martedì 27 ottobre 2009

La disumana esistenza dei prigionieri politici palestinesi nelle carceri d'Israele.

Giorno dopo giorno, le sofferenze dei palestinesi crescono

Non sono infatti poche le famiglie che hanno uno o più membri nelle carceri degli occupanti israeliani.

Oggi, un piccolo barlume di speranza si scorge all’orizzonte, poiché è in corso una trattativa al cui centro vi è uno scambio di prigionieri. Ma intanto, il numero dei prigionieri palestinesi non cessa di aumentare. Essi non sono solo maschi: molte donne soffrono nelle carceri israeliane, senza diritti né rispetto. E gli israeliani si fanno beffe della loro dignità.

Ancora trentatré prigioniere. All’inizio di ottobre sono state liberate circa venti prigioniere palestinesi, ma ne restano in carcere ancora trentatrè, afferma il ministero dei Prigionieri. Venticinque sono della Cisgiordania, quattro di Gerusalemme, tre dei Territori occupati nel 1948 ed una della Striscia di Gaza.

Ventuno di esse sono nella prigione di al-Sharun, undici in quella di al-Damoun. La prigioniera di Gaza, Wafa, si trova in quella di ar-Ramla.

Riyad al-Ashqar, direttore dell’Ufficio informazioni del ministero, afferma in un rapporto che il numero delle prigioniere palestinesi non è mai stabile. Alcune vengono fermate per una giornata, ma altre restano in galera per molto tempo in attesa di giudizio.

Le condizioni di detenzione. Bisogna innanzitutto sapere che alcune prigioniere vengono arrestate assieme ai loro parenti: tre con i loro mariti, due con i loro fratelli. Poi, che esse si trovano in condizioni molto difficili, a causa delle quali soffrono di diverse malattie, talvolta gravi. A titolo d’esempio, Fayza Jum‘a soffre di un tumore al collo dell’utero, ma non riceve le cure necessarie. Idem per Wafa Samir, che soffre di ulcera.
Già da questo s’intuisce che gli israeliani fanno di tutto per far patire le prigioniere palestinesi. Le celle sono mal aerate; l’umidità, i topi e gli insetti sono la regola.

Esse soffrono molto della mancanza di cure mediche, di consultori, di analisi, di radiografie, di visite specialistiche, soprattutto ginecologiche. Infezioni d’ogni tipo, spesso di origine sconosciuta, logorano le detenute esponendole a vari pericoli.

Il Rapporto sottolinea infine che le detenute sono anche oggetto di ispezioni umilianti, quali le visite a sorpresa durante la notte o le ispezioni corporali che comportano il loro denudamento di fronte ai carcerieri.

tratto da Infopal

lunedì 26 ottobre 2009

Uruguay - "Pepe" Mujica è in testa e si andrà al ballottaggio

Il 20 novembre il ballotaggio tra l'ex-guerrigliero e il candidato del Partido Nacional


MONTEVIDEO - Si è fermato sotto la soglia del 50 per cento Josè Mujica, l'ex guerrigliero tupamaro candidato della coalizione di sinistra Frente Amplio alle elezioni presidenziali. 'Pepe', come si chiamava quando era leader dei guerriglieri di sinistra, sarà costretto a un secondo turno il prossimo 29 novembre. Al ballottaggio si presenterà forte del consenso, tra il 47% e il 49%, ottenuto al primo turno e dovrà affrontare Alberto Lacalle, che ha già guidato il paese tra il 1990 ed il 1995, candidato del Partido Nacional che ha ottenuto intorno al 29 per cento.

"Dobbiamo chiedere ai nostri compagni un ulteriore sforzo perché questo ci chiede il popolo uruguaiano", ha detto Mujica. I sostenitori del centrodestra, invece, hanno salutato il ballottaggio come una vittoria, scendendo a manifestare in piazza.

Sulla carta il candidato della sinistra, che ha 74 anni ed in passato ha trascorso 15 anni in prigione per la sua attività con il gruppo dei Tupamaros, da quando è passato alla vita politica istituzionale ha ricoperto diversi incarichi, tra i quali quello di ministro dell'Agricoltura. Se vincerà, prenderà il posto dell'attuale presidente, Vazquez Rosas, medico socialista che terminerà il suo mandato alla fine di febbraio del prossimo anno.

Messico- 14° Anniversario della Polizia Comunitaria: “esigiamo il rispetto dell’istituzione popolare”

Nuovi progetti per il Sistema di Sicurezza e Giustizia Comunitaria della Montaña e Costa Chica del Guerrero



Giovanna Gasparello, Città del Messico


Esiste una polizia che difende realmente la gente, ed una giustizia efficiente che ne rispetta i diritti? Assolutamente no, viene da rispondere, conoscendo gli abusi che ovunque nel mondo vengono commessi dai corpi di polizia e dalle autorità giudiziarie.
Eppure, in America Latina diverse esperienze popolari di giustizia e sicurezza vanno in senso contrario alle nostre certezze: un’esempio ne è il Sistema di Sicurezza e Giustizia Comunitaria-Polizia Comunitaria della Costa Chica e Montagna nello stato del Guerrero, nel Messico meridionale.
Il 14 e 15 ottobre si è celebrato il 14 anniversario di quest’istituzione popolare, un incontro ricco di proposte che apre nuove prospettive organizzative a livello regionale; un evento che ha sfidato la campagna di repressione sferrata negli ultimi mesi dall’Esercito e la Polizia Statale. Infatti, proprio nella giornata di apertura dell’incontro, un gruppo di Policias Comunitarios che, partiti dal loro villaggio, si dirigevano all’incontro, sono stati fermati per mezza giornata in un posto di blocco dell’Esercito. L’episodio, accaduto in una giornata speciale, è solo un’esempio della realtà quotidiana di repressione e minacce che vive quest’organizzazione indigena, esemplare nella pratica dell’autodifesa e dell’autonomia.
Il Sistema di Sicurezza e Giustizia Comunitaria del Guerrero è senza dubbio, dopo l’esperienza zapatista, il più importante processo di autonomia indigena nel contesto messicano. Ma la sua importanza trascende l’ambito nazionale, insegnado che è possibile costruire una giustizia diversa che vada oltre il castigo, e che la sicurezza, oltre che pretesto per la repressione com’è usata dai governi, può significare la difesa di un territorio da parte dei suoi abitanti, contro lo strapotere dei narcotrafficanti e delle polizie corrotte.

“Il rispetto ai nostri diritti sarà giustizia”

La Polizia Comunitaria –così è conosciuto popolarmente il Sistema di Sicurezza e Giustizia Comunitaria- nasce il 15 ottobre del 1995, come risposta a necessità concrete: principalmente quella di garantire l’incolumità degli abitanti della zona negli spostamenti tra i villaggi e le cittàa principali della regione Montagna e Costa Chica.
Questa zona, in cui l’85% della popolazione è indigena, nel 2007 è stata catalogata dall’ONU come la più povera di tutta l’America Latina. Quotidianamente, gli abitanti lottano contro la povertà, il narcotraffico, l’emigrazione, la violenza, la mancanza di accesso alla giustizia e la forte presenza dell’esercito.
A partire dagli anni ’70, l’aumento esponenziale della violenza e la criminalità nella Montagna –dovuto all’incapacità e la corruzione del sistema di sicurezza e amministrazione della giustizia statale– aveva provocato una situazione insostenibile di violazione dei diritti umani elementari, aggravata dalla discriminazione e dal difficile accesso alla giustizia per la popolazione indigena.
Dopo un lungo processo di discussione, le comunità della zona decisero di fare fronte alle proprie necessità unendosi ed esercitando il diritto alla libera determinazione: creando un sistema autonomo di controllo del territorio e di vigilanza comunitaria organizzato a livello regionale, in cui la sicurezza e la giustizia sono intese come un cargo comunitario, che gli individui svolgono senza ricevere nessuna retribuzione, come un servizio alla propria società.
I gruppi di Policia Comunitaria (una decina in ogni comunità) dispongono di armi semplici, quelle che usano i contadini per cacciare, principalmente con la funzione di deterrente. Il Comité Ejecutivo, composto da nove Comandanti Regionali, coordina circa 700 Policias Comunitarios distribuiti nelle 69 comunità integranti il Sistema. All’origine la competenza della PC era limitata: pattugliava le vie di comunicazione ed arrestava i delinquenti, consegnandoli poi all’autorità giudiziaria. Ma in breve tempo si rese ancor più evidente la corruzione e l’incapacità delle autorità giudiziarie statali: fu così che nel 1998 venne istituita la Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias (CRAC), un organo collegiale che compie la funzione dei Giudici di Pace e Penale, amministrando la giustizia alle persone che delinquono nel territorio d’azione della PC.

Un’altra giustizia

Nella risoluzione dei conflitti le autorità regionali privilegiano sempre la conciliazione tra le parti, elemento caratteristico della cultura indigena. Quando ciò non è possibile, e la CRAC giudichi l’accusato colpevole, la pena prevista è la rieducazione, che consiste nello svolgere lavori “socialmente utili” a favore delle comunità appartenenti all’organizzazione, 15 giorni in ognuna fino all’esaurimento della pena.
Gli anziani o le persone con maggior autorità morale –principales– delle comunità hanno il compito far riflettere i detenuti sul loro comportamento. Non è il concetto punitivo che orienta la giustizia comunitaria, quanto la volontà di dare al trasgressore l’opportunità di reintegrarsi alla comunità. Da un lato l’individuo è tenuto, in base ad un ideale “compensativo”, a ripagare in termini concreti ed utili, il danno causato alla collettività commettendo il crimine, ed allo stesso tempo la gente apprende ad accettare coloro che hanno sbagliato; la la presenza dei detenuti nella comunità ha una funzione esemplare e dissuasoria.

Legittimità vs. legalità

L’efficacia del Sistema è indubbia: le statistiche affermano che dalla sua creazione la criminalità nella regione è diminuita del 95%. Si tratta di una starodinaria esperienza interculturale: i popoli indigeni me’phaa (tlapaneco), ñu saavi (mixteco) e i meticci della regione hanno creato un vero e proprio sistema giuridico autonomo, che integra le norme di convivenza e la cultura indigena con elementi del diritto positivo.
E’ una giustizia della gente, che parla la loro lingua e comprende i loro problemi.
Oltre alla giustizia ed alla sicurezza, la Polizia Comunitaria ha avviato diversi progetti produttivi e, recentemente, ha installato una radio comunitaria per dare voce agli abitanti della regione.
Gli indigeni della Costa Chica e Montagna del Guerrero stanno mettendo in pratica il diritto collettivo all’autonomia, sancito dalla Dichiarazione dei Popoli Indigeni dell’ONU e dal Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, così come dagli Accordi di San Andrès, firmati dal governo messicano e l’EZLN nel 1996.
Purtroppo, il diritto all’autodeterminazione rimane un tabù per lo stato messicano, che non rispetta il diritto internazionale, reprimendo incondizionalmente le esperienze di autonomia e costruzione del governo dal basso presenti in molte regioni del Messico.
Il conflitto che emerge è tra la legalità a cui appella lo Stato e la legittimità con cui contano la Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias-CRAC e la Polizia Comunitaria.
Trentotto ordini di cattura pendono sulla testa della CRAC: l’accusa è di privazione illegale della libertà, quando nell’esercizio della loro funzione decretarono l’arresto di delinquenti e gli comminarono un periodo di rieducazione. Secondo il sistema giuridico messicano, che non riconosce l’istituzione indigena autonoma, questo rappresenta una violazione ai diritti umani individuali. Si tratta di un uso repressivo del discorso sui diritti umani, frequentemente utilizzato contro le esperienze di amministrazione autonoma della giustizia, come nel caso delle Giunte del Buon Governo zapatiste in Chiapas.
Uno dei temi trattati nei tavoli di discussione realizzati durante il 14° anniversario è stata proprio la relazione tra il Sistema di Sicurezza e Giustizia Comunitaria e lo Stato. Nonostante periodicamente si svolgano tentativi di avvicinamento e dialogo con le autorità dello stato del Guerrero, alla fine i negoziati si rompono di fronte alla reiterata volontà di istituzionalizzare la Polizia Comunitaria, includendola nei corpi di polizia municipale, controllata dai governi locali. Questo implicherebbe che non sarebbero più le assemblee popolari a scegliere ogni anno coloro che faranno parte della Polizia Comunitaria, e significherebbe una sostanziale perdita di autonomia dell’istituzione comunitaria.
E’ per questo che, anche nell’anniversario, si è ribadito che “questo progetto non ha bisogno del riconoscimento del governo, perchè basta e avanza che sia il popolo ad appoggiarlo e riconoscerlo”. La Polizia Comunitaria esige dunque il rispetto mentre rifiuta il riconoscimento (spesso una trappola dei governi per ridurre l’autonomia dei movimenti).
La relazione istituzionale con lo stato non esiste e non la vogliamo, poichè il popolo è libero e sovrano come dice la Costituzione. Riguardo agli ordini di cattura, rappresentano una logica di vendetta e criminalizzazione della giustizia comunitaria”, si legge nella dichiarazione finale dell’anniversario.

Campamento General Enrique Rodriguez Cruz: bersaglio della repressione

Quest’anno la Polizia Comunitaria ha celebrato il suo anniversario in una comunità dalla lunga tradizione di lotta: il Campamento General Enrique Rodriguez, situata nel municipio di Marquelia, a pochi chilometri dal mare, tra grandi piantagioni di cocco e campi di mais. Nella comunità l’organizzazione collettiva è una pratica profondamente radicata in tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Il Campamento ha questo nome perchè, con la stessa tattica utilizzata dai Sem Tierra brasiliani, vent’anni fa un gruppo di contadini hanno deciso di occupare il latifondo di un ricco allevatore spagnolo, accampandosi in una parte del terreno ed iniziando a coltivarlo. La determinazione dei contadini ebbe la meglio sui pistoleros del latifondista, che alla fine abbandonò la zona.
Il Campamento ha organizzato la propria Polizia Comunitaria recentemente, appena un anno e mezzo fa, ma è già stato ripetutamente oggetto della repressione dello Stato.
Qualche mese fa, la Polizia Statale è entrata nella comunità per arrestare una persona, senza rispettare l’autorità e la giurisdizione della Polizia Comunitaria; la tensione è degenerata in uno scontro a fuoco durato alcune ore. Alla fine di agosto, 80 militari hanno fatto irruzione nella comunità e hanno arresato 13 Poliziotti Comunitari, accusandoli prima di essere membri di un gruppo guerrigliero (l’Esercito Popolare Rivoluzionario, EPR) e giustificando poi l’arresto con il fatto che, al momento dell’operativo, i contadini non erano in possesso di un’identificazione ufficiale.
Episodi del genere sono un esempio della startegia repressiva messa in atto dallo Stato messicano, che, con il pretesto della lotta al narcotraffico e alla guerriglia, mira a criminalizzare le organizzazioni di base ed i movimenti. Negli ultimi tempi, è frecuente che gli attivisti vengano accusati di vincoli con il narco e per questo arrestati, in un clima di impunità e paura provocato dalla militarizzazione capillare in vaste regioni del Messico, tra le quali spicca proprio lo stato del Guerrero.
L’ennesima provocazione è arrivata durante l’inaugurazione dell’incontro del 14 anniversario: un gruppo di Polizia Comunitaria che si recava all’evento è stato fermato per mezza giornata in un posto di blocco (illegale) installato dall’Esercito lungo la strada. La risposta non si è fatta attendere: il giorno successivo, 15 di ottobre, più di 600 Poliziotti Comunitari, in divisa (maglietta e berrettino) e con i loro fucili, hanno sfilato per le strade di Marquelia, città capoluogo della zona, accompagnati da tutti i partecipanti all’incontro, rivenicando il rispetto all'istituzione indigena.

14 anni di lotta: nuovi progetti e prospettive per la Polizia Comunitaria

La relativa sicurezza nella regione e la presenza di un sistema di giustizia vicino alla gente sono le grandi conquiste del Sistema di Sicurezza e Giustizia Comunitaria, che però non può certo permettersi di dormire sugli allori.
La crisi economica e la crescente decomposizione sociale che si vive in tutto il paese si fanno sentire anche in questa regione indigena e rurale, dove negli ultimi tempi si registra un’aumento della delinquenza, a causa della mancanza di alternative e della povertà in aumento. L’organizzazione comunitaria deve dunque svilupparsi, aprirsi ad altri aspetti della vita quotidiana e rafforzare la costruzione di autonomia e di una società alternativa.
In questo senso, l’incontro svoltosi in occasione dell’anniversario del 2009 è stato ricco di riflessioni e proposte, articolate nei Tavoli di Discussione sui temi: Partecipazione delle donne nella Polizia Comunitaria, Salute, Educazione, Comunicazione, Sovranità alimentare e Relazione con lo Stato.
Hanno animato la discussione collettivi ed organizzazioni provenienti da vari stati del Messico, così come una delegazione della Via Campesina Internazionale, composta da rappresentanti del Movimiento Sem Tierra brasiliano, attivisti del Salvador e messicani.
La delegazione di Via Campesina ha animato il dibattito sul tema della sovranità alimentare, al termine del quale ha formalmente stretto un’alleanza con la Polizia Comunitaria. I progetti che prenderanno il via nella regione prevedono la coltivazione biologica, la creazione di una banca di semi locali e di un mercato regionale.
Il tema della sovranità alimentare è strettamente legato a quello della salute, in una regione dove la povertà raggiunge livelli estremi, assieme alla denutrizione ed alla morte per malattie curabili. La discussione ha accordato la creazione del Sistema Comunitario di Salute, e la formazione di promotori di salute in tutte le comunità parte del Sistema di Sicurezza e Giustizia Comunitaria.
Durante l’anniversario, momento di festa e di incontro tra numerose organizzazioni della regione, il tema della sicurezza comunitaria e del diritto all’autodifesa dei popoli indigeni è stato ripreso da molti partecipanti. In particolare, un rappresentante del municipio di Tlacoapa ha espresso l’imminente formazione di una Polizia Comunitaria nella zona.
Un’appello all’unità ed alla coordinazione dei progetti di autonomia e di resistenza è giunto dai collaboratori di Radio Ñomndaa, storica emittente comunitaria nella regione, e dai rappresentanti del Municipio Autonomo di San Juan Copala, nello stato di Oaxaca.
Un’incontro, quello del 14 anniversario, che ha ribadito l’importanza della Polizia Comunitaria ed ha aperto prospettive per la strada da percorrere, nella costruzione dell’autonomia.

www.policiacomunitaria.org

Messico - Chiapas 2.0.10

Presenz/attiva dicembre 2009 gennaio 2010



Una Carovana dell'Associazione Ya Basta! e del Coordinamento Toscano di sostegno al Chiapas Rebelde.

Anche questo inverno saremo presenti in Chiapas con l’obiettivo di appoggiare concretamente il processo di autonomia delle comunità indigene zapatiste.

In questa occasione ci incontreremo con la Giunta di Oventic a cui è stata consegnata la terza autoambulanza al Sistema di Salute Autonomo della zona “Los Altos”. Già nel 2005 furono consegnati altri due veicoli grazie allo sforzo dell’Ass. Ya Basta ! di Milano, veicoli dedicati a Carlo Giuliani e Dax.

Questa terza ambulanza sarà dedicata alla comandanta Ramona. Oggi l’ulteriore sostegno appare sempre più importante se pensiamo ai risultati raggiunti dagli zapatisti nel processo di costruzione della propria autonomia e indipendenza. Un percorso ancora in evoluzione e ricco di successi, che testimonia la volontà di proseguire nella costruzione di un mondo differente. Un percorso non privo di difficoltà, perché immerso in un contesto politico e sociale, quello dello stato del Chiapas e del Messico in generale, caratterizzato da un altissimo livello di repressione e militarizzazione, inserito nel clima generale della "guerra al narcotraffico" che sta avendo effetti sempre più pesanti.

Abbiamo chiamato la carovana invernale “Messico 2.0.10”, per ricordare il centenario della prima rivoluzione zapatista e la lunga storia di lotte in tutto il Messico.

Saremo in Messico per conoscere direttamente le lotte che, anche in questi mesi, attraversano il paese: dalla mobilitazioni del Sindacato degli elettricisti alle lotte locali in difesa dei beni comuni, alle lotte indigene che vogliono affermare autonomia e capacità di liberare i propri territori dallo sfruttamento.

Saremo in Chiapas per stare con le donne e gli uomini zapatisti nei giorni dell'anniversario del "levantamiento" del 1 gennaio 1994, per visitare le comunità che praticano giorno dopo giorno la propria indipendenza e autonomia, per svelare le molte provocazioni che a tutti i livelli si cerca di costruire contro l'esperienza zapatista.

PERCORSI

CARACOL DI OVENTIC - In occasione dell'arrivo della terza ambulanza, inviata da Ya Basta Milano e dedicata alla Comandante Ramona, si svolgeranno gli incontri con i responsabili del Sistema Sanitario degli Altos de Chiapas e la visita alle coltivazioni del caffè rebelde zapatista, importato in Italia dall’Ass. Ya Basta!

CARACOL DI MORELIA - Incontri per conoscere e appoggiare il Sistema diEducazione Autonoma. Mantenimento delle relazioni con i Municipi gemellati (progetto Herman@s).

CARACOL DI ROBERTO BARRIOS - Incontri per continuare i progetti di solidarietà portati avanti dal Coordinamento Toscano

CARACOL LA REALIDAD - Incontro tra il Presidio No Dal Molin di Vicenza e la Giunta del Buongoverno per consegnare i fondi del Progetto Autogoverno possibile e per continuare il Progetto “Agua para Tod@s”

PER INFORMAZIONI SULLA PARTECIPAZIONE:

* Associazione Ya Basta Nord Est www.yabasta.it -

mail yabasta@sherwood. it

* Associazione Ya Basta Roma Blog Roma -

mail moltitudia_yabasta@ yahoo.it

* Associazione Ya Basta Napoli Blog Napoli

mail yabastanapoli@ yahoo.it

* Associazione Ya Basta! Milano www,yabastamilano.it

mail yabastaonlus@gmail.com

* Coordinamento Toscano di sostegno alla lotta zapastista Blog Toscana

mail coordinamento- toscano-zapatist a@inventati. org


Presenz/attiva Estate 2009

Per conoscere in diretta le denunce sulle provocazioni in Chiapas e Messico: Enlace zapatista

domenica 25 ottobre 2009

Ci vediamo a Copenhagen


A dicembre si svolgerà a Copenhagen la più grande Conferenza U.N. sui cambiamenti climatici (COP15), evento che sta catalizzando un’enorme attenzione a livello globale.

Formalmente la discussione a livello ONU sarà basata sulla ri-definizione delle quote di emissioni di CO2, in realtà dietro questo scenario le poste in gioco sono molto più complesse.

Il prossimo dicembre a Copenaghen non si terrà un summit, un vertice di potenti come tanti ne abbiamo visti in questi anni, né una semplice “conferenza mondiale”, sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Il tema e soprattutto il momento, in cui si colloca, definiscono la portata storica di un evento, che va ben oltre i suoi aspetti formali: un enorme spazio pubblico, attraversato da dubbi e certezze, conflitti reali tra interessi contrapposti, contraddizioni irresolubili, sancirà la centralità della questione ecologica, a partire dai cambiamenti climatici, nel dibattito globale sulla crisi.

Sarà il riconoscimento, incontrovertibile, che la nostra è l’epoca della precarietà della vita, intesa come bios, sussunta interamente all’interno dei rapporti sociali di sfruttamento capitalistico.

Un bios, all’interno del quale sono divenute indistinguibili, e tanto meno schematicamente separabili, le dimensioni del naturale e dell’artificiale, ma che, sempre più, si rivela come l’esito continuamente ridefinito di un’interazione dinamica, di un rapporto complesso tra uomo e natura.

Un bios che è oggi ontologicamente precario, perché costitutivamente esposto agli effetti molteplici di una crisi eco-sistemica, che mette in questione le condizioni fondamentali della riproduzione stessa della vita nella biosfera e, in quanto tale, anticipa e, in qualche modo, sovradetermina la crisi finanziaria ed economica.

Sono le lotte per la liberazione dallo sfruttamento e i tentativi del capitale di catturarne e imbrigliarne la spinta verso forme del vivere più giuste e più libere, ad averci condotto fino a qui.
Il motore che ha trasformato il mondo, fino a farlo diventare qualcosa che ci è oggi ancora in gran parte sconosciuto, è stata la dialettica tra lotte sociali e sviluppo capitalistico.
E’ stato cioè il conflitto permanente tra il desiderio di emancipazione e i rapporti di dominio ad aver generato enormi cambiamenti nelle forme della produzione e della riproduzione sociale, fino a giungere al paradosso contemporaneo, la coesistenza di abbondanza (nell’immaterialità digitalizzata di idee, conoscenze, affetti, relazioni, anche quando applicate a risorse naturali rinnovabili) e di scarsità (nella materialità di risorse naturali, quando sono per definizione limitate e non rinnovabili) nello stesso bios, nello stesso pianeta.

Ma la crisi climatica ci avverte, e lo fa in maniera pressante, che, come avviene per la relazione tra naturale e artificiale, così non è possibile separare questi due elementi che compongono la nostra vita: non si può pensare di consumare, fino al loro esaurimento, le risorse naturali a favore del pieno godimento delle libertà dell’immateriale, né oggi ha alcun senso riferirsi all’immateriale, che traduce fino in fondo l’infinitezza del desiderio e la potenza della cooperazione umana, aprendola agli illimitati territori della libertà della conoscenza e della condivisione, come a qualcosa di “secondario” e, quindi, meno degno di considerazione.

L’inscindibile relazione tra beni immateriali e beni naturali nel bios contemporaneo, e quindi la contraddittoria coesistenza di abbondanza e scarsità, oggi vero epicentro della crisi sistemica globale, segnalano invece che è nella definizione e nello scontro attorno al concetto di commons, cioè dello statuto di ciò che è comune, il nodo del problema.
Attraverso la privata appropriazione di risorse primarie scarse ed il loro illimitato consumo, il capitale ha imposto la depredazione sviluppista ed industrialista del pianeta, mentre - attraverso la normazione dell’ “eccessiva libertà” del digitale - vorrebbe imporre la rarefazione e il controllo della libera comunicazione e condivisione dei saperi e delle tecnologie.

Al centro del conflitto con chi vorrebbe continuare ad esercitare pieno comando su ciò che esiste e su ciò che si produce, per trarne profitto, vi è dunque altro da ciò che appare: sia nel caso delle battaglie per impedire la distruzione dell’ecosistema, sia in quelle per la difesa della libertà digitale, viene messa in crisi l’idea di “proprietà”, privata o pubblica che sia, verso invece l’affermazione di un nuovo paradigma del comune, come prodotto di molteplici relazioni della vita, in cui scarsità e abbondanza, naturale e artificiale, territorio e soggetti sociali, si ricombinano a favore di tutti.

Viene da sé che la contemporanea battaglia per i commons ha strettamente a che fare con l’affermazione dell’indipendenza. Anzi, essa può essere definita più precisamente nei termini di “decrescita dalla dipendenza” e di “crescita dell’indipendenza”, in ogni aspetto intrecciato che riguarda la vita.

E’ per questo che la crisi ecologica si conferma non come una delle conseguenze della crisi più generale, ma come il suo centro, quello che determina, e non che segue, la crisi della finanza e i suoi effetti sociali.
Al suo interno ritroviamo il precipitato del nuovo bios, geneticamente mutato da un rapporto di sfruttamento che ha sussunto in sé la vita in quanto tale.

E anche la fine della centralità di vecchi paradigmi, legati alla previsione di un’illimitata possibilità di sviluppo fondata su “ciò che è scarso” (perché risorse naturali limitate e non rinnovabili) e non è più indefinitamente privatizzabile (perché percepito come bene comune).

Gli effetti della crisi ecologica obbligheranno i capitalisti a pensare ad uno sviluppo fondato invece su “ciò che è abbondante” (beni immateriali).
Ma, dal momento che questi sono prodotti comuni della cooperazione sociale, questo potenzia la possibilità umana di organizzarsi per l’indipendenza, e costringe noi ad assumere fino in fondo questa come la nuova dimensione della lotta per cambiare questo mondo.

Ci vediamo a Copenhagen quindi, perché precaria è la nostra natura, comune il nostro destino, e più che precari sono i nostri mezzi, ma insieme ad una moltitudine di tanti e diversi possono crescere invincibili speranze.

Ci vediamo a Copenhagen per partecipare attivamente alle giornate della Conferenza COP15, per mobilitarci insieme a molti, per attraversare le mobilitazioni promosse dalle reti internazionali, dalle realtà collettive.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!