Il diario di bordo di Paolo Do - Hong Kong (Cina)
Circa un mese fa un sorridente Tony Blair e la star cinese Jet Li hanno annunciato, da un remoto villaggio cinese nella provincia di Guizhou in Cina, l`ambizioso progetto di portare a breve energia solare in circa 400 poveri villaggi cinesi. Tony Blair a parte, lo scorso anno la Repubblica Popolare si è imposta come il primo esportatore mondiale di pannelli fotovoltaici, sorpassando addirittura Germania e Giappone in questo settore dell`export.
Ma lo sapevate che per la produzione di un pannello solare di un metro quadro in Cina si consumano non meno di 40kg di carbone? Direte che non sono poi molti 40kg. Ma anche la meno efficiente centrale elettrica a carbone cinese con questo consumo potrebbe generare abbastanza energia per mantenere una lampada di 22 watt accesa per 12 ore al giorno per 30 anni contro i soli 20 anni stimati di un pannello solare.
Per non parlare della produzione di silicio policristallino, vero core del funzionamento fotovoltaico di ultima generazione. Dietro la rivoluzione verde si nasconde qualcosa di molto sporco, come la lavorazione di questo metallo che l`Occidente, non a caso, ha quasi interamente delocalizzato proprio in Cina. Mentre i paesi occidentali si facevano promotori della rivoluzione verde, qualche tempo fa forti proteste hanno scosso la produzione di pannelli solari della Huafu Silicon Company nella provincia di Fujian, colpevole di aver inquinato acqua e aria di una intera città a causa proprio della lavorazione del silicio policristallino.
Il ‘China people’s daily’ la scorsa settimana ha pubblicato un articolo che raccontava del progetto di installazione del più grande impianto di energia solare dell`Asia, nella provincia dello Yunnan. Esso avrà una capacità di 166 megawatt. Se sono necessarie 2 tonnellate di carbone per produrre un pannello solare da 1 kilowatt, quale sarà il consumo di tale fossile del nuovo impianto verde?