sabato 12 marzo 2016

Honduras - Mail da inviare alle ambasciate

Inviamo alle rappresentanze in Italia del governo messicano la preoccupazione e la richiesta di protezione per l’attivista Gustavo Castro, unico testimone dell’omicidio di Berta Caceres, al quale le autorità dell’Honduras hanno impedito di lasciare il paese. Qui, di seguito, la mail da inviare ai seguenti indirizzi: 
correo@emexitalia.it
seccion.consular@emexitalia.it
info@consuladohondurasroma.it


ALERTA: seguridad para Gustavo Castro!
Ocho dias después del asesinado de Berta Cacéres, el ciudadano méxicano Gustavo Castro Soto -que es el unico testigo del delito- sigue en la embajada de México en Honduras. 
A pesar de las medidas cautelares dictadas por la CIDH (“en consideración la información presentada que indica que el señor Gustavo Castro ha decidido salir del país para salvaguardar su seguridad, la CIDH considera necesario que el Estado tome todas las medidas necesarias para asegurar su seguridad durante todo el proceso para preparar y completar su salida”), el y la organización Otros Mundos Chiapas -que fundó y de la cual es director- se encuentran muy preocupados porqué el Gobierno de Honduras pide al Gobierno mexicano de dejarles bajo su “control” Gustavo. 
Desde la embajada mexicana Gustavo nos envió este mensaje:
“He colaborado en todas las diligencias y estoy dispuesto ha seguirlo haciendo en el marco de la ley Honduras. Quiero pero permanecer en la embajada porqué temo por mi seguridad”.
Pido el gobierno méxicano que asegure la incolumidad del ciudadano méxicano y defensor de los derechos humanos y medioambientales Gustavo Castro, y que favorezca su pronto regreso a México.

martedì 8 marzo 2016

Honduras - Omicidio Berta Cacéres: anche il testimone è a rischio

Gustavo Castro Soto, attivista messicano, fondatore e direttore della ong Otros Mundos Chiapas, si trovava nella casa della donna quando è stata uccisa.

di Luca Martinelli 



Domenica 6 marzo, intorno alle 5 del mattino, il governo honduregno ha impedito a Gustavo Castro Soto, cittadino messicano, attivista da oltre vent'anni impegnato nei movimenti sociali centro americani, di lasciare il Paese. Nella notte tra mercoledì e giovedì scorso, Castro si trovava nella casa di Berta Cacéres, ed è stato ferito dalle stesse persone che hanno ucciso l'ambientalista honduregna appartenente al popolo Lenca, Goldman Prize 2015. 
L'uomo è stato fermato all'interno dell'aeroporto di Tegucigalpa, la capitale del Paese, dove il coordinatore dell'associazione Otros Mundos Chiapas, partner del COPINH (Consejo Civico de Organizaciones Populares e Indigenas de Honduras), la ong diretta da Berta Cacéres, era arrivato scortato dai massimi rappresentanti del governo messicano nel Paese centroamericano, l'ambasciatrice e il console. Castro si trovava a La Esperanza per partecipare ad un incontro sulle energie rinnovabili, nell'ambito di progetti di scambio che lo legano alle attività del COPINH
 dai primi anni Duemila.
 
Attualmente, Castro - contro il quale sono stati esplosi due colpi di arma da fuoco dagli assassini di Berta Cacéres, e che risulta ferito a una mano e ad un orecchio - è protetto all'interno dell'ambasciata messicana, dove sta ricevendo anche assistenza psicologica. 

Fonti vicine alla famiglia Cacéres, spiegano che "viene trattenuto perché vorrebbero usarlo per manipolare supposte "contraddizioni" con altre versioni dei fatti". Secondo la denuncia di Otros Mundos Chiapas, il governo honduregno e i pubblici ministeri che stanno indagando sull'accaduto non avrebbero però spiegato ufficialmente per quale motivo il cittadino messicano sia trattenuto nel Paese. Numerosi reti ed organizzazione della società civile centro americana esigono che Castro possa
 al più presto abbandonare il Paese.


domenica 6 marzo 2016

Honduras - Comunicato delle figlie, del figlio e della madre di Berta Caceres

Davanti al letto della nostra Bertha, nostra madre, nostra figlia, nostra guida.

Le sue figlie Olivia, Bertha e Laura, il figlio Salvador, sua madre Bertha Austra, accompagnati dai nostri famigliari, amiche e amici, noi vogliamo rendere pubblici i nostri pensieri in questo momento di profonda costernazione.

La nostra Bertha è la maggiore delle nostre ispirazioni, per questo sentiamo il bisogno di far conoscere la verità sulla sua vita e sulla sua lotta.

In questa circostanza vogliamo ringraziare prima tutta la solidarietà nazionale e internazionale che ci accompagna.

Siamo grati per il sostegno al popolo Lenca, a cui ha dedicato la maggior parte della sua resistenza. Al popolo Garifuna con cui si sono condivise fraternamente lotte e utopie. A tutte le organizzazioni e movimenti sociali in Honduras, America Latina e nel mondo, che hanno condiviso il nostro dolore. Siamo grati per tutte le immense dimostrazioni di affetto e condoglianza che il popolo honduregno ha offerto, che dimostrano che la sua lotta è una degna lotta dei popoli e di cui il mondo ha bisogno.

Non si può distorcere la verità sul crimine che ha concluso la sua vita. Sappiamo con chiarezza certa che le ragioni del suo vile assassinio sono state la sua resistenza e la lotta contro lo sfruttamento dei beni comuni della natura e in difesa del popolo Lenca. Il suo omicidio è un tentativo di porre fine alla lotta del popolo Lenca contro ogni forma di sfruttamento e di saccheggio. Un tentativo di interrompere la costruzione di un nuovo mondo.

Le circostanze della sua morte si collocano nel mezzo della lotta del popolo Lenca contro l'installazione del progetto idroelettrico Agua Zarca sul fiume Gualcarque. Chiediamo che siano chiarite le responsabilità della Impresa DESA che sta sviluppando il progetto. Noi riteniamo responsabile la Impresa DESA, come anche le istituzioni finanziarie internazionali che sostengono il progetto, la Banca olandese FMO, lo Fondo Finn, BCIE, Ficohsa e le imprese impegnate CASTOR, il Gruppo imprenditoriale ATALA, della persecuzione, criminalizzazione, stigmatizzazione, delle continue minacce di morte contro la sua persona, la nostra e il COPINH.

Noi riteniamo responsabile lo Stato honduregno di aver in gran misura ostacolato la protezione della nostra Bertha, e di aver propiziato la persecuzione, criminalizzazione e l'omicidio. Avendo scelto di tutelare gli interessi delle imprese rispetto alle decisioni e ai mandati delle comunità.

Honduras - Hanno ucciso uno spirito indomito

Bertha Cáceres lascia in eredità l’impegno deciso e inflessibile a favore dei diritti ancestrali delle popolazioni indigene
“Per tutta la vita sono stata cosciente di quello che mi può succedere continuando con questa lotta, così come sono cosciente che stiamo lottando contro un potere oligarchico, bancario, finanziario e internazionale, oltre che contro lo stesso Stato honduregno e i suoi organi repressivi, che storicamente si sono piegati agli interessi delle grandi imprese multinazionali. Non mi piegheranno!” (Bertha Cáceres, giugno 2013).

Así estamos
consternados
rabiosos
aunque esta muerte sea
uno de los absurdos previsibles…

                                                                                                                   Mario Benedetti


Nemmeno ricordo quante volte ho intervistato Bertha Cáceres, Bertita come la chiamavamo. E non è facile riassumere una vita di lotta, di impegno inflessibile, in un articolo.Ancor di più dopo poche ore dall'essere stato travolto da una valanga di messaggi, telefonate, comunicati stampa, che mi avvisavano che Bertha fisicamente non è più qui con noi; che Bertha è stata vigliaccamente assassinata all'alba di questo 3 marzo mentre riposava nel suo letto, dopo l’inaugurazione del Foro sulle energie alternative dalla prospettiva delle popolazioni indigene.

Di lei possiamo dire che era la coordinatrice e storica militante del Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras, Copinh, e che ha difeso, fino alla fine, i diritti ancestrali del popolo nativo Lenca di fronte agli assalti di un modello patriarcale, di sfruttamento e di monopolio delle risorse naturali.
Per questa lotta è stata ripetutamente minacciata, perseguitata, processata, incarcerata e repressa. Non ho nessuno dubbio che per questa stessa lotta sia stata assassinata, né che si tratti di un crimine fortemente e profondamente politico.
La prolungata lotta nella zona di Río Blanco contro il progetto idroelettrico Agua Zarca, promosso dall'impresa di capitale honduregno Desarrollos Energéticos S.A. de C.V. (DESA) e finanziato da istituzioni finanziarie europee e imprese di costruzione cinesi, ha fatto il giro del mondo.
Per questo, lo scorso 20 aprile, Bertha ha ricevuto il Premio Goldman 2015 per l’ambiente, il più alto riconoscimento al mondo per gli attivisti ambientali di base. Lo aveva dedicato al popolo Lenca, al Copinh, al suo coraggio e alla sua storica resistenza.

Honduras - Giustizia per Berta Cáceres!

Profonda indignazione internazionale per l’omicidio della leader indigena Berta Cáceres in Honduras

4 marzo 2016, Pianeta Terra

Berta Cáceres, leader indigena, rappresentante da oltre vent'anni del Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras (COPINH), è stata assassinata all'alba di giovedì 3 marzo mentre dormiva nella sua casa di La Esperanza, Intibucá, a circa 188 km da Tegucigalpa, per mano di uomini armati “sconosciuti”.

Oltre ad essere stata una ferrea patrocinatrice dei diritti del movimento campesino e indigeno honduregno, Berta Cáceres, è stato un’attivista sociale rilevante e fonte di ispirazione, a livello regionale e continentale, a difesa della giustizia sociale ed ambientale, in particolare nell'opposizione ai mega progetti minerari e idroelettrici.

Oltre a denunciare con lucidità i Trattati di Libero Commercio come parte di uno stesso ingranaggio che assicura l’impunità delle imprese transnazionali, Berta lottava per la salute, per la terra e contro il patriarcato e la violenza. 
Si era opposta al colpo di Stato del 28 giugno 2009, poiché per il COPINH il Golpe forniva lo strumento di violenza al servizio delle imprese transnazionali per il saccheggio dei beni comuni e la repressione delle organizzazioni sociali all'opposizione. 
Inoltre, è stata ferma nel rifiuto dell’installazione delle basi militari statunitensi nel territorio Lenca.
Nell’aprile del 2015 Berta Cáceres ha ricevuto il premio Goldman, uno dei più prestigiosi al mondo sui temi ambientali, conferitole per la sua collaborazione nella difesa del territorio Lenca minacciato dalle conseguenze nefaste e la violenza dovute alla costruzione della diga del Proyecto Hidroeléctrico Agua Zarca, della multinazionale cinese SINOHYDRO e dell’impresa honduregna Desarrollo Energético Sociedad Anónima (DESA). 

Da anni il popolo Lenca denunciava la violazione del diritto all'acqua come fonte di vita e di cultura e le vessazioni e le minacce di imprese, paramilitari e governo.

mercoledì 2 marzo 2016

Bolivia - Referendum sconfitta per Evo Morales

Evo Morales non potrá essere rieletto per un quarto mandato. Con un 51,31% di voti contrari il governo di La Paz esce sconfitto dal referendum sulla riforma costituzionale che avrebbe permesso al presidente Boliviano di presentarsi nuovamente alle elezioni del 2020. Una vittoria dell’opposizione sulla scia della “primavera” neoliberale del Sud America.
di Luca Cafagna

Morales si è presentato questa mattina in conferenza stampa a La Paz, occhi sereni e sorriso tranquillo. “Abbiamo perso una battaglia, non la guerra, la lucha sigue” le sue prime parole. “Il referendum dimostra che la metà del popolo boliviano è con noi, questo è lo zoccolo duro del nostro consenso, da qui dobbiamo ripartire” ha continuato. Al terzo mandato, dopo undici anni di governo che hanno cambiato il volto della Bolivia attraverso massicci investimenti nel settore pubblico e nel welfare, il governo ha giá pronto un piano ulteriore di circa 40 miliardi di dollari. Un investimento in politiche sociali e welfare che però non è bastato ad evitare la sconfitta nel referendum.
Maturato nelle ultime settimane della campagna referendaria, il risultato è figlio anche della “guerra sporca” portata avanti dall'opposizione sui media. Immagini e memes diffusi ad arte sui social network per denunciare i 200 dollari spesi da Morales per un taglio di capelli – notizia rivelatasi infondata – accompagnati dagli attacchi personali allo stesso Morales per una relazione avuta con Gabriela Zapata, imprenditrice e lobbista.

Messico - Convocazione zapatista alle attività 2016

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO


29 febbraio 2016

Considerando:

Primo: Che la grave crisi che scuote il mondo intero e che si dovrà acutizzare, mette a rischio la sopravvivenza del pianeta e di tutto ciò che lo popola, inclusi gli esseri umani.

Secondo: Che la politica di sopra non soltanto è incapace di ideare e costruire soluzioni, ma che è anche una delle responsabili dirette della catastrofe in atto.

Terzo: Che le scienze e le arti riscattano il meglio dell’umanità.

Quarto: Che le scienze e le arti rappresentano ormai l’unica opportunità seria di costruzione di un mondo più giusto e razionale.

Quinto: Che i popoli originari e chi vive, resiste e lotta nei bassifondi di tutto il mondo possiede, tra le altre cose, una cognizione fondamentale: quella della sopravvivenza in condizioni avverse.

Sesto: Che lo zapatismo continua a scommettere, in vita e morte, per l’Umanità.

La Commissione Sesta dell’EZLN e le basi d’appoggio zapatiste:

CONVOCANO ARTISTI, SCIENZIATI DI DISCIPLINE FORMALI E NATURALI, LE COMPAGNE E I COMPAGNI DELLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE, IL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO, E QUALSIASI ESSERE UMANO CHE SI SENTA INTERPELLATO, ALLE SEGUENTI ATTIVITA’:

UNO. – AL FESTIVAL E CONDIVISIONE “CompARTE POR LA HUMANIDAD” CHE SI SVOLGERA’ DAL 17 al 30 luglio 2016.

Potranno partecipare coloro che pratichino l’ARTE. Per lo zapatismo, artista è qualsiasi persona che rivendichi la sua attività come arte, indipendentemente da canoni, critici d’arte, musei, wikipedie e altri schemi “specialistici” che classifichino (cioè:
escludano) le attività umane.

Il festival avrà due grandi eventi:

martedì 1 marzo 2016

Nel segreto dell’urna non c’è collettività - Raúl Zibechi

Quando impera la logica della rappresentanza, il soggetto si dissolve, perché è possibile rappresentare solo ciò che è assente. Il sistema elettorale disperde los de abajo in una miriade di individui isolati, atomizzati, che cessano di essere una forza sociale. Il pensiero collettivo che emerge nelle azioni popolari cede il passo e prevalgono paure e pregiudizi
di Raúl Zibechi

Quarant’anni fa l’intellettuale e militante peruviano Alberto Flores Galindo esprimeva una sua opinione sulle elezioni commentando i risultati del voto per l’Assemblea Costituente, del giugno 1978, dove il dirigente contadino-indigeno Hugo Blanco aveva ottenuto il 30 per cento dei voti. “Il voto universale, individuale e segreto è stato un’ invenzione geniale della borghesia. Nel giorno delle votazioni, le classi e i gruppi sociali si disgregano in una serie di individui che smettono di pensare collettivamente, così come avviene negli scioperi, nelle manifestazioni o in qualsiasi altra azione di protesta e, nella ‘camera segreta’, emergono allora i dubbi, i timori, le incertezze che portano a optare per lo status quo, per il passato e non per il cambiamento”, aveva scritto (Obras Completas, tomo V, Lima, 1997, p. 89).

Flores Galindo è stato uno dei più coerenti e notevoli pensatori degli anni ’70 e ’80, quando il Perù era stretto nella forbice tra la violenza dello Stato e quella di Sendero Luminoso, in una guerra che è costata più di 70 mila morti. La sua indagine Buscando un Inca: identidad y utopía en los Andes, pubblicata nel 1986, ha ottenuto a Cuba il Premio Ensayo de Casa de las Américas. È stato il fondatore di SUR, Casa de Estudios del Socialismo, che ha riunito buona parte degli intellettuali del periodo, e ha militato nel Partido Unificado Mariateguista, del quale faceva parte anche Hugo Blanco.

La sua breve riflessione sulle elezioni è di grande attualità e mostra la crisi del pensiero critico. In primo luogo, permette di distinguere tra le libertà democratiche e il fatto di fondare una strategia politica sulla partecipazione elettorale. Se le libertà sono state conquistate attraverso lunghe e potenti lotte collettive degli oppressi, le elezioni sono il modo per disperdere questa potenza plebea.

lunedì 29 febbraio 2016

Messico - Le arti, le scienze, i popoli originari e i bassifondi del mondo

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE



MESSICO

Febbraio 2016

Per: Juan Villoro Ruiz:

Fratello:

Sono lieto che il resto della famiglia giurata stia bene, e ti ringraziamo di essere il messaggero per far giungere loro i nostri saluti ed ossequi (anche se sono convinto che cravatte e posaceneri o un mazzo di fiori sarebbero stati un’opzione migliore).

Mentre cercavo di proseguire con queste parole, ho ricordato il tuo testo “Conferencia sobre la lluvia” (editore Almadía, 2013) scritto, credo, per il teatro, e che lessi immaginando, di sicuro malamente, la scenografia, i gesti e i movimenti dell’interprete del monologo che sente l’interpellanza più che mostrare di accoglierla. L’inizio, per esempio, è una sintesi della mia vita: il laconico “Ho perso le carte!” della prima riga, vale un’enciclopedia se lo lego ai calendari e geografie di questo continuo cadere e ricadere che sono stato.

Perché, invariabilmente, in un’epistola, dopo il saluto di apertura perdo le idee (“la tonelada” [la “metrica“, N.d.T.] dicono i compas quando si riferiscono al tono di una canzone). Voglio dire, l’obiettivo concreto della lettera. Vero che l’aver chiaro chi sia il ricevente può aiutare, ma non poche volte il destinatario è un ascolto fratello al quale non si richiede necessariamente una risposta, ma sempre un pensiero, un dubbio, un interrogativo, ma non che paralizzi, ma che motivi altri pensieri, dubbi, domande, eccetera.

Allora, forse come al bibliotecario-conferenziere protagonista dell’opera, vengono fuori parole che non si sono cercate di proposito, ma erano lì, nascoste, aspettando una disattenzione, una crepa nel quotidiano, per assaltare la carta, lo schermo o quel foglio sgualcito che dove-diavolo-l’ho-messo-ah-eccolo-qua!-ma-quando-ho-scritto-questa-idiozia? Le parole allora smettono di essere scudo e barricata, lancia e spada, e diventano, con nostro sommo dispiacere, specchio di fronte al quale ci si rivela e svela.

Certo, il bibliotecario può ricorrere alle sue pareti colme di scaffali, con il loro ordine alfabetico e numerico, con calendari e geografie che disegnano una mappa di tesori letterari; cercare quindi alla “O” di “oblio” e vedere se lì trova quello che ha perso. Ma qua, in questo continuo trasloco, l’idea di una biblioteca, pur se minima e portatile, è una chimera. Credimi, ho accolto con vane speranze i libri elettronici (in una “USB” – o “pendrive” o “memoria esterna” – si potrebbe caricare se non la biblioteca di Borges, almeno una minima: Cervantes, Neruda, Tomás Segovia, Le Carré, Conan Doyle, Miguel Hernández, Shakespeare, Rulfo, Joyce, Malú Huacuja, Eduardo Galeano, Alcira Élida Soust Scaffo, Alighieri, Eluard, León Portilla ed il mago della parola: García Lorca, tra gli altri). Ma niente, se il bibliotecario perde le carte, ed io i dispositivi usb, chissà dove vanno a finire.

Ma non credere, ognuno ha le sue vergognose fantasie. Nelle usb degli e-book normalmente mettevo una miscellanea di autori, pensando che se li avessi persi sarebbero stati insieme e, forse, non so, dopo tutto la letteratura è il genere dell’impossibile che si concretizza in lettere, avrebbero potuto “condividersi” tra loro.

venerdì 26 febbraio 2016

Messico - EZLN: Prescrivetevi questo!

  EZLN: Prescrivetevi questo!

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Messico

24 febbraio 2016

Al Consiglio della Magistratura Federale del Messico: 

In tutto questo, gli unici terroristi sono coloro che hanno malgovernato questo paese da più di 80 anni. Voi siete semplicemente i lavamani legali di codesti genocidi e, insieme, avete convertito il sistema giudiziario in una latrina malridotta e otturata, la bandiera nazionale in un rotolo di carta igienica riciclabile e lo scudo nel logo di una qualche cibaria veloce e indigesta. Il resto è solo messinscena che simula giustizia dove ci sono soltanto impunità e impudicizia, e finge il “governo istituzionale” dove c’è solo saccheggio e repressione.

PERCIO’ AUTOPRESCRIVETEVI QUESTO:
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                  Da 3 metri sottoterra                                                            Perché tanto seri?
Il defunto e compianto (già!) SupMarcos                     Aderisco e sottoscrivo (non prescrivo):
                                                                                                            Il SupGaleano

 Autorizza per il Comando Generale dell’EZLN

 Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, febbraio 2016
P.S.: Ma allora il tampiqueño può ormai uscire dalla comunità e fiondarsi verso dei bei granchi ripieni? Ovvio, che inviti, altrimenti niente. E può fare quel che fa qualsiasi altro messicano, ovvero essere sfruttato, fregato, defraudato, umiliato, disprezzato, spiato, ricattato, sequestrato, assassinato, fatto sparire, e insultato nella sua intelligenza da chi dice di governare questo paese? Lo dico perché è l’unica cosa che le istituzioni garantiscono oggi a qualsiasi cittadino che non sia di sopra.

giovedì 25 febbraio 2016

Messico - E nelle comunità zapatiste?

EZLN: Adesso vi raccontiamo un po’ di come stanno le comunità zapatiste, dove resistono e lottano le basi di appoggio. Quello che vi stiamo per raccontare viene dai rapporti delle compagne e dei compagni zapatisti che nei villaggi sono responsabili di commissioni (per esempio, di salute, educazione, gioventù, ecc.), sono autorità autonome e responsabili organizzativi. Abbiamo comunque controllato tutto con le/i compagni del Comitato per verificare che non fossero bugie, o alterazioni perché sembri che tutto va bene e nascondere quello che va male. Lo scopo di questi scritti non è raccontare bugie alle nostre compagne e ai nostri compagni della Sexta, né a coloro che appoggiano e sono solidali. Né a voi, né a nessuno altro.

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Messico

Febbraio 2016

Alle compagne e compagni della Sexta:

A chi di dovere:

Compañeroas, compagni e compagne:

Adesso vi diciamo un po’ come stanno le comunità zapatiste, dove resistono e lottano le basi di appoggio.

Quello che vi stiamo per raccontare viene dai rapporti delle compagne e dei compagni zapatisti che nei villaggi sono responsabili di commissioni (per esempio, di salute, educazione, gioventù, ecc.), sono autorità autonome e responsabili organizzativi. Abbiamo comunque controllato tutto con le/i compagni del Comitato per verificare che non fossero bugie, o alterazioni perché sembri che tutto va bene e nascondere quello che va male. Lo scopo di questi scritti non è raccontare bugie alle nostre compagne e ai nostri compagni della Sexta, né a coloro che appoggiano e sono solidali. Né a voi, né a nessuno altro.

Se andiamo male, lo diciamo chiaramente, e non per rendervi più tristi di quanto già siate per tutto quello che succede nelle vostre geografie e calendari. Lo diciamo perché è il nostro modo di rendere conto, cioè di informarvi affinché sappiate se stiamo seguendo la strada che vi abbiamo detto o se ci stiamo occupando di altre cose, forse ripetendo gli stessi vizi che critichiamo.

Ma se andiamo bene, vogliamo che lo sappiate affinché ne gioiate nel cuore collettivo che siamo.

Come facciamo a sapere se andiamo bene o male? Per noi, zapatiste e zapatisti, è molto semplice: i popoli parlano, i popoli comandano, i popoli fanno, i popoli disfano. Nel momento in cui qualcuno prende una brutta strada, subito il collettivo gli molla, come si dice, uno scappellotto, o si corregge o se ne va.

Questa è la nostra autonomia: è la nostra strada, noi la percorriamo, noi la indoviniamo, noi ci sbagliamo, noi ci correggiamo.

In sintesi, vi diciamo la verità, perché dovete essere già abbastanza stufi di bugie. E la verità, anche se a volte fa male, è sempre di sollievo.

Non vogliamo fare come i malgoverni che nei giorni scorsi sono ricorsi al trucco per piacere al visitatore affinché non vedesse quello che succede in basso. Ma tutto quel maquillage è servito solo a dimostrare quanto sono falsi i governi. Pensavano forse che chiunque mediamente intelligente non avrebbe visto la realtà? Che si esprima o no rispetto a questa realtà, ed il modo in cui lo faccia, la realtà è un’altra cosa.

Andiamo avanti, dunque. Quello che adesso vi raccontiamo è quanto viene spiegato nei libri della Escuelita Zapatista. Se non avete frequentato la Escuelita Zapatista in comunità o fuori porta, o non conoscete quello che dicono i libri di testo, vi raccomandiamo di leggerli. Da lì imparerete a conoscere il processo di costruzione dell’autonomia.

Quello che succede è qualcosa di nuovo, sono apparse nuove cose che uno o due anni fa non c’erano:

– La crescita zapatista è costante. Stanno aderendo molti ragazzi e ragazze.

martedì 23 febbraio 2016

Messico - INTANTO … nelle comunità aderenti ai partiti

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ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
Messico

Febbraio 2016

Alle compagne e ai compagni della Sexta:

A chi di dovere:

Compagni e non compagni:

Ciò che vi stiamo per raccontare proviene dalla voce stessa di indigeni aderenti ai partiti che vivono nelle diverse zone nello stato messicano sudorientale del Chiapas. Sebbene militino, simpatizzino o collaborino nei diversi partiti politici istituzionali (PRI, PAN, PRD, PVEM, PMRN, PANAL, PT, PES, PFH, … più quelli che salteranno fuori da qui al 2018), hanno in comune l’avere ricevuto i programmi di assistenza del malgoverno e di essere materiale umano per voti e per trasporti terrestri e celestiali, oltre che, ovviamente, di essere indigeni e messicani.

Quel che state per leggere non solo non è apparso, né appare, né apparirà sulla stampa prezzolata locale, nazionale e internazionale, ma per di più contraddice puntualmente la propaganda governativa e le lodi che ne cantano i suoi media (tra l’altro, molto male).

In sintesi, sono manifestazioni di un crimine: la spoliazione “legale” di terre, storia e cultura di comunità indigene che hanno creduto che i malgoverni e le organizzazioni partitiche esistano per aiutarle. Abbiamo omesso i nomi reali di comunità e persone perché ce lo ha espressamente richiesto chi ha parlato, in alcuni casi perché teme rappresaglie, e in altri per la vergogna e l’imbarazzo di cui soffre per la fregatura subita.

I protagonisti sono solo una piccola parte delle vittime di una guerra, la più brutale, terribile, sanguinaria e distruttiva nella storia mondiale: una guerra contro l’Umanità.

Forniremo soltanto alcuni esempi perché ce ne sono molti, sebbene la menzogna e la sofferenza si ritrovano accoppiate in ciascuno di essi. Dunque…

martedì 16 febbraio 2016

Messico - Gustavo Esteva sulla visita del Papa

papa-messico
Nonostante tutto
di Gustavo Esteva

Su di noi regna il male. Tutti i mali usciti dal vaso di Pandora ci sono caduti addosso. Francesco non potrà sgombrare il suo mistero.

Ma qualcosa farà, forse, in relazione ai malviventi, sui quali non c’è mistero alcuno.

Nella tradizione cattolica, un mistero non è un puzzle irrisolto, una sfida all’intelligenza o allo spirito investigatore. È qualcosa che il nostro pensiero è incapace di penetrare, qualcosa fuori della portata della nostra comprensione. In questa tradizione, il male è un mistero, il mysterium iniquitatis

Come comprendere la scarnificazione di Julio César od il soffocamento di Juanelo, il figlio di Javier Sicilia? Come comprendere Ayotzinapa, San Fernando o Tierra Blanca? O che il 99% degli interminabili delitti rimanga impunito? Che continuino i femminicidi, i massacri, le sparizioni, le fosse clandestine? Che non sia più possibile distinguere tra il mondo del crimine e quello delle istituzioni? Che funzionari e criminali, alcuni gli stessi, dicano quello che dicono e facciano quello che fanno? Come capire il limite estremo di degrado morale al quale sono arrivati giovani criminali, alti funzionari pubblici e dirigenti di imprese?

Le spiegazioni psicologiche, socioeconomiche, politiche… sono sempre imbarazzanti; sono insufficienti. Nessuna scienza sgombra il mistero. Fin dall'apostolo Paolo, si crede che tra noi sia apparso qualcosa di incredibilmente orribile e senza precedenti, il male. 

Potremo capirlo solo in un tempo a venire, quello dell’apocalisse, quello della fine dei tempi. Ma questo male, questo mistero, può essere investigato storicamente. Osservare, per esempio, che non è come quello di altre epoche. Sono diventate reali e comuni la perversione, la disumanità, che prima erano solo possibili o eccezionali. Si è perso il senso del bene. Bene e male sono stati sostituiti da valori e disvalori che ci opprimono e distruggono.

Il corrotto, ha scritto papa Francesco, deve distinguersi dal mero peccatore, perché eleva la sua azione a sistema e la trasforma in forma mentale e in stile di vita; perde la dignità e la fa perdere agli altri. Portando pane sporco in casa sua, ha sottolineato, il corrotto ha perso la dignità.

Francesco non sarà ricevuto da meri peccatori, come gli succede da tutte le parti. Si troverà continuamente tra corrotti, tanto del governo come della sua propria Chiesa. Starà tra malavitosi. Li conosciamo bene e sicuramente anche lui. Nel vederli dove stanno, impuni, in molte persone muore lentamente la fiamma della speranza, come dice il Frayba. Ma non muore la fiamma della resistenza. Per rafforzarla, è necessario riconoscere il suo valore e la sua dignità e ravvivare amorevolmente la fiamma della sua speranza. Riuscirà Francesco a vedere tutto questo ed agire di conseguenza?

Pandora, che-tutto-dà, chiuse il suo vaso prima che sfuggisse la speranza. Ma, poiché era vicina ai mali che uscirono, alcuni la contengono: sperando, la gente può mettersi nell'aspettativa di quando agire; o accetta un stato di cose insopportabile aspettando una liberazione futura, in un’altra vita, forse.

Ma la tradizione dominante confida nella speranza. Poiché sono tempi di disperazione, cerchiamo disperatamente la speranza. Da dove viene? si domanda il Majabhárata, il libro sacro dell’India. Siccome è l’ancora di ogni persona, perderla produce un’immensa pena quasi uguale alla morte. Ma è difficile capirla e niente è più difficile da conquistare.

L’abbiamo persa. L’uomo moderno l’ha trasformata in aspettativa ed il suo ethos prometeico l’ha eclissata. La sopravvivenza della razza umana oggi dipende dal fatto che la si scopra come forza sociale, ci disse tempo fa Iván Illich. Ed Agamben suggerisce che ora la cosa importante è scoprire il meccanismo che ha prodotto la declinazione della speranza e contraddirlo.

È quello che hanno fatto gli zapatisti. Nel marzo del 1994, in risposta ad un bambino che aveva scritto loro dalla California, gli zapatisti ammisero di essere professionisti, ma non della violenza, come diceva il governo, bensì della speranza. Nel 1996 proposero di creare l’Internazionale della Speranza. Liberando la speranza dalla sua prigione intellettuale e politica, hanno creato la possibilità della sua rinascita.

La speranza è l’essenza dei movimenti popolari. Non basta il dissenso, lo scontento. Neanche è sufficiente il risveglio critico. La gente si mette in moto quando sente che la sua azione può portare al cambiamento, quando ha speranza. Questo è essere saggi. In lingua tzeltal, la saggezza è avere forza nel cuore per sperare. È quello che oggi si comincia a diffondere, sapendo che la speranza non è la convinzione che le cose accadranno in una determinata maniera. È la convinzione che qualcosa ha senso, indipendentemente da quello che sembri.

Tra noi rinasce la speranza, la speranza contro ogni speranza. Stiamo riuscendo, passo dopo passo, a dare di nuovo senso alle nostre vite, a noi stessi, non al mercato né allo Stato, non alle istituzioni né alle ideologie, per affrontare il male che è caduto su di noi, per fermare i malavitosi, per recuperare il bene. Se può e vuole, Francesco contribuirà a rafforzarci in questo compito.

traduzione Maribel - BG
Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2016/02/15/opinion/020a2pol

lunedì 8 febbraio 2016

Messico - San Andrés: 20 anni dopo


di Luis Hernández Navarro

Quasi venti anni fa, il 16 febbraio 1996, a San Andrés Sakam’chén de los Pobres si firmavano gli Accordi di San Andrés su Diritti e Cultura Indigena. Senza foto di rito, gli zapatisti ed il governo federale siglarono i loro primi impegni sostanziali sulle cause che avevano dato origine alla sollevazione armata degli indigeni chiapanechi.

Sebbene il governo federale ed i legislatori della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) desiderassero una cerimonia con trombe e tamburi, i comandanti dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) si rifiutarono di suonare le campane. Con un discorso improvvisato, il comandante David spiegò le ragioni del loro rifiuto:"Vogliamo che sia un atto semplice. Noi siamo semplici, viviamo in semplicità e così vogliamo continuare a vivere".

Non vollero nemmeno farsi fotografare. Lo stesso comandante David disse: “Abbiamo raggiunto solo un piccolo accordo. Non ci lasciamo ingannare che si sia firmata la pace. Se non accettiamo di firmare apertamente e pubblicamente è perché abbiamo le nostre ragioni.”

E, dopo aver denunciato le aggressioni del governo di cui erano stati oggetto e ricordare che "hanno sempre pagato con il tradimento la nostra lotta", disse: "Per questo abbiamo firmato in privato. È un segnale che diamo al governo che ci ha feriti. E la ferita che ci ha inferto, ci ha feriti."

Gli accordi di San Andrés si firmarono in un momento di grande agitazione politica nel paese. Catalizzato dalla sollevazione dell’EZLN, emerse un belligerante movimento indigeno nazionale. La svalutazione del peso a dicembre del 1994 provocò un’enorme ondata di dissenso e la nascita di vigorosi movimenti di debitori con le banche. I conflitti post-elettorali in Tabasco e Chiapas si trasformarono in protesta nazionale a favore della democrazia. Il conflitto tra Carlos Salinas, presidente uscente, ed Ernesto Zedillo, l’aspirante, acquisì proporzioni enormi.

La sfiducia dei ribelli quel 16 febbraio fu premonitrice. Una volta neutralizzata l’ondata di scontento sociale, il governo federale ritrattò la parola. Lo Stato messicano nel suo insieme (cioè, i tre poteri) tradì gli zapatisti ed i popoli indigeni rifiutandosi di rispettare quanto pattuito. Il pagamento del debito storico dello Stato verso i popoli originari fu eluso. Invece di aprire le porte per stabilire un nuovo patto sociale includente e rispettoso del diritto alla differenza, lo Stato decise di mantenere il vecchio status quo. Invece di riconoscere i popoli indigeni come soggetti di diritto sociali e storici ed il loro diritto all'autonomia, si optò per proseguire con la politica di oblio ed abbandono.

La questione non finì lì. Con la decisione di non riconoscere i diritti indigeni, si chiusero le porte al cambiamento di regime. San Andrés aveva offerto l’opportunità di trasformare radicalmente le relazioni tra la società, i partiti politici e lo Stato. Invece di farlo, dal governo e dai partiti politici si spinse per una nuova riforma politica al margine del tavolo del Chiapas. 
Con il pretesto che vivevamo una normalizzazione democratica, si rafforzò il monopolio dei partiti a favore della rappresentanza politica, lasciando fuori dalla rappresentanza istituzionale molte forze politiche e sociali non identificate con questi partiti e si conservò, praticamente intatto, il potere dei leader delle organizzazioni corporative di massa.

Lungi dall'ammainare le loro bandiere di fronte al tradimento, lo zapatismo ed il movimento indigeno mantennero la loro lotta ed il loro programma. In ampie regioni del Chiapas ed in altri stati passarono a costruire l’autonomia di fatto e ad esercitare l’autodifesa indigena. 

Spuntarono come funghi governi locali autonomi, polizie comunitarie, progetti produttivi autogestiti, esperienze di educazione alternativa, recupero della lingua.

Contemporaneamente, si rafforzò in tutti i loro territori la resistenza contro il saccheggio e la devastazione ambientale. Da due decenni i popoli indigeni sono stati i protagonisti principali nel rifiuto all'uso di semi transgenici e la difesa del mais, nell'opposizione al settore minerario a cielo aperto ed alla deforestazione, nell'attenzione per le risorse idriche ed il rifiuto della loro privatizzazione, così come nella rivendicazione della cosa comune. In condizioni molto avverse hanno promosso lotte esemplari.

Nei territori indigeni le riforme neoliberali ed il saccheggio delle risorse naturali hanno cozzato contro l’azione organizzata delle comunità originarie. Come risultato della lotta delle comunità indigene, in diverse regioni del paese molti progetti predatori sono stati sospesi o rimandati a tempi migliori.

La decisione statale di far fallire il tavolo di San Andrés e non applicare gli accordi su diritti e cultura indigeni ha ampliato l’estensione e la profondità dei conflitti politici e sociali al margine della sfera della rappresentanza istituzionale in tutto il paese. I protagonisti sono fuori o ai margini delle istituzioni.

Nel frattempo, l’accordo politico raggiunto tra il governo ed i partiti politici nel 1996 faceva acqua. La società messicana non sta nel regime politico realmente esistente. 

L’approvazione di candidature indipendenti (rivendicata al tavolo di San Andrés su democrazia dallo zapatismo ed i suoi convocati) e la crisi della partitocrazia come la conosciamo, hanno favorito la nascita di forze centripete dentro i meccanismi di rappresentanza politica.


In queste circostanze, non ci stupisce che, a venti anni dalla firma degli accordi di San Andrés, sorgano in seno ai movimenti indigeni e tra gli esclusi, nuovi modi di fare politica fino ad ora inediti. Modi e modalità nei quali non si scatteranno foto. 

http://www.jornada.unam.mx/2016/01/26/opinion/017a2pol

traduzione Maribel

giovedì 4 febbraio 2016

Tunisia - Tra le proteste dei disoccupati e quelle contro la Legge 52


A Kasserine continua la protesta. Dopo gli scontri in piazza con la polizia, alcuni disoccupati hanno iniziato lo sciopero della fame, dentro il Governatorato, con lo slogans "Faites-nous travailler ou bien tuez-nous (Fateci lavorare o ammazzateci".
"Non è il Governatorato al centro delle proteste. E’ lo Stato che noi chiamiamo in causa perché agisca per lo sviluppo delle nostre regioni marginalizzate", hanno dichiarato ai giornalisti.
Anche in altre regioni i giovani,i disoccupati continuano con sit-in e proteste. 
I motivi alla base dello scoppio delle proteste affondano nelle condizioni socio-economiche della Tunisia. Il governo di Ennahda prima, la coalizione attualmente al governo con Nidaa Tounes, diventata secondo partito dal punto di vista numerico dopo l’abbandono di un gruppo di deputati, non hanno mai, ovviamente, affrontato alla radice la necessità di costruire un diverso modello di sviluppo. 
Il mal utilizzo dei fondi pubblici, uniti con la devastante azione del terrorismo che ha portato alla calo totale del turismo creano un cocktail micidiale, che si accompagna dalla corruzione strutturale.
La Tunisia lo scorso 27 gennaio, ha visto aumentare la recrudescenza di pratiche fraudolenti, come confermato dal rapporto 2015 presentato dalla ONG Transparency International. Nel rapporto si afferma anche che "la corruzione politica in particolare, resta un’enorme sfida. La crescita dello Stato Islamico e la lotta contro il terrorismo che è seguita, sono stati utilizzati da molti governi come una scusa per reprimere le libertà civili e la società civile. Lontano dall'essere utile, un simile approccio significa che le reti corrotte ben impiantate incontestabilmente se ne servono ancora di più per alimentare il terrorismo".

sabato 23 gennaio 2016

Tunisia - Oltre il fumo dei copertoni in fiamme


Ultima ora: venerdì 22 gennaio è stato proclamato il coprifuoco dalle 20.00 di sera alle 5.00 della mattina in tutto il paese.
Dallo scorso fine settimana la Tunisia è teatro di forti proteste, che hanno come centro la regione di Kasserine, una delle più povere dell’intero paese e zona vicina ai monti Chambi base dei gruppi integralisti, ma che in breve si sono estese nel resto del paese.
Sabato scorso un giovane Ridha Yahyaoui è morto fulminato dopo essere salito su un palo durante un sit-in di protesta. Stava contestando la sua, come di altri ragazzi, esclusione dalle lista per l’occupazione, avvenuta arbitrariamente, come spesso succede.
Dopo la sua morte le proteste non si sono fermate. A Kassirine si è cominciato a scendere in piazza contro la "rete di corruzione e nepotismo istituzionalizzato dal potere", come racconta il portale Nawat.
Scontri con la polizia, intervenuta su ordine del governo, che ha anche imposto il coprifuoco. Ma la rabbia, l’esasperazione non si è fermata, lo slogan "Travail ! Liberté et dignité !", gridato nel sud della Tunisia ha iniziato a riecheggiare anche in altre città dal sud al nord.
In particolare il 19 gennaio ci sono state manifestazioni nella capitale e in altre zone. Una giornata in cui non sono scesi in piazza solo i "diplomeur chomeur" (disoccupati diplomati) organizzati nella rete UDC ma anche il sindacato UGT, reti ed organizzazioni della società civile, come racconta nel suo articolo la blogger Lina Ben Mhenni.
A quasi una settimana dall'inizio della protesta un ragazzo si è dato fuoco a Sfax, un poliziotto è morto nella regione di Kasserine, molti giovani sono finiti in ospedale ed il governo usa la strategia del "bastone e la carota": mentre continua con il coprifuoco ha dichiarato di voler offrire più di 5000 posti di lavoro ai disoccupati solo per la regione di Kasserine (mossa che di certo non risolve il problema strutturale ma anzi ha rafforzato peraltro la protesta in altre regioni).
Al di là di quel che succederà nei prossimi giorni qualcosa è già successo.
E’ il portato dell’esperienza vissuta in questi 5 anni dalla cacciata nel gennaio 2011 di Ben Ali. Già perchè proprio pochi giorni prima di Kasserine c’è stato il 14 gennaio, anniversario della rivoluzione. 
Due immagini racchiudono l’evento.
Da un lato l’anniversario ufficiale con il vecchio presidente, contornato da esponenti di Nidaa Tunes e di Ennadah che fa il suo discorso ufficiale. Dall'altro in piazza una manifestazione con UGTT ed altri, tra cui i parenti dei "martiri" della rivoluzione che non smettono di denunciare l’impunità delle forze dell’ordine, la criminalizzazione di chi è stato ed è protagonista delle proteste.
Quel che è successo in Tunisia è che in questi 5 anni, tra difficoltà, contraddizioni, speranze spezzate e alti e bassi, in ogni caso si è resistito.
Ci si è confrontati con la difficoltà di comprendere che non basta mandare via un dittatore per cambiare.Le aspirazioni profonde non solo di giustizia economica, ma di libertà vera, di diritti per tutti sono state al centro di una miriade di piccole e grandi iniziative.
Dalle proteste delle donne, alla contestazione delle politiche del governo di Ennadah, alle mobilitazioni per gli omicidi come quello di Chokri Belaid, alle costanti campagne per le libertà individuali, alla denuncia delle devastazioni ambientali fino alle iniziative contro il terrore integralista ed anche l’autoritarismo del governo con la legislazione d’emergenza, applicata dopo gli ultimi attentati.
Quello che si è mosso, in maniera certo a volte poco visibile, ma costante, a volte contraddittorio, come nel momento dei processi elettorali, ha mantenuta aperta una vitalità, una possibilità di azione e discussione pubblica.
E’ questo che ha fatto sì che le proteste di Kassirine finora non restassero solo come episodi di rabbia di giovani ed emarginati che a volte esplode, non solo in Tunisia, in "riot" che non disegnano un futuro, ma che anche altri ed altre, quella che viene chiamata per comodità "società civile" sia scesa in piazza.
E’ questa capacità, lo ripetiamo a volte caotica, contraddittoria, ma che cerca un comune spazio d’espressione di molti e diversi che rende ancora la Tunisia un paese vivo.
La ricerca dietro ogni singola vicenda che sale alle cronache di costruire un caleidoscopio possibile per intravedere una alternativa sociale complessiva, dalle proteste di questi giorni alle mobilitazioni contro le politiche securitarie, alle iniziative della scena culturale, al dibattito in rete, alle piccole ma puntuali campagne sui diritti civili, sulla libertà d’espressione, sui migranti morti nel mediterraneo.
Oltre il fumo dei copertoni, lo slogan "Travail ! Liberté et dignité !", l’interrogarsi e non accontentarsi, fa capire come il paese dei gelsomini, ancor più per la situazione geopolitica dell’intera area, sia un piccolo laboratorio che va sostenuto nella sua complessità d’espressione, sola strada possibile per intraprendere il cammino del cambiamento sociale.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!