sabato 6 giugno 2009

Perù - La sangre llegó al río -

di Cecilia Remón

Policía dispara contra indígenas levantados en demanda de sus derechos.

“¡Han matado a mi hermano, han matado a mi hermano!”, gritó la dirigente indígena huambisa Nélida Calvo Nantip, en plena conferencia de prensa con la Asociación de la Prensa Extranjera en el Perú el 5 de junio, tras recibir una llamada telefónica.Calvo Nantip, junto con los líderes nativos Alberto Pizango, Servando Puerta, Marcial Mudarra y Rubén Binari, habían denunciado ante los corresponsales extranjeros que esa madrugada habían fallecido 25 indígenas a manos de la Policía en el norteño departamento de Amazonas.El gobierno, por su parte, afirmó que siete policías habían muerto en enfrentamientos con los nativos cuando intentaban desalojarlos de la carretera Fernando Belaúnde Terry.El presidente Alan García responsabilizó de los hechos a Pizango, quien insistió que es el gobierno el que debe responder por la muerte de sus hermanos indígenas.Puerta, presidente de la Organización Regional de los Pueblos Indígenas de la Amazonía Norte del Perú (Orpian), precisó que es imposible que los indígenas hubieran disparado contra los agentes porque no tienen armas de guerra, sino sólo lanzas y flechas.“Tres helicópteros de las Fuerzas Armadas están volando, lanzando bombas lacrimógenas y balas directamente en ráfagas (contra los indígenas), como si fuéramos delincuentes, como si no hubieran mujeres y niños protestando”, dijo.Pizango, presidente de la Asociación Interétnica de Desarrollo de la Selva Peruana (AIDESEP), manifestó que uno de los fallecidos es Santiago Manuin, presidente del comité de lucha de Bagua Chica.Los indígenas iniciaron su levantamiento el 9 de abril demandando la derogatoria de siete decretos legislativos —que forman parte de un paquete de normas exigidas para la entrada en vigencia del tratado de libre comercio con EEUU— y que consideran vulneran sus derechos.“Yo quiero responsabilizar al gobierno de (el presidente) Alan García Pérez de ordenar el genocidio”, dijo Pizango. “Nos están matando por defender la vida, la soberanía, la dignidad humana, el pulmón del mundo. Miles de años hemos manejado (los bosques amazónicos), no hemos depredado”.El dirigente awajun Marcial Mudarra, señaló, por su parte, que “esta es una provocación del gobierno de turno. El pueblo indígena es pacifico, nunca ha provocado. Ha reclamado sus justos derechos. A pesar de que estamos haciendo protestas pacíficas, el gobierno, por sus intereses, ha empezado a criminalizar. Nos sentimos heridos, atropellados, amenazados”.Pizango y otros cinco dirigentes indígenas han sido denunciados penalmente por el gobierno por atentar contra la tranquilidad pública y atacar medios de transporte, comunicación y otros servicios públicos.Los intentos de diálogo han fracasado, mientras el Congreso carece de voluntad política para derogar los decretos considerados inconstitucionales y lesivos a los derechos de los indígenas por la Defensoría del Pueblo.

Perù, 38 poliziotti in ostaggio indigeni dopo scontri Amazzonia

Centinaia di manifestanti indigeni tengono in ostaggio 38 poliziotti dalle prime ore di oggi nella giungla amazzonica peruviana dopo che negli scontri fra indigeni e polizia sono morte 33 persone.
I dimostranti minacciano inoltre di dare alle fiamme un pozzo petrolifero della società di stato Petroperù se il governo non fermerà le operazioni per porre termine alle proteste con i blocchi di strade e fiumi, che hanno provocato interruzioni alle forniture di cibo e carburante.
Le tribù indigene, temendo di perdere il controllo delle risorse naturali, protestano da aprile per obbligare il Parlamento ad abrogare le nuove leggi che incoraggiano le società energetiche e minerarie straniere a investire miliardi di dollari in operazioni industriali nella foresta vergine.
La violenza è esplosa ieri quando la polizia ha cercato di forzare un blocco stradale in un punto dell'autostrada chiamato la "Curva del Diavolo" nella regione di Bagua nella provincia amazzonica, a circa 1.400 chilometri a nord di Lima.
I leader indigeni dicono che sono stati uccisi almeno 22 manifestanti. Il governo ha comunicato la morte di tre manifestanti e di 11 agenti di polizia, alcuni con ferite provocate da lance. Sono state ferite almeno 100 persone e paiono possibili nuovi scontri.

La mobilitazione degli indigeni (circa 5.000 di 60 diverse tribù), riunite nella Associazione Interetnica di Sviluppo della Selva Peruviana, è cominiciata lo scorso 9 aprile: gli indigeni protestano contro una decina di decreti legislativi che considerano un attentato al loro diritto di essere consultati su terre che occupano da tempi ancestrali. Le comunità dell'Amazzonia peruviana, che vivono in zone molto remote, hanno denunciato in diverse occasioni le conseguenze della deforestazione e dello sfruttamento delle risorse naturali delle loro terre: povertà e abbandono, contaminazione delle acque, conseguenze sulla salute. Il governo del presidente Alan Garcia, che ha approvato i decreti per mettersi in linea con il Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, ha violato -secondo gli indigeni- trattati internazionali che hanno rango costituzionale (la Convenzione 169 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro sui popoli Indigeni e Tribali, così come la dichiarazione dell'Onu sui popoli indigeni, entrambi sottoscritti dal Peru'). Le proteste degli indigeni si scontrano con l'interesse del governo di incrementare le riserve di gas e petrolio, presenti in grandi quantità nella selva, per far fronte a un'eventuale crisi energetica e trasformarsi in un Paese produttore. Il governo accusa gli indigeni di voler mettere "il Peru' in ginocchio e bloccare il suo cammino verso lo sviluppo". Ma gli indigeni temono che i decreti aprano le porte allo sfruttamento senza controllo da parte dei privati; e da quasi due mesi hanno bloccato strade, vie fluviali e ostacolato le operazioni di trasporto di gas e petrolio, una situazione che ha messo a secco varie città. Le proteste hanno indotto il Congresso e rivedere il contenuto dei decreti legislativi, ma giovedì il Parlamento ha deciso di rinviare il dibattito sulla legge forestale, che i nativi considerano incostituzionale.

Nil’in - Di muro si muore

L’esercito israeliano uccide un giovane palestinese
Yousef Akel Sadiq Srour, 36 anni. Nil’in, uno dei villaggi tagliati a metà dal muro. Una manifestazione anche oggi, come ogni venerdì. L’esercito israeliano spara e colpisce al petto Yousef, uccidendolo. Spara e ferisce gravemente un ragazzo di quindici anni. Spara anche contro una delle ambulanze arrivate al villaggio e ferisce un medico.
Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa israeliana Ynet, le forze di sicurezza israeliane avrebbero incominciato a sparare intorno a mezzogiorno, prima dell’inizio della manifestazione. Mentre altre cinque persone sono state ferite nel vicino villaggio di Bil’in, dove lo scorso 17 aprile è stato ucciso un altro giovane palestinese. Gli abitanti di questi villaggi, poco distanti da Ramallah, ogni venerdì protestano contro il Muro dell’Apartheid.

venerdì 5 giugno 2009

Messico - 13 Pueblos in difesa di terra, aria ed acqua

Gli indigeni Nahuatl del Morelos messicano in difesa delle risorse naturali
Giovedì 4 giugno si è tenuto a Trento un incontro dal titolo "Pueblos: Gli indigeni Nahuatl del Morelos messicano in difesa delle risorse naturali", promosso dall’Associazione Yaku e supportato dall’Associazione Ya Basta, durante il quale sono intervenuti Saul Roque, capo Spirituale Nauhati di Xoxocotla, paese natale di Zapata, Fernanda Robinson, fotografa brasiliana, studiosa di culture indigene mesoamericane, produttrice esecutiva del film, Francesco Taboada Tabone, regista messicano del film documentario "13 puebos en defensa del agua, el aire y la tierra", che è stato proiettato al termine della serata.
Gli ospiti internazionali hanno raccontato le lotte dei popoli che vivono nello stato del Morelos, in Messico, in difesa delle risorse naturali, di cui sono custodi gli indigeni e i popoli originari che da 9 mila anni vivono in quelle terre, mentre il governo e le multinazionali vogliono accaparrarsi le terre e i corsi d’acqua distruggendo il territorio.
Don Saul Roque spiega che è fondamentale non solo difendere le risorse naturali che ancestralmente appartengono agli indigeni che le difendono e ne hanno cura, ma anche impedire che vengano privatizzate.Inizialmente "13 pueblos" hanno cominciato a lottare, adesso sono 64 e nonostante la repressione continuano a resistere.
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Fernanda Robinson nel suo intervento racconta che l’obiettivo del video-documentario è stato quello di creare uno strumento per aprire le porte al mondo a questa lotta, che in Messico viene censurata, ma che nonostante questo raggiunge sempre più persone interessate a conoscere la loro realtà e a vedere il video. Continua poi spiegando come è stata modificata la legge sugli ejidos, le terre che inizialmente erano comunitarie, ma con alcuni cambi alla costituzione sono diventate private ed è stato possibile venderle, e questo ha danneggiato fortemente gli indigeni che vivevano e coltivavano quelle terre. Cita anche il levantamiento zapatista del 1994 e conclude dicendo che, come si può vedere nel documentario, per le lotte e le resistenze il Messico è sul punto di esplodere.
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Francisco Taboada Tabone interviene ricordando che quando lo stato reprime violentemente la società civile, tutti abbiamo la responsabilità di difendere la popolazione e disconoscere lo stato.Termina spiegando che è necessario fare qualcosa per rompere la crtina imposta dall’informazione pilotata per informare realmente su quanto accade.
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Gheddafi: al dittatore una laurea honoris causa in diritto

L’Università di Sassari conferirà la laurea honoris causa in diritto al Colonnello Gheddafi. Uno che meriterebbe anni di carcere per le centinaia di omicidi politici di cui si è macchiato il regime in Libia. A dirlo sono i rapporti sulla Libia firmati Amnesty International e Human Rights Watch, che parlano di prigionieri politici, di reati di opinione, di torture e di una diffusa impunità. La notizia ha fatto talmente scandalo che sta girando un appello tra i docenti contro la decisione dell'ateneo di Sassari. Per aderire all'iniziativa, promossa dai Radicali, che sulla questione hanno anche presentato una interrogazione parlamentare, basta scrivere a info@radicali.it. Questa scheda fa parte del kit informativo per la campagna "IO NON RESPINGO": la potete scaricare online, stampare e distribuire durante le vostre iniziativeGheddafi è al potere dal 1969, dopo un colpo di stato, anche se dal 1979 non riveste alcuna carica ufficiale. Dal febbraio 2009 è anche presidente dell’Unione africana. I suoi 40 anni di regime sono macchiati di sangue e gravi restrizioni delle libertà dei 6,3 milioni di cittadini libici. La situazione è in miglioramento, grazie alla spinta riformatrice del figlio primogenito di Gheddafi, Sayf el Islam, che ha fatto rilasciare centinaia di prigionieri politici. Tuttavia la situazione è ancora critica.

PRIGIONIERI POLITICI
Fathi el-Jahmi, attivista politico, arrestato nel 2004 per aver chiesto riforme democratiche e criticato Gheddafi durante alcune interviste televisive. Nel 2005 venne condannato per “tentativo di rovesciare il governo, insulti al colonnello Gheddafi e contatti con le autorità estere”. E nel 2006 venne giudicato mentalmente inabile e trasferito in un manicomio. È morto il 21 maggio 2009, dopo essere caduto in coma.Idriss Boufayed e altri 11 attivisti sono stati condannati a pene dai 6 ai 25 anni di carcere per “tentativo di rovesciare il sistema politico”, “diffusione di false notizie sul regime libico” e “comunicazione con le potenze nemiche”. Erano stati arrestati nel febbraio 2007 per aver organizzato la commemorazione dell’uccisione di 12 persone a Benghazi, durante una manifestazione nel febbraio 2006. La sentenza è stata emanata dalla Corte di Stato della Sicurezza, istituita nel 2007 per casi di attività politiche non autorizzate. Tra ottobre e novembre 2008, nove degli 11 prigionieri sono stati rimessi in libertà.Mohammed Adel Abu Ali, aveva chiesto asilo politico in Svezia nel 2003. Rimpatriato in Libia il 6 maggio 2008, è morto sotto la custodia della polizia. Human Rights Watch sostiene che a ucciderlo sarebbero state le torture a cui venne sottoposto

TORTURA
La tortura è proibita dalla legge in Libia, tuttavia è praticata. Di 32 detenuti libici intervistati da Human Rights Watch nel 2005, 15 erano stati torturati per estorcere confessioni poi utilizzate nei processi. Sarebbe pratica comune incatenare i detenuti per ore al muro, picchiarli con bastonate sulla pianta del piede, e sottoporli a scariche elettriche. Altre sevizie sarebbero le ferite inferte con i cavatappi sulla schiena, la rottura delle articolazioni delle dita, il versamento di succo di limone sulle ferite aperte, il tentato soffocamento con sacchetti di plastica, la privazione del sonno e del cibo, lo spegnimento di sigarette sulla pelle e la minaccia ravvicinata di cani ringhiosi.

IMPUNITÀ
Nel 1996 centinaia di detenuti vennero uccisi dalla polizia durante una rivolta nel carcere di Abu Salim, a Tripoli. A 13 anni di distanza non è mai stata fatta chiarezza sulla vicenda. Né alcuno dei responsabili è stato individuato. E nessuna chiarezza è stata fatta sulle centinaia di oppositori e critici del regime, arrestati e scomparsi negli anni Settanta, Ottanta e Novanta.

Il sito http://www.stopqaddafi.org/ fa addirittura una lista di 343 civili uccisi dai servizi segreti libici dal 1969 al 1994

notizia da http://fortresseurope.blogspot.com

Per maggiori informazioni scaricate il rapporto di Human Rights Watch

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!