili da risolvere. Per esempio per poter far uscire un compagno che soffre di appendicite, è un problema, parliamo con il meccanismo regionale che più o meno funziona, però non ha grandi risorse e il meccanismo nazionale anche fa problemi perché dice che è si tratta di meccanismo di sicurezza.
S.com: E quindi?
MJ: Ho partecipato ad una riunione dove abbiamo discusso del problema di salute. Sul posto ci sono molte cose poco chiare, ci sono molti limiti, molte cose che noi diciamo sono inaccettabili. Le liste di problemi non risolvono il problema interno, sono palliativi: un analgesico, un antibiotico, non risolve un problema più complicato.
S.com: Che dite al governo?
MJ: Stiamo risolvendo le cose con il Governo. Per esempio alloggi per noi. Ci volevamo mettere in tende. Ci dicevano, voi che siete così abili, queste tende con un po’ di lavoro… però non funziona così. Anche noi entriamo in una tappa diversa, dobbiamo dare dignità ai nostri guerriglieri. Che collochino dei prefabbricati e almeno così possiamo dare ai nostri l’idea di qualcosa di permanente, che costruiremo qualcosa di permanente.
S.com: Come passano i giorni nella selva, con il cessate il fuoco?
MJ: Il nostro ordine del giorno inizia alle 4 del mattino. Ci alziamo, prendiamo il caffè e cominciano i lavori del giorno. Cominciamo a studiare e a definire come sarà la giornata e ci diamo compiti. Al pomeriggio facciamo il punto di come è andata e dei problemi che abbiamo avuto. C’è un momento militare dove facciamo una relazione di ciò che è accaduto.
S.com: Come state gestendo il tema della dissidenza del Primo Fronte?
MJ: Il problema del Primo Fronte è che ci sono stati 80-100 compagni che sono usciti dall'organizzazione. Crediamo che alcuni stiano lì per forza, visto che non c’è stato un momento per prendere decisioni. Sono stati cooptati da altre persone. La reazione fu creare il Primer Frente. Lì abbiamo un comandante, il compagno Gentil Duarte.
S.com: Chi c’è alla testa della dissidenza? Temete che si replichi?
MJ: Un personaggio che chiamano Ivan Mordisco. Tutti sanno chi è. Noi internamente abbiamo già gestito la situazione. Non si ripeterà, abbiamo già definito quello che si farà in questo periodo.
S.com: A che punto è il tema dei minori nelle fila delle FARC?
MJ: Avevamo una regola che permetteva l’ingresso nelle FARC a chi aveva tra i 15 e i 30 anni. L’abbiamo rispettata fino a che ci siamo riuniti con il Governo e abbiamo deciso di cambiare questa età. A partire da quel momento abbiamo detto: “Abbiamo compagni che sono entrati quando avevano 14 o 15 anni. Questo è in violazione della nostra regola”. Alcuni sono già usciti. E’ difficile dire che abbiamo altri bambini nelle nostre fila.
S.com: E i temi della restituzione e delle mine?
MJ: Questo è un processo che si sta portando avanti e si sono compiuti impegni in questo senso. Per esempio nel fronte Yari abbiamo eliminato esplosivo con il Governo e la partecipazione dell’Onu. Noi stiamo rispettando i patti.
S.com: Uribe annuncia un referendum. Temete che possa far cadere l’accordo di pace? Sentite che c’è sicurezza legale?
MJ: La domanda è in che punto è vulnerabile. Ai guerriglieri abbiamo detto: “aspettiamo di vedere quale sarà l’orientamento ufficiale”. Quali sono stati i cambi che dicono aver cambiato l’accordo iniziale?