sabato 23 maggio 2009

Cisgiordania, la pattumiera d'Israele. Crescono tumori e malformazioni.

Cisgiordania - PressTv.ir. Ogni giorno, le compagnie israeliane di smaltimento rifiuti inviano decine di camion pieni d’immondizia a sommergere i villaggi palestinesi.

Tel Aviv scarica infatti i residui nocivi in Cisgiordania, donando cancro, sterilità e disfunzioni mentali alla popolazione locale.

In un’intervista esclusiva a Press TV, il vice-direttore dell’autorità ambientale palestinese Jamil Mtur ha confermato che Israele taglia le spese di smaltimento abbandonando i propri rifiuti in territorio palestinese, a spese dei residenti.

“Da diversi anni – spiega Mtur – , le compagnie israeliane scaricano nei vari villaggi cisgiordani spazzatura solida dannosa per la salute. Usano i terreni palestinesi appartenenti al villaggio di Shukba, vicino Ramallah, per smaltire le pellicole dei raggi X, liberando sostanze cancerogene nell’ambiente, e questo ha fatto sì che molti contraessero malattie legate all’asma”.

Alcuni testimoni riportano inoltre che le compagnie israeliane hanno seppellito a Nablus le carcasse di migliaia di polli infetti dal “vecchio” virus dell’influenza aviaria.

L’Anp, da parte sua, ha arrestato diversi palestinesi accusati di collaborare con le compagnie israeliane, intentando azioni legali contro di loro.

Un altro contenzioso riguarda il reattore nucleare israeliano di Dimona, a un paio di chilometri da Hebron. Israele lanciò le sue attività nucleari alla fine degli anni ’50 proprio con la costruzione di questo reattore, attraendo una fiumana di critiche per aver creato l’unico arsenale nucleare del Medio Oriente con il sostegno degli Stati Uniti.

I residenti di alcuni piccoli villaggi intorno a Hebron hanno trovato aree del suolo coperte di cemento: studi scientifici hanno mostrato che il livello di radioattività di queste aree è altissimo. A questo si aggiunga che nelle zone circostanti non vivono né mosche, né zanzare, né vari altri tipi d’insetti, e crescono solo le specie più resistenti di vegetali.

Almeno 415 casi di cancro e centinaia di nascite “anormali” sono stati riportati tra il 1995 e il 2007.

HRF/JG/AA

(http://www.presstv.ir/detail.aspx?id=95575&sectionid=351020202

Nil'in, protesta nonviolenta: l'esercito israeliano spara sui dimostranti. Grave un ragazzo.

Un'altra pacifica protesta contro le violazioni israeliane dei diritti palestinesi è finita nel sangue. E' successo oggi a Nil'in, in provincia di Ramallah, dove un giovane che partecipava al settimanale corteo nonviolento contro il Muro dell'Apartheid, è rimasto gravemente ferito alla testa da un lacrimogeno lanciato dall'esercito israeliano.

Il ragazzo, Mustafa Amira, è stato trasferito in un ospedale di Ramallah.

Testimoni oculari hanno riferito che Mustafa è stato colpito dai soldati a distanza ravvicinata ed è caduto per terra, battendo la testa.

Il giovane era già stato vittima della ferocia dei militari israeliani, quando, durante un'altra pacifica manifestazione svoltasi il 30 gennaio di quest'anno, fu raggiunto da un proiettile.

Nil'in e Bil'in sono due cittadine note per le settimanali proteste nonviolente contro il Muro dell'Apartheid che ha sottratto loro vasti appezzamenti di terra e le ha chiuse in banthustan.

(Foto di repertorio, by_haytham_al_katyeb)

La sfida di Lisbona

Turbine eoliche, pannelli solari, sistemi per sfruttare la forza delle onde. Il Portogallo ha deciso di puntare sull’energia pulita. Per trainare l’economia e risparmiare risorse

Peter Wise, Financial Times, Gran Bretagna
Foto di Antonio Luìs Campos

EMILY BRONTË si sarebbe sentita a casa nell’Alto Minho. Le cime tempestose della regione più a nord del Portogallo sono incontaminate come la brughiera dello Yorkshire: un paesaggio di “montagne impenetrabili, boschi oscuri, alte vallate e gole mozzafiato”, secondo la descrizione di un monaco che visitò la regione nel seicento. Da queste parti il tempo ricorda i tumulti descritti da Brontë, e gli abitanti, proprio come i personaggi della scrittrice inglese, si considerano coraggiosi, testardi e ribelli.

I garranos, cavalli di un’antica razza locale, pascolano liberi sugli altipiani. Nelle vallate i villaggi di pietra sono al riparo dal vento, protetti da colline di granito. Sulle pendici della catena montuosa che si estende per buona parte del confine nord occidentale del Portogallo ancora oggi i lupi attaccano buoi, pecore e capre. Le muraglie di sassi dei fojos, usate un tempo come trappole per catturare i lupi, abbondano sui pendii erbosi.

I pochi agricoltori che vivono nella zona non organizzano più battute di caccia contro i lupi per proteggere il bestiame: si limitano a riempire i moduli per chiedere il risarcimento dei danni al governo. Nell’immaginario locale, però, la figura del lupo come simbolo della forza e del mistero dell’Alto Minho è ancora fortemente radicata. José Miguel Oliveira, un economista di Stubal, nel sud del paese, ricorda nei dettagli i suoi due incontri con i predatori, L’ultimo è stato una sera al tramonto: un lupo che scappava verso un bosco di pini. Oliveira conosce l’Alto Minho come pochi altri. Andando alla ricerca dei siti dove installare le 120 turbine eoliche volute dal governo de Lisbona, è entrato in sintonia profonda con la regione, rimasta immutata per migliaia di anni. “Questo posto lascia un’impressione molto forte su chi lo visita”, osserva Oliveira, manager di Ventominho, l’azienda che gestisce le turbine.
L’installazione di ogni singolo impianto ha richiesto l’intervento di dieci tir carichi di cemento e acciaio, che si sono arrampicati lungo le ripidissime strade di montagna della zona. “Dal punto di vista logistico è stata un’impresa”, spiega Oliveira. “Abbiamo dovuto trattare individualmente con ciascun proprietario terriero ogni volta che c’era bisogno di allargare una strada o modificare una curva”.

Per tirare su le turbine, alte tra i 65 e i 78 metri, collegarle attraverso una linea elettrica di 54 chilometri e costruire le cabine ci sono voluti 600 operai e quasi due anni di lavoro. Quando a gennaio gli impianti sono entrati in funzione, questa regione rurale, impoverita e svuotata dall’emigrazione, si è ritrovata improvvisamente all’avanguardia della rivoluzione dell’energia pulita. Oggi l’Alto Minho è sede della più grande centrale eolica sulla terraferma d’Europa, e partecipa a un piano ambizioso per trasformare uno dei paesi più poveri del continente in un leader mondiale dell’energia rinnovabile.

Grazie alla sua posizione, al clima e alla conformazione geologica, il Portogallo dispone di una grande ricchezza: può contare su fonti di energia pulita in abbondanza. I venti che provengono da ovest e una vasta distesa di colline accessibili al nord e al centro creano le condizioni ideali per l’installazione delle centrali eoliche. Il sud è baciato dal sole per 300 giorni all’anno, ed è quindi un luogo perfetto per la produzione di energia solare. La costa atlantica, invece, offre un potenziale enorme per la trasformazione delle onde marine in energia elettrica, mentre i fiumi che arrivano dalla Spagna sono una fonte importante di energia idroelettrica.

Per anni il potenziale di queste ricchezze naturali è rimasto inespresso. Negli ultimi tempi, tuttavia, gli sforzi internazionali per combattere i cambiamenti climatici e per la ricerca di alternative pulite ai combustibili fossili hanno fatto scoprire al paese l’importanza delle sue risorse. Il risultato è che presto l’acqua, il sole e il vento diventeranno le principali fonti energetiche del Portogallo. "Come la Finlandia oggi è conosciuta in tutto il mondo per i cellulari, la Francia per i treni ad alta velocità e la Germania per l’industria, presto il Portogallo sarà famoso per la produzione di energia rinnovabile", dichiara Manuel Pinho, ministro dell’economia e principale artefice del piano per rafforzare l’economia sfruttando l’energia pulita. “Il Portogallo diventerà un esempio per tutti i paesi del mondo”.

Obiettivi ambiziosi
Le pale delle turbine costruite sulle alture dell’Altro Minho raccolgono il vento e producono circa 530 gigawattora di energia elettrica all’anno, sufficiente per coprire il 53 per cento del fabbisogno della popolazione locale, circa 250 mila persone. Questo, però, è solo il primo passo: il vero obiettivo è cambiare l’economia del paese. Il governo di Lisbona ha avviato diversi progetti (tra cui la più grande centrale fotovoltaica del mondo, il primo impianto commerciale per la conversione delle onde marine in energia e una rete nazionale per l’alimentazione delle auto elettriche) e sta fissando traguardi molto ambiziosi nella lotta ai cambiamenti climatici.

Entro il 2020, sostiene Pinho, più del 60 per cento dell’energia elettricità circa il 31 per cento dell’energia prodotta nel paese (tra elettricità, riscaldamento e carburanti per il trasporto) arriverà da fonti rinnovabili. L’obiettivo dell’Unione europea nello stesso arco di tempo è del 20 per cento. Secondo il piano presentato da Barack Obama, gli Stati Uniti arriveranno a ricavare il 12 per cento della loro energia da fonti pulite quando il Portogallo sarà già oltre la soglia del 50 per centro. Entro il prossimo anno, afferma Pinho, in Portogallo la produzione pro capite di CO2 sarà inferiore a quella di qualsiasi altra nazione europea.

Manuel Pinho, ex banchiere ed economista senza alcuna esperienza nel campo dell’energia, ha lanciato la sua campagna per trasformare il Portogallo in un protagonista globale dell’economia pulita nel 205, quando per la prima volta il Partito socialista ha ottenuto la maggioranza assoluta al parlamento. Il primo ministro José Sócrates gli ha chiesto di lasciare il suo incarico presso il gruppo bancario Espíritu Santo per occuparsi del ministero dell’economia. Pinho ha accettato e ha portato con sé la sua tendenza a compiere scelte radicali. “Sapevo che un paese piccolo come il Portogallo non può fare tutto”, spiega. “E sapevo che dovevamo essere i più bravi in qualcosa di specifico. Se non avessimo puntato sullo sviluppo tecnologico saremmo rimasti indietro. La leadership in settori ad alta intensità di capitale o ad alto tasso di specializzazione, come i semiconduttori o il software, era fuori della nostra portata, Nel settore delle energie rinnovabili, invece, potevamo ritagliarci uno spazio importante, Oggi può sembrare un fatto ovvio, ma quattro anni fa non lo era affatto”.

La strategia di Pinho ha avuto subito l’appoggio di Socrates, che pochi mesi dopo l’insediamento del governo ha fatto approvare il programma Nuova politica energetica, stabilendo le quote di energia pulita da produrre. “I nostri obiettivi non sono illusori”, sostiene Pinho, “e i progetti sono già in cantiere”. Questa spinta a sfruttare appieno il potenziale delle fonti rinnovabili interne è dovuta in parte alla necessità. In un paese privo di risorse energetiche primarie, il petrolio, il gas e le altre riserve di energia devono essere importante, con costi significativi per un’economia dalle dimensioni modeste. Nel 2008, il disavanzo energetico era pari al 5 per cento del pil. Quest’anno il crollo del prezzo del petrolio potrebbe colmare la metà del deficit, ma queste fluttuazioni non fanno che confermare la dipendenza del Portogallo da elementi al di fuori del suo controllo.

La chiave per una maggiore indipendenza energetica, sostiene Pinho, sta nella capacità di produrre energia pulita a prezzi concorrenziali. “Per far questo dobbiamo garantire un livello minimo di produzione, agire in regime di concorrenza e attirare investimenti privati”. Entro il 2015, spiega il ministro, gli investimenti in energia rinnovabile faranno risparmiare al Portogallo 440 milioni di euro all’anno in spese per il carburante e taglieranno le emissioni di CO2 di oltre dodici milioni di tonnellate all’anno. Al prezzo attuale di 8,50 euro a tonnellata, fissato dal mercato europeo delle emissioni, si avrebbe un ulteriore risparmio annuale di 10 milioni di euro.

Il modello adottato dal Portogallo si basa sulle cosiddette tariffe feed-in (in conto energia), secondo le quali le compagnie elettriche si impegnano ad acquistare energia pulita a un prezzo superiore a quello di mercato per un periodo definito. A differenza di altri sistemi di incentivi, come i certificati verdi in Gran Bretagna o i crediti fiscali negli Stati Uniti, Le tariffe in conto energia garantiscono una stabilità finanziaria che consente ai produttori di investire più dinaro nei progetti.

Le tariffe in conto energia diminuiscono in linea con il calo dei costi di produzione dell’energia, man mano che la tecnologia si evolve e i produttori sfruttano le economie di scala. In Portogallo l’eolico si è sviluppato più rapidamente del prefisso. Passata da 537 a 2.740 megawatt in cinque anni, la capacità dovrebbe arrivare a 8.500 megawatt nel 2020. Per quella data le turbine eoliche forniranno il 30 per cento dell’elettricità consumata nel paese, il doppio rispetto al 2007.

Grazie a questa rapida crescita, il prezzo delle tariffe in conto energia è sceso a 0,07 euro per kilowattora, più o meno l’equivalente del costo medio all’ingrosso dell’energia elettrica. In altre parole, oggi in Portogallo l’energia eolica costa come l’elettricità prodotta dai combustibili fossili. Se poi si considerano anche i costi legati alle emissioni di anidride carbonica, allora forse il prezzo è perfino più basso.

Baciati dal sole
In Europa poche aree possono contare su una maggiore quantità di energia solare rispetto alla cittadina di Amareleja, a sudest di Lisbona, dove si registrano le temperature più che l’intensità del sole è la sua constante presenza – una media annuale di sette ore al giorno – a fare di Amareleja la sede ideale per la più grande centrale fotovoltaica del mondo. Costruita e gestita da Acciona, gruppo edilizio ed energetico spagnolo, la centrale sembra il set di un film di fantascienza. In un silenzio spettrale 2.520 pannelli solari seguono lentamente il percorso del sole. Ognuno è grande come un appartamento e contiene 104 moduli in silicio policristallino, che trasformano le radiazioni solari in energia.

Quando, nel 201, alcuni politici locali hanno proposto per la prima volta di sfruttare la luce solare per creare posti di lavoro e reddito in un’area rurale depressa, senza industrie e con scarse risorse naturali, la tecnologia fotovoltaica era molto meno avanzata di oggi. L’energia rinnovabile non era tra le priorità del governo, e fino all’arrivo di Pinho non si è fatto quasi nulla. Poi, nel 2006, è stata concessa ad Acciona una licenza di quindici anni. I lavori sonno cominciati alla fine del 2007 e appena un anno dopo la centrale, costata 261 milioni di euro, è stata collegata ala rete nazionale.

Considerata la vastità dell’area occupata dall’impianto, la produzione di elettricità è relativamente ridotta: circa 93 milioni di kilowattora all’anno, abbastanza per rifornire 30 mila case e prevenire l’emissione di oltre 83mila tonnellate di CO2. In base all’accordo, Acciona si è impegnata a versare tre milioni di euro per la ricerca sulle fonti rinnovabili nella zona, oltre che per attività di formazione e per l’acquisto di generatori di energia solare destinati all’uso domestico e alle piccole imprese. L’azienda, inoltre, destinerà altri 500mila euro alla comunità locale. Ma l’impatto più rilevante sull’economia del posto lo hanno avuto i cento nuovi posti di lavoro creati presso il centro di assemblaggio dei pannelli solari che Acciona ha accettato di costruire come parte dell’accordo con il governo. “Un investimento simile fa la differenza in un’area dove ci sono mille disoccupati su 16 mila abitanti”, osserva Francisco Aleixo di Acciona. La creazione di distretti industriali intorno alle tecnologie per lo sviluppo dell’energia pulita è una componente essenziale del piano di Pinho, oltre che un’idea appoggiata, almeno a parole, da diversi opinionisti e leader politici.

La forza del mare
Nel porto di Viana do Castelo, vicino alle centrali eoliche dell’Alto Minho, gli operai manovrano enormi pale, sezioni di pilastri in cemento e altri componenti per le turbine eoliche prima della spedizione. Le parti vengono prodotte nella zona portuale, in quattro stabilimenti di proprietà della tedesca Enercon, azienda che produce turbine eoliche. Gli impianti, che hanno cominciato a lavorare a pieno regime nel 208, sono in grado di produrre in un anno più o meno 20 tra torri e generatori e 600 pale. Il 60 per cento della produzione è destinato all’esportazione. Dei mille giovani dipendenti, quattrocento sono donne, in gran parte provenienti dall’industria tessile portoghese ormai in crisi.

Negli ultimi quattro anni, sostiene Pinho, il Portogallo ha creato 10 mila posti di lavoro nel settore dell’energia pulita e altri 22 mila dovrebbero aggiungersi nei prossimi dodici anni, grazie a un investimento programmato di 14 miliardi di euro. “Stiamo dimostrando il successo delle proposte del presidente Obama”. Afferma. “L’idea di usare l’energia pulita per combattere i cambiamenti climatici, ridurre la dipendenza dall’estero e far crescere l’economia”. D’altra parte è chiaro che le tecnologie dell’energia pulita sono già a uno stadio di sviluppo troppo avanzato perché il Portogallo possa essere in prima fila nel campo della ricerca. Per questo Pinho punta a fare del paese un leader nel settore emergente della conversione delle onde marine. Per rendersi conto dei suoi progetti basta fare un giro al proto di Leixões, a Porto, nel nord del paese. Qui non è raro incontrare ingegneri che parlano con accento scozzese. Sono i dipendenti della Pelamis wave power, un’azienda di Edimburgo che ha due o tre anni di vantaggio sulla concorrenza nella corsa alla produzione su vasta scala di elettricità attraverso la forza del mare. Il Portogallo ha individuato una zona di costa da dedicare a questi progetti e ha siglato con Pelamis il primo accordo al mondo per vendere alla rete nazionale l’energia ricavata dalle onde.

Tre convertitori, costituiti da tubi di acciaio grandi come binari ferroviari collegati tra loro, sono già stati sottoposti ai test di collaudo al largo della piccola spiaggia atlantica di Aguçadoura, a 40 chilometri da Porto. “Per produrre energia dal mare non bisogna inventare nulla”, spiega Rui Barros, nel consiglio di amministrazione dell’azienda che si occupa del progetto. “Il successo dipende da un estenuante processo che porta alla soluzione di centinaia di piccoli problemi. Solo così si può arrivare a una produzione economicamente sostenibile. Più che uno sprint è una maratona”.

Le macchine della Pelamis generano elettricità nel momento in cui le onde mettono in movimento i giunti articolati dei cilindri semisommersi, pompando olio ad alta pressione attraverso motrici idrauliche. La difficoltà principale è costruire convertitori capaci di sostenere l’impatto aggressivo e costante delle onde oceaniche. Secondo Barros, la forza delle onde potrebbe arrivare a produrre il 20 per cento dell’energia elettrica del Portogallo. Per adesso, tuttavia, il governo punta a un obiettivo più modesto: sviluppare una capacità di 250 megawatt entro il 2020.

Ma il vero traguardo è la produzione industriale, se le aziende portoghesi riusciranno a produrre energia dalle onde e a commercializzarla su larga scala e a prezzi vantaggiosi, il paese sarà in prima fila nella corsa per la leadership del settore. Secondo Daniel Roos, esperto di sistemi ingegneristici e docente al Massachusetts institute of technology, i ricercatori portoghesi sono già più avanti dei suoi colleghi dell’Mit. “Per il Portogallo l’energia delle onde può giocare lo stesso ruolo che il petrolio e il gas del mare del Nord hanno avuto per l’industria scozzese”, sostiene Barros. Per le pressioni ambientali e commerciali, aggiunge, la tecnologia di conversione delle onde si svilupperà più rapidamente di quella dell’eolico. “La necessità di diminuire l’uso dei carburanti fossili e di alimentare le vetture elettriche sarà sempre più pressante. Sono convinto che molto presto l’energia delle onde sarà prodotta su scala industriale”. Anche se il settore muove i suoi primi passi proprio ora, i suoi sostenitori guardano con fiducia ai rapidi progressi fatti dalle altre tecnologie rinnovabili.

Intanto gli abitanti dei villaggi dell’Alto Minho beneficiano già dei vantaggi della rivoluzione verde avviata in Portogallo. I proventi degli affitti della terra alle aziende energetiche hanno fatto raddoppiare il bilancio delle amministrazioni locali, che ne hanno approfittato per restaurare chiese, costruire campi da calcio e nuovi ospedali. Com’è facile immaginare, qui nessuno è scontento: il piano energetico di Pinho sembra avere davvero un consenso larghissimo. In una regione sperduta, ancora imbevuta dello spirito di un passato antico, le turbine che si stagliano nella nebbia sulle cime delle montagne dell’Alto Minho sono simboli del futuro.

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Da sapere:
Nel 2006 il Portogallo ha ricavato da fonti rinnovabili il 30 per cento dell’energia elettrica consumata. L’obiettivo per il 2010 è arrivare al 39 per cento. Il grosso dell’energia pulita è prodotto da centrali idroelettriche, ma l’eolico, i biogas e il fotovoltaico sono settori in rapidissima crescita. Grazie alle turbine eoliche nel 2007 il paese ha raggiunto una capacità di 2,862 megawatt.

L’Italia nel 2006 ha ricavato da fonti rinnovabili il 14,82 per cento dell’elettricità consumata. Entro il 2010 la produzione sarebbe dovuta arrivare al 25 per cento.

Sempre nel 2006, nei paesi dell’Unione europea la produzione media ha coperto il 14,65 per cento del consumo totale. L’obiettivo del 21 per cento, fissato da Bruxelles per il 2010, non verrà raggiunto. Il paese più virtuoso è l’Austria, che nel 2006 dalle fonti rinnovabili ha ricavato quasi il 63 per cento della sua elettricità.

Articolo pubblicato su Internazionale 796, 22 maggio 2009.

Ecuador: si rompe oleodotto nella foresta amazzonica

Sversate ingenti quantità di petrolio dalla compagnia Repsol

Ancora un volta la rottura di un oleodotto sta riversando nell’Amazzonia ecuadoriana ingenti quantità di petrolio greggio. L’incidente è avvenuto questa mattina nell’area amazzonica piu’ colpita dagli impatti ambientali dell’industria petrolifera e dalle estese monoculture di Palma Africana: la zona di Lago Agrio. [ vedi mappa ]

Le responsabilità della fuoriuscita di petrolio e dell’impatto sugli ecosistemi tropicali è da attribuirsi alla compagnia spagnola REPSOL YPF, concessionaria dal vicino lotto petrolifero numero 16, area petrolifera che si sovrappone al territorio indigeno Wuaorani ed a una delle regioni con più alta biodiversità del pianeta: la Riserva della Biosfera Yasuni.
Nell’area amazzonica della Riserva della Biosfera si concentrano infatti le attività industriali per l’estrazione e la produzione petrolifera, suddivise in lotti concessionati a numerose compagnie petrolifere transnazionali, tra cui l’italiana ENI-AGIP. [ vedi cartografia del petrolio ]
Questa porzione dell’Oriente amazzonico, storico avamposto nell’espansione della frontiera petrolifera durante il boom degli anni ottanta, mostra, nei residui del bosco umido tropicale, i segni profondi della deforestazione conseguente alla colonizzazione dell’area. [ Vedi immagine satellitare ]
Secondo l’agenzia di stampa adn tecnologia la compagnia REPSOL ha già proceduto ad effettuare i controlli sul posto, ma non sono stati in grado di stimare il volume di petrolio riversatosi nell’ambiente nè di determinare le possibili cause.
Nonostante l’investimento di enormi capitali e l’impiego della cosiddetta "tecnologia di punta" le compagnie petrolifere spesso non riescono ad individuare nè isolare la perdita di greggio dagli oleodotti, cosicchè gli sversamenti di idrocarburi vengono segnalati delle popolazioni indigeno-campesine titolari dei terreni contaminati. (vedi toxi tour)
L’ultima rottura dell’oleodotto OCP, gestito da un corsozio di multinazionali tra cui anche l’AGIP, è avvenuto nel tratto cosidetto a basso impatto, ossia interrato lungo la fascia pedemontana andina. La rottura dell’OCP ha provocato una fuoriscita che fonti ufficiali quantificavano in 16 mila barili di petrolio greggio, riversatosi nel fittissimo reticolo fluviale dell’Amazzonia ecuatoriana. La dispersione dei contaminanti idrocarburici è stata così elevata e a lungo distanza da far sospendere il servizio idrico nell’intera città di Coca per una settimana.

Guarda il video

Approfondimenti:

Repsol Mata
Riserva della Biosfera Yasuni: campagna El Oro Verde
Amazonia por la vida

Birmania - Non c’è limite alle provocazioni contro San Suu Kyi


Il regime usa subdole menzogne per continuare a reprimere

Il regime militare birmano arriva ad insinuare che la stessa San Suu Kyi abbia organizzato l’intrusione nella sua casa dello statunitense, John William Yettaw e i generali birmani hanno la faccia tosta di dire che lo avrebbe fatto perché l’americano era il suo amante. "La cosa piu’ probabile e’ che siano elementi antigovernativi interni ed esterni ad aver pianificato l’incidente per aumentare la pressione internazionale Su Myanmar", ha detto il ministro degli Esteri birmano, Nyan Win, in una conversazione telefonica al suo omologo giapponese, Hirofumi Nakasone, secondo il quotidiano controllato dal potere, "La Nuova Luce di Myanmar". Ma il console generale di Nyanmar ad Hong Kong si e’ spinto oltre, postando una lettera su internet suggerendo che l’americano possa essere "un agente segreto o il suo fidanzato", il tutto scritto in grassetto e sottolineato.

Ieri, nella quarta e ultima udienza prevista per la settimana nel processo alla leader dell’opposizione birmana, e’ stato presentato al processo contro Yettaw un video registrato nella casa di Suu Kyi, in cui lui stesso dice che la proprietaria gli ha negato il permesso. "E’ nervosa, e si vede", dice lo stesso Yettaw durante la registrazione, secondo quanto ha successivamente raccontato uno degli avvocati di Aung San Suu Kyi, Nyan Win. Durante il suo processo, lo statunitense ha anche detto di essersi introdotto nella casa della dissidente birmana perche’ aveva avuto una premonizione, che Aung San Suu Kyi sarebbe stata "assassinata": "Sono venuto per mettere in guardia le autorita’ dal pericolo". La difesa insiste invece nel sostenere che lei gli abbia permesso di trascorrere la notte nell’abitazione per compassione, perche’ sembrava molto stanco dopo la nuotata nel lago Inya e la colpa dell’intrusione e’ delle autorita’, che avevano in carica la sua sicurezza.

Ricordiamo che dopo l’”intrusione è avvenuta il 3 maggio scorso quandoWilliam Yethaw, cittadino americano mormone, ha raggiunto a nuoto la casa in cui il Premio Nobel per la pace è costretta agli arresti domiciliari attraversando il lago Inya. Il 14 maggio la giunta militare ha arrestato e processato Aung San Suu Kyi per violazione degli arresti domiciliari. Il termine dei domiciliari e la liberazione dell’attivista birmana dall’ultimo arresto sarebbero scaduti il 21 maggio. Secondo buona parte della stampa internazionale e la stessa Lega nazionale per la democrazia, l’impresa di Yethaw è stato il pretesto usato dalla giunta militare per mettere fuori gioco Aung San Suu Kyi prima di sottoporre il popolo birmano alla votazione di un referendum per l’approvazione di un testo costituzionale che, di fatto, sancisce la continuazione del potere dei militari sotto forme civili, escludendo del tutto la Lega nazionale per la democrazia.

Ancora una volta si mostra il volto brutale del Regime Birmano e al di là delle formali prese di posizione internazionali niente di reale viene concretizzato per appoggiare un processo democratico nel paese … sono troppo forti gli interessi economici e geopolitici che sorreggono l’esistenza di questa vera e propria dittatura.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!