di Rebecca Rovoletto·- 1° maggio 2018
Mi sento al sicuro nel taxi di Gonzalo, posso abbandonare l’allerta
del viaggio, la fatica della sua preparazione, i perché ho risposto a un
invito arrivato da così lontano. Ora sono qui. Dal finestrino mi
incanta una luna storta: sta calando all’ingiù, gobba a terra e sorriso
al cielo. Del resto, qui anche i perché usano un punto interrogativo
sottosopra, messo lì prima ancora di formulare la domanda. Mi appendo a
quel glifo e prende corpo la que sabe, colei che sa: dondola, donna, fiuta, accendi i pori.
All’inizio dell’anno, l’EZLN lancia una convocatoria, una chiamata. Dall’avvio della Otra Campaña gli zapatisti hanno creato molte aperture internazionali e i loro inviti sono stati sempre più frequenti: l’Escuelita, il CompArte, il ConCiencias por la Humanidad.
Artisti, intellettuali, scienziati, rappresentanti della società civile
e militanti hanno risposto alle loro iniziative, per discutere
orizzonti.
Questa convocatoria è però diversa dal solito. È concepita
femmina, voluta e organizzata dalle donne zapatiste per le donne di
tutto il mondo. Gli uomini non sono invitati, non importa se buoni o
cattivi. C’è bisogno di un momento solo per noi, lontano dalle critiche o
dalle compiacenze di uno sguardo maschile. Libere di essere ciò che
siamo e di fare ciò che amiamo fare, nel nostro modo personale di
divaricare crepe nei muri del sistema capitalista e patriarcale. “…in
tutto il mondo ci assassinano. E agli assassini che sempre sono sistema
con volto da maschio non importa nulla se siamo ammazzate. Quindi, se
sei una donna che lotta, che non è d’accordo con quello che ci fanno
come donne che siamo, se non hai paura, se hai paura ma la controlli, ti
invitiamo a incontrarci e parlarci e ascoltarci come donne che siamo.” Ci chiedono di portare lì, al Caracol
IV di Morelia nel sudest messicano, tutto quello che desideriamo
condividere come donne impegnate sui più diversi fronti dell’attivismo
sociale e politico per la difesa della natura, delle risorse primarie,
dei diritti inalienabili, delle minoranze, delle culture originarie,
della vita. E siccome il mondo va descritto nella sua complessità, senza
lesinare parole, lo titolano Primo Incontro Internazionale Politico, Artistico, Sportivo e Culturale delle Donne che Lottano.
Nello zapatismo vivente nel Chiapas niente di ciò che credi logico o
scontato è così. Puoi avvicinarti solo se ti asterrai dal comprimerlo
dentro cornici codificate. Perché questi indios contadini ne sanno
sempre una più di te e ti ribaltano come quel punto interrogativo. E
quando ti chiedono di guardare e ascoltare ti stanno dicendo di cavare
via le croste al cervello, di esporre la polpa. E devi anche sapere che
solo la millesima parte di ciò che assaggerai potrà essere raccontata,
perché senza anime eccitate dai corpi non si comprendono diversità,
linguaggi, figurazioni.
Dalle mail organizzative dell’equipe de apojo so che si
stanno registrando adesioni da ogni parte del globo, tanto che devono
metterle in fila alfabetica: Andorra, Argentina, Australia, Bolivia,
Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Danimarca, Ecuador,
El Salvador, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Guatemala, Honduras,
Inghilterra, Italia, Nazione Mapuche, Nazione Cree e Ojibwa, Nazione
Navajo, Nicaragua, Paesi Baschi, Paraguay, Perù, Porto Rico, Repubblica
Dominicana, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Tanzania, Uruguay,
Venezuela e 27 stati del Messico. Parlano di oltre seicento richieste di
partecipazione attiva e ci anticipano alcuni dei temi e delle proposte
che sono arrivate: 202, un’enormità.
Il 7 marzo mi sveglia il caffè a San Cristòbal, tra le montagne della Sierra Madre a 2.200 metri, nella casa azùl di Francesca, Fabio e la piccola Emma. Si parte dal CIDECI alle 13:30, ora zapatista, dentro un Lacandonia Tour, un camiòn
blu che viaggia a passo d’uomo. Dicono che la nostra destinazione
finale dista circa duecento chilometri zapatisti, in direzione circa
Palènque. Fuori boschi di conifere e qualche ragazzino scalzo che corre a
salutare con la mano. A bordo spiccano in risate quattro italiane,
delle pochissime che troverò all’incontro. Da questo momento Rosella,
Serena, Daniela e Nancy saranno le mie compagne di pannocchie bollite e tamales,
di discussioni e stupore. Ma nello zaino ci ho ficcato strette un bel
po’ di altre amiche, Arianna, Teresa, Desi, Lisa, Marina, Moira e poi
Elena, Giulia, Laura… mi si attacca ai vestiti anche Raffaella. Quale
magico filo di ragno ti ha portata a seguirmi qui, Raffaella?
Attraversiamo la regione detta “tzotz-choj” (pipistrello-giaguaro),
abitata dai popoli maya tzeltal, tzotzil e tojolabales, tra i principali
partecipanti alla sollevazione in armi del ‘94.
Come molte altre in
Chiapas e in Messico, questa zona è stata ed è teatro di lotte contadine
per preservare terra, diritti e culture native. Quella zapatista ha
preso la forma dei governi autonomi (Municipi e JBG, Giunte di Buon
Governo) nella cui costruzione e partecipazione l’apporto delle donne
continua ad essere cruciale.
E cruciale, qui, è anche la poesia che impregna ogni cosa, il nucleo profondo di questi popoli. Caracol IV, Torbellino de Nuestra Palabra – Turbine della Nostra Parola – quartier generale della JBG Corazón del Arcoiris de la Esperanza – Cuore dell’Arcobaleno della Speranza. È qui che approda, dopo sette ore di buche e dossi, il nostro eroico Lacandonia Tour. BIENVENIDAS MUJERES DEL MUNDO
Il piazzale sterrato è un girone di zaini, borse, sporte, fagotti,
trolley e, attaccato a ciascun bagaglio, c’è una donna da sola, con le
amiche, con le altre donne della famiglia, con un bimbo al collo e uno
per mano, con l’anziana nonna che si aiuta con un carrellino, con la
fidanzata, con le compagne di collettivo. Di ogni età, colore, etnia,
nazionalità, lingua, dialetto. Dappertutto piccole donne col
passamontagna ci circondano: le nostre ospiti, le donne zapatiste dei
Cinque Caracoles. A vigilare e coordinare le miliziane in divisa
dell’EZLN “custodi dell’autonomia e di madre terra”. Cosa avranno
provato nel vederci arrivare? Nel vedere che quel loro progetto sognato,
discusso e organizzato da sole in un buco di mondo è lì sotto ai loro
occhi gentili, vero e vociante, ed è enorme? “Perché è dura quando
ci dicono che ne arrivano cinquecento ma che si è perso uno zero per
strada e ne arrivano cinquemila e più” **
Despierta, mujeres del mundo. Buenas dìas. 8 marzo 2018 ore
5:52. Due accordi di chitarra nel primo accenno d’alba chiamano le
donne. È l’inizio di ciò che non ti aspetti, che ti sguscia fuori dal
sacco a pelo e ti sguscia dal mondo che hai vissuto sinora per
incontrarne moltitudini. Ma non sono mondi altri, ce li hai tutti dentro
e mai come ora ti sei sentita così profondamente a casa. Buongiorno
alba del giorno che è il giorno. Buongiorno angolo sperduto di terra che
hai fatto fiorire tutto questo.
Il primo è il giorno delle donne zapatiste. Si presentano come donne
combattenti nella difficile quotidianità di chi ha scelto di vivere la
libertà, di realizzare l’autonomia, di imprimere una trasformazione
sociale e politica che non ha eguali. Ci regalano la genealogia della
loro lotta, il loro sguardo sul mondo e la loro visione di ciò che sarà.
Una narrazione fatta di letture, poesie corali, opere teatrali, tornei
sportivi, coreografie, musica e canti e danze. Ma si raccontano anche
standoci intorno, cucinando per noi, proteggendoci e prendendosi cura di
ogni cosa. I loro occhi ci parlano di grazia dal passamontagna, i loro
gesti tranquilli e sicuri ci danno il passo e la misura di un tempo
umanissimo. La loro attenzione, ironica e curiosa, ci insegna
l’accoglienza e l’affettività. Finalmente ti conosco di persona, Difesa
Zapatista, piccola e tenace bambina che ogni giorno giochi la difficile
partita che ti vede a sera ancora viva e libera.
Con questo loro primo giorno imprimono il senso tangibile del
sentimento collettivo dell’essere comunità. Lorena, la sciamana maya, ha
predisposto un cerchio di fuoco. È un battesimo. Le parole di apertura
ci fondono, spazzano via i nostri brillanti ego e inutili dispute,
diventiamo un chingo. “E vediamo, ad esempio quegli alberi
laggiù che voi chiamate ‘foresta’ e noi chiamiamo ‘montagna’. E sappiamo
che in quella foresta, in quella montagna, ci sono molti alberi
diversi. Bene, siamo qui come una foresta o come un monte. Siamo tutte
donne… una foresta di donne. Possiamo scegliere cosa fare durante questo
incontro. Possiamo scegliere di fare a gara… o possiamo parlare e
ascoltare con rispetto. Possiamo fare a gara tra di noi e alla fine,
quando torneremo ai nostri mondi, scoprire che nessuna ha vinto, oppure
decidiamo di combattere insieme, ciascuna con le proprie differenze. Qui
siete tutte benvenute e vi ascolteremo, guarderemo e parleremo con
rispetto, compagne e sorelle, noi non giudichiamo nessuno” *
Tutte, senza pudore e tabù, senza dogmi e pregiudizi, ci sentiamo
libere di sdoganare quella sensazione inconfondibile di sacra
selvatichezza che ci reintegra nella nostra identità umana e femminile.
Sì, si è prodotta una magia, una magia pienamente politica, inutile
cercare di parafrasare. Tutte quante, occidentali o indigene, di
campagna o di città, femministe o meno, intellettuali, fotografe,
attiviste politiche e sociali, sciamane, cantadoras,
simpatizzanti per qualche partito, suonatrici di tamburi, giornaliste,
lesbiche e transgender, danzatrici, esponenti di associazioni e
movimenti, artigiane… tutte tocchiamo qualcosa cui dopo due mesi ancora
fatichiamo a dare pressappoco un nome, perché dobbiamo inventarcelo un
nome per qualcosa che nessuna di noi ha mai visto. Una politica
‘salvatica’.
Escono i tabelloni coi programmi di venerdì e sabato, organizzati in mesas, plàticas e talleres ma
anche laboratori improvvisati, mostre ed esposizioni, installazioni,
attività di ogni natura brulicanti in ogni anfratto. Lingue ancestrali
si rincorrono tra le tende, pentoloni fumano di continuo, musica
dappertutto. Se con le prime luci dell’alba ci rendiamo conto di quante
siamo, alla fine un totale che sfiora le diecimila donne, con i
tabelloni capiamo chi siamo e che siamo tutte qui, con tutti i nostri
femminili e femminismi, todas aquì estamos. Torbellino de nuestra palabra.
Il turbine delle nostre parole di donne irrompe per tre giorni eterni
in mezzo alla Selva. Parole solo in parte verbali. Il femminile, quando
ritrova integrità, parla col corpo, con le ovaie, con gli occhi, con
modulazioni liquide, con flussi di braccia, con ritmi vascolari. Con
questi suoi strumenti naturali il femminile parla di politica. Ne parla e
la fa, la politica, cuocendo e nutrendo pensieri, idee, iniziative,
azioni poderose.
Giro, ascolto, guardo, partecipo e mi rendo conto che quando, nel mio intervento, dentro un comedor
incandescente, ho parlato della colonizzazione dei territori ad opera
dei megaprogetti e della colonizzazione della psiche femminile che si
infiltra nei movimenti, non ho detto nulla di strano. Ovunque sento
rimbalzare la mia stessa riflessione: la monocultura patriarcale ha
desertificato ampi territori della psiche femminile, una sorta di
land-grabbing ci riduce a pensare, sentire, agire nelle lotte, come
donne, secondo quello stesso modello che vogliamo contrastare. Ma qui
non sta succedendo. Quel marchio che le zapatiste ci hanno impresso
diventa un antidoto e sperimentiamo come si può stare tra di noi facendo
politica in modo nuovo, caldo.
Cerchi nascono e respirano con le madri dei 43 studenti di Ayotzinapa
spariti tre anni e mezzo fa. Spirali di gonne abbracciano le parole
delle migranti transfrontaliere. Danze sincroniche circondano le storie
di donne vittime di stupro. Mani a farfalla sui racconti di lotta dei
popoli Mapuche. Fili di lana intessono le persecuzioni delle curanderas guatemalteche.
Una Batucada
colombiana ritma le segregazioni razziste nei popoli nativi e
afro-latinoamericani. Corse di bimbi intersecano il dramma della
Palestina. L’aroma di cannella accompagna il saccheggio dei territori. Rebozos
sgargianti e muti sul videomessaggio dal Rojava. Sincretismi in cui
grazia, anima, cura, spiritualità si fanno strumenti di politica viva.
Non c’è frontiera tra uno spazio interiore e uno esterno, tra uno spazio
personale e uno politico, tra umanità e natura, tra intelletto e corpo.
Tutto co-è, tutto è necessario che sia.
Dal palco cambia la musica. Tolgono l’elettricità, si fa buio pesto e duemila candele zapatiste vengono accese: “Questa
piccola luce è per te. Prendila, sorella e compagna. Quando ti senti
sola. Quando hai paura. Quando senti che la lotta è molto dura, o che lo
è la vita, riportala al tuo cuore, ai tuoi pensieri, alle tue viscere. E
non la cedere, compagna e sorella. Portala alle scomparse, alle
assassinate, alle detenute, alle violentate, alle picchiate, alle
molestate, alle violate in tutti i modi, alle migranti, alle sfruttate,
alle morte. Prendila e dì a ciascuna di loro che non è sola, che
combatterai per lei… Prendila e trasformala in rabbia, in coraggio, in
fermezza. Prendila e unisciti ad altre luci. Prendila e, forse, poi ti
verrà da pensare che non ci sarà né verità, né giustizia, né libertà nel
sistema capitalista patriarcale. Allora forse ci rivedremo per dare
fuoco al sistema. E diremo: ‘Bene, ora sì cominciamo a costruire il
mondo che meritiamo e che necessitiamo’. Perché quello di cui c’è
bisogno è che mai più nessuna donna al mondo, di qualsiasi colore sia,
peso, età, lingua, cultura, abbia paura.” ** Todas aquì estamos.
*dal discorso di apertura, 8 marzo 2018, Capitana Insurgente Erika
**dal discorso di chiusura, 10 marzo 2018, Compa Alejandra
Foto di Maria M. Caire
tratto da Comitato Chiapas Maribel
Più di 500, 40, 30, 20, 10 anni dopo
ALLERTA ROSSA E CHIUSURA CARACOLES
BOICOTTA TURCHIA
Viva EZLN
Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
La lucha sigue!