giovedì 15 ottobre 2009

La rivoluzione verde? E' made in China

La sporca realtà dietro al big business dell`energia pulita

Il diario di bordo di Paolo Do - Hong Kong (Cina)

Circa un mese fa un sorridente Tony Blair e la star cinese Jet Li hanno annunciato, da un remoto villaggio cinese nella provincia di Guizhou in Cina, l`ambizioso progetto di portare a breve energia solare in circa 400 poveri villaggi cinesi. Tony Blair a parte, lo scorso anno la Repubblica Popolare si è imposta come il primo esportatore mondiale di pannelli fotovoltaici, sorpassando addirittura Germania e Giappone in questo settore dell`export.

Ma lo sapevate che per la produzione di un pannello solare di un metro quadro in Cina si consumano non meno di 40kg di carbone? Direte che non sono poi molti 40kg. Ma anche la meno efficiente centrale elettrica a carbone cinese con questo consumo potrebbe generare abbastanza energia per mantenere una lampada di 22 watt accesa per 12 ore al giorno per 30 anni contro i soli 20 anni stimati di un pannello solare.

Per non parlare della produzione di silicio policristallino, vero core del funzionamento fotovoltaico di ultima generazione. Dietro la rivoluzione verde si nasconde qualcosa di molto sporco, come la lavorazione di questo metallo che l`Occidente, non a caso, ha quasi interamente delocalizzato proprio in Cina. Mentre i paesi occidentali si facevano promotori della rivoluzione verde, qualche tempo fa forti proteste hanno scosso la produzione di pannelli solari della Huafu Silicon Company nella provincia di Fujian, colpevole di aver inquinato acqua e aria di una intera città a causa proprio della lavorazione del silicio policristallino.

Il ‘China people’s daily’ la scorsa settimana ha pubblicato un articolo che raccontava del progetto di installazione del più grande impianto di energia solare dell`Asia, nella provincia dello Yunnan. Esso avrà una capacità di 166 megawatt. Se sono necessarie 2 tonnellate di carbone per produrre un pannello solare da 1 kilowatt, quale sarà il consumo di tale fossile del nuovo impianto verde?

mercoledì 14 ottobre 2009

Gli zapatisti passati di moda? Qui forse. Nel Chiapas no


Riportiamo l'intervista di Geraldina Colotti a Hermann Bellinghauser uscita sul Manifesto del 13 ottobre.
Ricordiamo che "Corazon del Tiempo" sarà in programmazione al Cinema Modernissimo di Napoli dal 31 ottobre
.

Gli zapatisti sono passati di moda, come titola un articolo di Le Monde diplomatique/ilmanifesto, in uscita il prossimo 15 ottobre?

Hermann Bellinghausen, intellettuale messicano e corrispondente dal Chiapas per La Jornada, sorride: «Anche se il governo non lo ammette - dice -, il Messico è un paese al collasso, bloccato, in preda alla paura. In un contesto simile, il progetto zapatista, che esiste da 15 anni e resiste a una brutale repressione, è un messaggio di speranza. Nella sostanza, lo zapatismo non è in crisi».

Hermann è stato in Italia per presentare Corazón del tiempo, il primo film interpretato e prodotto dagli indigeni del Chiapas, di cui ha scritto la sceneggiatura. Un film girato da Alberto Cortes fra le montagne del sud-est messicano, dove ha preso forma l'«auto-governo» dell'Ezln, insorto l'1 gennaio del '94. Quindici anni di riscossa indigena, la riforma istituzionale prevista dagli accordi di Sant Andres con il governo ('96) sempre disattesa e poi snaturata dalla «legge indigena» (2001). Da allora l'Ezln ha rinunciato alla via politica istituzionale e spostato l'accento dal globale al locale.

In uno dei municipi autonomi della Realidad, nella selva Lacandona, assediato dai soldati e dai para-militari, è stato girato il film. Racconta, a tinte ironiche e favolistiche, una storia poetico-didascalica in cui è protagonista anche la natura. «E' una storia d'amore - spiega Bellinghausen -, la storia di una famiglia contadina e del suo rapporto con l'Ezln. Mette insieme fatti reali per parlare dei temi caldi del Chiapas: la lotta per il possesso delle risorse storiche come mais e acqua, per il recupero e il mantenimento delle terre, contro la militarizzazione del territorio».
Lui, Miguel, è un dirigente giovanile della comunità. Lei, Sonia, che vorrebbe diventare insegnante, mal sopporta il peso di tradizioni ormai obsolete nel percorso di emancipazione compiuto dalle comunità. Ora le zapatiste hanno imposto agli uomini l'applicazione della «ley seca», la legge che, dal '93, vietando il consumo di alcolici nelle comunità, ha drasticamente diminuito il tasso di alcolismo e le violenze domestiche. Ora le indigene dirigono i municipi o i reparti dell'Ezln, e fanno muro col proprio corpo alle incursioni dei para-militari: «Il governo messicano di ultra-destra - ricorda Hermann - ha scelto la tattica del logoramento, con l'arrivo di Obama, ha diminuito la pressione ma non la svendita del paese».

«La gestazione del film - spiega - è durata 8 anni. Abbiamo iniziato durante l'ultima fase del governo Zedillo, non c'erano ancora i municipi autonomi, gli zapatisti erano clandestini e per decidere secondo i criteri delle comunità si è andati a rilento. Poi, come spesso avviene nella concezione del tempo circolare degli indigeni, tutto quel che sembrava un problema si è rivelato la soluzione. All'inizio pensavamo di poter usare sia attori professionisti che indigeni, poi si è deciso di far recitare solo gli indigeni, e di formarli. Il regista ha mostrato loro film di Charlie Chaplin e molte pellicole hollywoodiane perché entrassero nel gioco della rappresentazione. Mentre aspettavamo le autorizzazioni della giunta di buon governo, abbiamo cercato i fondi per produrre il film. Alla fine, però, la regione autonoma della Realidad ha deciso di co-produrre il film. Allora, la storia del film e il progetto zapatista sono diventati la stessa cosa».

Così, alla fine del 2007, tutto si mette in moto come in un qualunque altro film e il lavoro si conclude in 6 settimane. La prima proiezione, si svolge nel 2008, davanti a un pubblico di 1.500 zapatisti.
«Poi - dice Hermann - c'è voluto un anno per vincere la resistenza delle catene di distribuzione messicane, ma nell'agosto 2009 il film è uscito in 14 sale del Messico per 6 settimane di seguito: un'anomalia, visto i contenuti del film e il contesto messicano.

Evidentemente, chi l'ha visto ha colto il messaggio di speranza del film: gli zapatisti dimostrano che chi fa le cose ottiene dei risultati».
«La forza degli zapatisti - conclude - è la loro autosufficienza. In 15 anni, ha dimostrato che gli indigeni sono padroni del loro destino".

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!