lunedì 16 gennaio 2012

Cile - La rivoluzione dei pinguini

di Raul Zibechi


Gli studenti cileni non solo mettono in questione l’educazione che ricevono perché è mercantile ed elitaria, e perché riproduce e approfondisce le disuguaglianze, ma nelle scuole occupate mettono in pratica l’educazione che sognano e per la quale lottano da anni.
“Se i lavoratori possono autogestire una fabbrica, noi siamo in grado di gestire in autonomia il liceo”, butta lì con un sorriso stampato in faccia Christopher, 17 anni, studente del liceo “Luis Corvera Galecio A-90″, nel municipio di San Miguel de Santiago. Il liceo è stato occupato come altri 200 in città, ma il 26 settembre ha deciso di seguire l’esempio dei lavoratori della fabbrica di ceramica Zanon di Neuquén (Argentina), occupata dai lavoratori e rimessa in funzione già da dieci anni.
“In quel momento le cose erano complicate perché l’occupazione si stava indebolendo – riflette Christopher – Sapevamo che non bastava criticare l’educazione che riceviamo e bisognava fare qualcos’altro, ma non sapevamo cosa. Fino a quando siamo venuti a sapere che si teneva un incontro con gli operai della Zanon presso l’Universidad de Chile, siamo andati a sentirte e quando siamo tornati abbiamo iniziato l’autogestione del liceo”.
Con l’autogestione hanno c ominciato a tornare la maggior parte degli studenti, si aggiunse una parte degli insegnanti e si ottenne l’appoggio entusiastico di molti genitori. “Quando vedo i miei figli svegliarsi senza che li debba spingere ad andare a scuola, che vengono con entusiasmo, ho capito che stavano facendo qualcosa di importante, ossia una formazione diversa”, dice una madre nel campo di basket su cui picchia il pesante sole di novembre.
Il personale non docente si è invece rifugiato in una risoluzione del sindacato che li autorizza a non andare a lavorare se non funziona la direzioen della scuola. “I sindacati non lavorano se non c’è il padrone”, ironizza Christopher provocando risate nel cortile. In pochi mesi gli studenti delle scuole superiori hanno imparato di più che in anni di monotone lezioni, prendno l’iniziativa sul corso degli studi, suggeriscono argomenti, arrivano puntuali e sono felici di non dover indossare la divisa da “pinguino” che lo Stato gli impone.
Lo lotta degli studenti è stata uno scossone tremendo per la società cilena. Niente sarà più come prima. Riflettono questa realtà anche i sondaggi. Il quotidiano La Nacion ha posto la domanda “Qual è stato l’evento migliore del 2011?”. Il 63% ha risposto “il movimento ambientalista e quello degli studenti”, contro il solo 17% che ha scelto “la campagna della U”, la squadra di calcio della Universidad de Chile che ha vinto la Coppa del Sud America a fine novembre. Solo il 3% ha detto che il fatto più importante è stato il Premio Cervantes assegnato al Nicanor Parra.  Gli intellettuali più importanti del Cile sono d’accordo con la valutazione del direttore di Le Monde Diplomatique, Victor Hugo de la Fuente: “Gli studenti cileni in cinque mesi di proteste di massa hanno cambiato il volto del paese”. Il Manifesto degli storici va anche oltre, sostenendo che “siamo in presenza di un movimento di carattere rivoluzionario-antineoliberista”, che sta riconsegnando la politica alla società civile e riannodando il “filo spezzato della nostra storia”, interrotta dal colpo di stato del 1973.

Taiwan: oggi si vota con il convitato di pietra

di Angela Pascucci


Oscilla da 60 anni senza mai fermarsi fra l'isola e il continente. Il governo Ma, che si ripresenta, ritiene di rappresentare al meglio la «politica dei tre no». E gli Stati uniti sono in difficoltà Per i sondaggi testa a testa nazionalisti favorevoli allo status quo e indipendentisti Il presidente uscente presenta risultati importanti ma controversi. I suoi 4 anni di governo fra i più pacifici dei 60 anni di storia dell'isola ribelle. Una politica di avvicinamento senza precedenti
Occhi puntati su Taiwan che oggi vota per eleggere un nuovo presidente e i 113 deputati del suo parlamento, il Legislative Yuan. Un convitato di pietra, la grande Cina, seguirà gli abitanti dell' «isola ribelle» nel segreto delle cabine elettorali mentre dall'altra parte del Pacifico gli Stati uniti fingeranno di osservare super- partes, incrociando le dita. E tutti sperano che il verdetto delle urne, con quel che seguirà, non vada ad aggiungersi alla lista dei problemi che affliggono il mondo in questo momento di crisi globale.
I 32 milioni di taiwanesi non ignorano l'aspettativa che si concentra sulle loro complicate vicende in queste occasioni. Votano ormai per la quinta volta dal 1996, anno che mise fine al sistema del partito unico, quello del Kuomingtang (Kmt) nazionalista di Chiang Kai shek, e avviò un sistema sostanzialmente bipolare che da allora vede fronteggiarsi ogni 4 anni i «blu», i nazionalisti del Kmt, fedeli al concetto di «una sola Cina», e i «verdi», gli indipendentisti del Democratic Progressive Party (Dpp), con l'aggiunta dal 2000 del People First Party (Pfp).
In questa tornata il Kmt ricandida il presidente uscente, Ma Ying-jeou, 61 anni, eletto nel 2008 con una valanga di voti che aveva assicurato al suo partito ben 81 seggi nel Legislative Yuan, dopo otto anni di Dpp segnati da alta tensione con Pechino e finiti in clamorosi processi per corruzione, con lo stesso presidente Chen Shui bian condannato a 17 anni di carcere. Il Progressive Party affida oggi la sua riscossa politica e morale a Tsai Ing-wen, 55 anni, la prima donna a candidarsi alla presidenza. Terzo incomodo è James Soong Chu-yu, 69 anni, presidente del Pfp, definito il Ralph Nader taiwanese, per il suo ruolo di guastatore. Non vincerà (i sondaggi gli assegnano dall'8 al 10%) ma sottrarrà voti, soprattutto al Kmt, da cui è stato espulso nel 2000, diventando l'ago della bilancia per eventuali coalizioni.

Cina - Arriva l'iPhone a Pechino: ressa e rissa per comprarne uno

Cina iphone

L'oggetto di culto costa fra i 6000 e gli 8000 yuan.

di Michelangelo Cocco

Quando alle 7 di ieri mattina, contrariamente a quanto annunciato, le saracinesche non si sono alzate, dalle centinaia di persone accalcate fuori a quello che a Pechino tutti chiamano familiarmente pingguo (mela), è partito un lancio di uova che ha impiastricciato le vetrine. «Aprite le porte!», «Bugiardi!», urlava all'esterno del negozio della Apple la massa di giovani che aveva passato la notte all'addiaccio (-9 la temperatura minima) pur di portarsi a casa l'iPhone 4S, il giocattolino elettronico che sarà anche il simbolo dello sfruttamento degli operai della Foxconn - che lo produce in Cina per l'azienda di Cupertino - ma che nelle metropoli della Repubblica popolare è soprattutto uno degli status symbol più bramati da una classe media in crescita e a caccia di tutto ciò che è «Occidente», dalle biografie dei vip (quella di Steve Jobs va a ruba), ai talk show che il Partito comunista (Pcc) ha rimosso dalle tv satellitari ma che milioni di utenti seguono sul web. 
«L'iPhone 4S è la cosa migliore che Steve Jobs abbia creato, per questo ne voglio uno. Rimarrei estremamente deluso se non aprissero le porte», ha raccontato al South China morning post poco prima che scoppiassero gli scontri Li Tianye, un ventinovenne che s'era fatto due giorni di viaggio in autobus pur di non mancare allo storico, fallimentare lancio.

sabato 14 gennaio 2012

Europa - Il male ungherese è il male dell'Europa


ungheriaunicavia

Tra populismo e autoritarismo, la via di fuga dell'Ungheria dalla crisi

A cura di Valerio Renzi


Sono diverse settimane che l'Ungheria guidata da Viktor Orban è sotto i riflettori per la decisa virata autoritaria che il governo di destra ha impresso al paese, concretizzatasi in una riforma costituzionale che limita i poteri della magistratura, la libertà di stampa e da un ruolo quantomeno anomalo in un regime democratico al potere esecutivo. Orban sta portando inoltre l'Ungheria di fatto fuori dalla strada che porta all'euro e all'integrazione economica e politica con l'Unione. Di cosa succede in Ungheria e nell'est dell'Europa ne parliamo con Matteo Zola giornalista e direttore di "East Journal" un sito che svolge un lavoro pregevole e importante nel raccontare cosa succede ad oriente del nostro continente.
Qua una raccolta di articoli dedicati da East Journal alla situazione ungherese:

http://eastjournal.net/2012/01/03/ungheria-tra-nuova-costituzione-ed-estrema-destra-una-retrospettiva/
E' da dopo la caduta del muro che in est Europa soffia il vento di un populismo di destra e autoritario, forse complice la crisi. Quanto sta avvenendo in Ungheria è l'apice di questo processo e il caso più preoccupante...
Quello ungherese è il caso più evidente, presentato dai media “occidentali” (se questa parola ha ancora un senso in Europa) con un certo semplicismo, ma non è certo l'unico né forse il più grave. E' da quando ho fondato East Journal che seguo gli sviluppi dell'estremismo di destra, prima in Europa orientale, poi ampliando lo sguardo all'interezza del vecchio continente. La domanda, per me, è sempre stata una: perchè? Perché l'estremismo di destra si diffonde, vince elezioni, governa? Qual'è la sua forza? In un primo momento, guardando solo all'oriente europeo, mi sono dato la risposta più ovvia: quei Paesi non hanno conosciuto i fascismi di matrice nazionalista, quindi la deriva nazionalista è più facile, tanto più se hanno visto le loro istanze indipendentiste annichilite dall’omologazione sovietica. La riscoperta della propria identità nazionale diventa necessaria anche al fine di ri-costruire una società che si riconoscesse nel nuovo ordine costituito. In un simile contesto non stupisce il radicalismo specie se utile a questo o quel politico per ottenere consensi. Consensi facili, infine, se le opposizioni sono rappresentate dagli eredi del vecchio regime come nel caso del partito socialista ungherese.
L'Ungheria però è stata governata fino al 2010 proprio dal partito socialista, erede del regime, con la sola parentesi del 1998- 2002 in cui vinse la Fidesz di Viktor Orban che fu nominato primo ministro.
Ecco allora che affermare che il populismo di destra e le tendenze autoritarie siano figlie del 1989 diventa fuorviante. Il fenomeno, in Europa orientale, è assai più recente e metterlo in relazione con la caduta del Muro di Berlino è una soluzione suggestiva quanto facile.
Allargando lo sguardo si vede che la nascita di questo tipo di populismo, che non esiterei a definire d'ispirazione clero-fascista, non è la ruvida Europa orientale ma sono Austria, Svizzera, e poi Baviera, nord Italia, Francia pre-alpina. E' qui che all'inizio degli anni Novanta si sviluppa il modello, pur con caratteristiche diverse e differenti gradazioni, che ritroviamo anche nell'Europa orientale. Lega Nord, l'Udc elvetico di Christoph Blocher, l'Fpö di Jorg Haider, la Csu bavarese di Edmund Stoiber (che ben si presta ad “alleanze” politiche con partiti estremisti ma che orbitano nell'Internazionale cattolica, come la Lega delle Famiglie polacche o l'Hdz croato, di cui diremo dopo) e il Front National in Francia. Questi partiti, all'inizio degli anni Novanta, presentano tutti gli elementi del nuovo populismo europeo pur non presentandoli sempre tutti insieme: intolleranza, (etno)nazionalismo, antieuropeismo, antisemitismo, autoritarismo, populismo, paternalismo, fondamentalismo religioso e/o identitario.

mercoledì 11 gennaio 2012

Movimenti Antisistemici: Occupy Wall Street, El Barrio e l’EZLN.

Los de Abajo

Il legame tra Occupy Wall Street, El Barrio e l’EZLN
di Gloria Muñoz Ramírez 
Tra la 117ª e 2ª, nel cuore di El Barrio ad Harlem, New York, un murales della lotta zapatista illustra la connessione del Movimento per la Giustizia nel Barrio (MJB) con gli indigeni del Chiapas. Il Movimento è parte dell’Altra Campagna. Sono gli zapatisti di questa città nella quale dal 17 settembre scorso è in svolgimento l’iniziativa Occupy Wall Street.
I vincoli non sono pochi. Il movimento zapatista, quello di El Barrio e Occupy sono parte del 99% del pianeta, ovvero, compongono il mondo degli esclusi. Nel seminario dei movimenti antisistema che si è svolto questo fine anno a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, in occasione del 18° anniversario dell’insurrezione dell’EZLN, sono confluite le tre lotte: Il MJB ha presentato una dichiarazione di appoggio agli zapatisti firmata da oltre mille componenti dell’assemblea di Occupy Wall Street, che a loro volta hanno parlato dell’influenza zapatista nelle assemblee che si tengono di fronte al centro finanziario più importante degli Stati Uniti.
Nella dichiarazione fatta arrivare da Piazza della Libertà, si denunciano gli attacchi contro le comunità indigene di San Marcos Avilés, San Patricio, e Rancho La Paz e si chiede “il rispetto dell’autonomia e l’autodeterminazione dei popoli zapatisti”.
A quasi quattro mesi dal suo inizio, il movimento Occupy Wall Street si è esteso a oltre mille città degli Stati Uniti e a decine di paesi nel mondo. In questa lotta, segnala Merlina, attivista di Occupy Wall Street: “Ci sono molte persone che sono state fortemente influenzate dagli zapatisti”. In un’intervista con la rivista virtuale Desinformémonos, Merlina ha spiegato che “quello che molta gente del movimento Occupy sta tentando di fare è rompere la relazione tra il capitale e l’uomo, perché finché questa continuerà, le persone dovranno continuare a vendere le proprie vite e la propria anima alla macchina capitalista e non saranno in grado di vivere in comunità autonome ed autosostenibili”. Aggiunge: “Gli zapatisti hanno lanciato messaggi molto chiari ed ispiratori che sono  arrivati alle coscienze degli statunitensi. Il fatto che queste comunità continuino a lottare contro il mondo, è fonte di forza, guida e saggezza per chi ora si mobilita negli Stati Uniti”.
L’autonomia zapatista, si dice nella dichiarazione newyorkese del MJB, “fa arrabbiare i servi del sistema capitalista”. In Messico, segnalano, “i governi federale, statale e municipale utilizzano le loro forze di polizia e militari ed i loro gruppi di scontro paramilitari per cercare di distruggerla”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!