martedì 19 novembre 2013

Messico - SupComandante Marcos - Rewind 3

REWIND 3.

Che spiega il perché di questo strano titolo e di quelli che seguiranno, che narra dello straordinario incontro tra uno scarabeo ed uno sconcertante essere (voglio dire, più sconcertante dello scarabeo), e delle riflessioni non congiunturali e senza importanza che scaturirono; così come del modo in cui, approfittando di un anniversario, il Sup cerca di spiegare, senza riuscirci, come l@s zapatistas vedono la propria storia.

Novembre 2013

A chi di interesse:

AVVERTENZA.- Come segnalato nel testo autotitolato “Cattive notizie, ma anche no”, non sono stati pubblicati i testi che precedevano il suddetto. Ergo, quello che faremo sarà “riavvolgere” il nastro (o, come si dice, “rewind”) per arrivare a quello che si supponeva sarebbe apparso il giorno dei morti. Dopo di che, potete procedere alla lettura in ordine inverso all’ordine inverso nel quale appariranno e allora dovrete… mmm… lasciate perdere, perfino io mi sono rimbambito. La cosa importante è che si capisca lo spirito, come dire, “la retrospettiva”, cioè che uno va avanti ma poi torna indietro per vedere com’è che qualcuno ha fatto per arrivare là. Chiaro? No?

AVVERTENZA DELL’AVVERTENZA.- I testi che seguono non contengono nessun riferimento alle situazioni attuali, congiunturali, trascendenti, importanti, ecc., né hanno implicazioni o riferimenti politici, niente di tutto questo. Sono testi “innocenti”, come “innocenti” sono tutti gli scritti di chi si autonomina “il supcomandante di acciaio inossidabile” (cioè, io tapino). Ogni riferimento o somiglianza a fatti o persone della vita reale è pura schizofrenia… sì, come alla situazione internazionale e nazionale dove si può vedere che… ok, ok, ok, niente politica.

AVVERTENZA AL CUBO.- Nel caso molto improbabile che vi sentiate coinvolti da ciò che si dice di seguito, vi sbagliate… o siete un vergognoso fan della teoria della cospirazione ad hoc (che si può tradurre in “per ogni errore, esiste una teoria della cospirazione per spiegare tutto e ripetere gli errori”.

Procediamo:
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P.S. Il primo incontro di Durito con il Gatto-Cane.-

lunedì 18 novembre 2013

Buon compleanno EZLN e fanno 30

BUON COMPLEANNO EZLN 100 di questi giorni!

zapatista-women-fighter

Non tutti i libri di storia sono uguali. Non tutti i libri di storia diventano testi ufficiali sui quali si studia. Il libro di storia che tratta di movimenti, lotte, rivolte, rivoluzioni, bandit@, brigant@ e partigian@ non è mai diventato un testo ufficiale, anzi forse questo libro non esiste nemmeno ma se esistesse parlerebbe sicuramente del 17 novembre 1983, data di nascita dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

All’origine erano sei, tre indigeni e tre meticci, il loro sogno era costruire e costituire la più classica delle guerriglie (di matrice Marxista) andando in continuità con la tradizione Sudamericana dal Fronte Sandinista in poi.
La storia ci dice che quella guerriglia non nascerà mai, ma nascerà qualcosa di diverso, quello che il 1 gennaio del 1994 abbiamo conosciuto come EZLN e come movimento di lotta per la dignità ed il riconoscimento dello status “indigeno” e quindi in netta opposizione alla globalizzazione neoliberista.
Ribaltata la logica principe delle guerriglie ovvero di sollevarsi per prendere il potere.
Il potere “Zapatiniamente parlando” è un nemico da combattere e non da sostituire, così come Emiliano Zapata arrivato a Città Del Messico fece l’atto simbolico di non sedersi sulla poltrona del presidente messicano per non farsi corrompere dal gusto del potere gli Zapatisti iniziano la loro lotto per conquistare i diritti e la possibilità di essere se stessi senza sottostare alle logiche omologanti e schiaccianti sia dal punto di vista culturale che “di vita” del neoliberismo.
L’unico esercito al mondo ad avere il 30% di donne al suo interno.
Un esercito che andrà ad imporre dentro le comunità zapatiste la Legge Rivoluzionaria delle Donne .

mercoledì 13 novembre 2013

Cambogia - Lavoratori si scontrano con la polizia nelle proteste contro lo sfruttamento delle multinazionali

Come in Bangladesh chiedono aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro

Alcuni mesi fa il crollo della fabbrica tessile a Dacca con più di 1000 morti, apriva uno squarcio sulle condizioni di super sfruttamento della filiera delle compagnie multinazionali del settore.
Dopo convegni, carte d'intenti firmate in pompa magna, codici etici per le condizioni di lavoro, le proteste in Bangladesh e Cambogia proprio di questi giorni dimostrano come si cerchi di preservare i profitti garantiti attraverso salari da fame e condizioni inumane. I nomi dei brand, nell'infernale ragnatela di appalti e commesse sono sempre gli stessi. Con una mano si firma il codice etico con l'altra si sfruttano migliaia di uomini e donne.
"People before profits" è stato uno degli slogan che hanno accompagnato le proteste pochi mesi fa davanti a company come la Benetton ed altre, che dietro i marchi luccicanti o addirittura economici come la H&M, sono il volto ipocrita del profitto, come denunciano le donne e gli uomini che hanno manifestato in questi giorni tra il Bangladesh e la Cambogia. 
Video su Phnom Penh
Manifestazioni, scontri a Phnom Penh nella giornata di ieri durante le proteste dei lavoratori della SL Garment Processing Ltd., che fornisce famosi marchi come Gal e H&M. Il corteo che si dirigeva verso la residenza del premier Hun Sen è stato attaccato dalla polizia e negli  attacchi è morta una donna ferita da colpi d'arma da fuoco.
La protesta, che dura da alcuni mesi,  ha al centro le condizioni di lavoro imposte nel paese, come in Bangladesh, delle company del settore tessile. I lavoratori che sono scesi in piazza fanno parte di una rete di oltre 500 fabbriche che esportano negli Usa e in Europa.
Le condizioni di lavoro in cui si trovano migliaia di lavoratrici e lavoratori sono quelle salite alla cronaca con il crollo della fabbrica tessile a Dacca: pochi soldi per un lavoro svolto in condizioni nocive.
Una situazione, che a parte le solite dichiarazioni d'intenti quando lo scandalo si fa troppo evidente, affonda le sue radici nel circuito della produzione globale delle grandi aziende, che non esitano a sfruttare in nome dei profitti.
In Cambogia la protesta nasce dalla richiesta di aumenti salariali (sempre se si può definire salario una quantità di denaro tra i 40 e gli 80 dollari al mese) e di migliori condizioni lavorative.
Le stesse richieste che hanno portato in piazza l'altro ieri altri lavoratori e lavoratrici in Bangladesh in particolare a Savar e Ashulia, vicino alla capitale, chiedendo di avere aumenti per arrivare almeno a 100 dollari al mese. Anche in questo caso le manifestazioni sono state attaccate dalla polizia con un bilancio di decine di feriti.

domenica 10 novembre 2013

Messico - Cattive notizie, ma anche no - SupComandante Marcos

CATTIVE NOTIZIE, MA ANCHE NO
 Novembre 2013

Alle/Agli student@ che hanno frequentato o vogliono frequentare il primo livello della Escuelita Zapatista:

A chi di competenza:

Compagni, compagne e compagnei,

Come al solito, hanno incaricato me di darvi le brutte notizie. Eccole qua.

PRIMO.- I conti (controllate bene le somme, sottrazioni e divisioni perché la matematica non è il mio forte, voglio dire, proprio non lo è):

A).- Spese del primo livello di agosto 2013 per 1281 allievi:
- Materiale scolastico (4 libri di testo e 2 dvd) per 1281 allievi: $100,000.00 (centomila pesos m/n – 5.674,00 euro).

- Spese di trasporto e vitto per 1281 allievi dal CIDECI alle comunità in cui hanno frequentato il corso e ritorno: $339,778.27 (trecentotrentanovemilasettecentosettantotto pesos e ventisette centesimi – 19.278,44 euro) così suddivisi:

Spese di ogni Zona per portare gli allievi dal CIDECI e distribuirli in ogni villaggio in auto e ritorno al CIDECI, oltre al vitto per i bambini portati dagli allievi.
Realidad ————- $ 64,126.00 – 3.638,40 euro
Oventik—————- $ 46,794.00 – 2.655,00 euro
Garrucha————– $ 122,184.77 – 6.932,56 euro
Morelia—————- $ 36,227.50 – 2.055,49 euro 
Roberto Barrios—- $ 70,446.00 – 3.996,99 euro
Totale generale —– $ 339,778.27 – 19.278,44 euro 

Nota: Sì, anche a me sono balzati agli occhi i “77 centesimi”, ma questi sono i conti che mi hanno passato. Ovvero, non siamo per gli arrotondamenti.

- Spese di trasporto per 200 guardiani al CIDECI dove hanno impartito i corsi e ritorno: $40,000.00 (quarantamila pesos – 2.269,53 euro). Il loro vitto è stato offerto dalle/dai compagn@ del CIDECI-Unitierra. Grazie al Doc Raymundo e a tutte/tutti i compas del CIDECI, in particolare alle/agli addette/i alla cucina (occhio: mi dovete i tamales). 

Totale delle spese delle comunità zapatiste per il corso di primo livello di agosto 2013 per 1281 alunni: $479, 778.27 (quattrocentosettantanovemilasettecentosettantotto pesos e ventisette centesimi – 27.221,80 euro).
Spesa media per allievo: $374.53 (trecentosettantaquattro pesos e cinquantatre centesimi m/n – 21,25 euro).

B).- Entrate della Escuelita Zapatista:
Entrate per l’iscrizione (il contenitore installato al CIDECI): $ 409,955.00 (quattrocentonovemilanovecentocinquantacinque pesos m/n – 23.260,2 euro).
Valuta locale: $ 391, 721.00
Dollari: $ 1,160.00
Euro: $ 175,00 

Entrate medie per il pagamento dell’iscrizione di ogni allievo: $320.02 (trecentoventi pesos e due centesimi – 18,16 euro).

SECONDO.- Riassunto e conseguenze:

venerdì 8 novembre 2013

Tunisia - Come aggirare la censura


La storia del collettivo Nawaat.org, principale riferimento dell'informazione indipendente, e la lotta contro la repressione della stampa da parte di Tunisi.

di Beatrice Cati

La libertà di stampa è da sempre una delle realtà più ferite della transizione tunisina. Negata durante il regime di Ben Ali, continua ad essere oggetto di crescenti divieti.

Nulla di più preoccupante, infatti, nel constatare che dopo la caduta del regime dittatoriale, le "luminose" promesse di dialogo, pluralismo e indipendenza dell'informazione non sono state esaudite. Del resto, i dati parlano chiaro. Reporters sans frontières, l'organizzazione non governativa internazionale che agisce da 25 anni in difesa della libertà di stampa in tutto il mondo, ha stilato la consueta classifica annuale, che vede la Tunisia 132esima su un totale di 179 Paesi, scivolando dunque di quattro posti, quando ne aveva guadagnati oltre 30 nel 2011. Perché? Perché c'è stato un aumento nelle aggressioni ai giornalisti nel primo trimestre del 2012 e perché le autorità hanno mantenuto un vuoto legislativo rimandando l'implementazione dei decreti leggi sulla regolamentazione dei mezzi di informazione.

Durante la rivoluzione del 2011, blogger e cyber-dissidenti sono riusciti a mostrare all'opinione pubblica internazionale la verità sui massacri in corso da parte del regime. "Le televisioni e i giornali nazionali, fedeli alle direttive di palazzo, tacevano sulle rivolte in corso. Abbiamo capito che c'era un vuoto tra la documentazione prodotta dai testimoni degli eventi e la fruibilità della stessa da parte dei mezzi di informazione. Il nostro sito era ancora oscurato in Tunisia, ma perfettamente visibile al di fuori dei confini nazionali. Era arrivato il momento di superare il blocco mediatico imposto dal regime", racconta il blogger Houssem Hajlaoui, membro del collettivo Nawaat.org, il maggiore riferimento per l'informazione indipendente in Tunisia.

mercoledì 6 novembre 2013

Russia - Nadia, attivista delle Pussy Riot trasferita in Siberia

Adesso si sa dove è detenuta Nadezhda Tolokonnikova, attivista delle Pussy Riot condannate a due anni di prigione per la performance anti-Putin: in un campo di detenzione in Siberia, nella zona di Krasnoiarsk che si trova a più di 4500 chilometri da Mosca.
A rendere noto il luogo di detenzione è stato il marito, che nei giorni scorsi aveva denunciato che Nadia, trasferita dal campo in cui aveva fatto lo sciopero della fame contro le pesanti condizioni detentive,  era irrintracciabile.
Il trasferimento in Siberia è chiaramente un atto punitivo che non fa che confermare l'accanimento delle autorità del governo russo.
Il marito della giovane donna ha dichiarato che Nadia "è stata trasferita lontano come punizione per l'eco che ha avuto la sua lettera", riferendosi al racconto dei soprusi totali che vengono effettuati sulle detenute nel campo in Mordovia, dove era detenuta. 
Nadia aveva infatti denunciato le pesanti detenzioni, da gulag, per le prigioniere e le violenze dei secondini ed aveva iniziato uno sciopero della fame di protesta.

venerdì 1 novembre 2013

Messico - Aggressioni contro basi zapatiste nel villaggio Che Guevara


di Hermann Bellinghausen
La giunta di buon governo (JBG) Hacia la esperanza, dal caracol zapatista di La Realidad, zona selva di frontiera del Chiapas, denuncia aggressioni e minacce contro le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) nel villaggio autonomo Che Guevara. La JBG accusa i gruppi filogovernativi di Motozintla, appoggiati da funzionari statali e municipali, e segnala:
“Diciamo chiaramente che difenderemo questo terreno recuperato dall’EZLN costi quel che costi, perché è nostro diritto e nostra ragione, perché difendiamo solo ciò che è nostro e non stiamo fregando nessuno, come invece stanno facendo loro con i nostri compagni.”
Questi “atti di ingiustizia, provocazioni e furti che
nuovamente stanno subendo i nostri compagni e compagne basi di appoggio sul terreno recuperato Che Guevara” stanno accadendo nel municipio autonomo Tierra y Libertad, nella comunità Belisario Domínguez del municipio ufficiale di Motozintla, vicino alla frontiera con il Guatemala.
La JBG riferisce che mesi fa, le famiglie zapatiste erano state minacciate di sgombero “dallo stesso gruppo di persone, manipolate da Guillermo Pompilio Gálvez Pinto, Carmela Oseguera Ramos e Silvano Bartolomé Pérez”, che un anno fa, il 17 ottobre 2012, “aggredirono gravemente con arma da fuoco uno dei nostri compagni.”
Ora, “queste stesse persone ed i loro capi” sono accompagnati nelle aggressioni e tentativi di sgombero “da persone dei malgoverni precisamente un consigliere comunale, un sindaco, cinque poliziotti, due agenti della stradale ed agenti rurali, che rispondono agli ordini del loro padrone, il presidente municipale di Motozintla de Mendoza, Oscar René González Galindo, che a sua volta riceve ordini dal cosiddetto governatore del Chiapas, Manuel Velasco Coello, che a sua volta risponde al latrato del suo padrone più in alto Enrique Peña Nieto, Presidente della Repubblica.”

giovedì 31 ottobre 2013

Colombia - Chi è stanco del processo di pace?


di Timoleón Jiménez, Comandante dello Stato Maggiore Centrale delle FARC-EP

In merito al processo di pace che ha luogo attualmente all’Avana si tesse ogni tipo di speculazioni. A partire dal Presidente Santos e dal suo leader al Tavolo dei dialoghi, Humberto de La Calle, le accuse contro le FARC sono lanciate e ripetute in modo irresponsabile e tendenzioso dagli svariati portavoce dell’establishment e dai cronisti ben remunerati dei grandi media.
Il fatto che sia passato un anno senza che si sia giunti a nient’altro che a un accordo parziale sul primo punto dell’Agenda, e che si avvicini la scadenza entro cui il Presidente dovrà annunciare o meno la sua candidatura alla rielezione, diventa improvvisamente il principale argomento per dirigere le batterie di fuoco e infamia contro di noi.

Nessun analista pubblico o privato si riferisce in alcun modo alle chiare rivelazioni dei portavoce ufficiali, che rendono conto ripetutamente delle loro vere intenzioni nel dialogare con le FARC. Mille volte hanno detto che il tavolo non è l’ambito di discussione delle riforme istituzionali, e ancor meno di dibattito sul modello economico implementato nel paese.

E’ forse ancor di più hanno ripetuto lo slogan secondo il quale l’unico proposito del tavolo è che le FARC barattino le pallottole coi voti; vale a dire, che si tronchi la nostra lotta di mezzo secolo per diventare un partito politico che presenti le proprie liste alle elezioni, dando per scontato che il regime politico vigente riunisca i più ampi requisiti democratici.

domenica 27 ottobre 2013

Messico - Intervista su diritti umani, narcoguerra e desaparecidos

desaparecidosdi Francesco Lorusso
[Questa è un’intervista all’attivista e difensore dei diritti umani messicano Alejandro Cerezo. I fratelli Cerezo, Alejandro, Héctor e Antonio, sono stati prigionieri politici. Nel 2001 furono catturati, torturati e condannati a vari anni di prigione. I loro familiari e sostenitori fondarono un Comitato per la loro liberazione che oggi mantiene il loro nome e si occupa della difesa dei diritti umani delle vittime della repressione politica in Messico. Abbiamo parlato della loro storia, dei desaparecidos, dei movimenti sociali, delle eredità e continuità della guerra al narcotraffico, della militarizzazione, delle recenti manifestazioni contro le riforme strutturali, provando anche a fare una diagnosi sulla situazione generale del Messico e del rispetto dei diritti in quel paese. Il dialogo è stato registrato il 17 ottobre 2013 presso la caffetteria del Comité Cerezo nella Facoltà di Filosofia e Lettere della Universidad Nacional Autónoma de México.]
Quali sono i precedenti del Comité Cerezo?
Non c’è un vero e proprio precedente, siamo un’organizzazione che sorge in seguito a un fatto specifico che è l’arresto dei tre fratelli Cerezo e altri accusati. In quel momento si uniscono le persone, si forma un gruppo grande che lotta per la nostra libertà fino a diventare il Comité Cerezo México.
Quanto tempo sei stato in galera?
Tre anni e mezzo, dall'agosto del 2001 al marzo 2005.
Con quale accusa?
Terrorismo, delinquenza organizzata, possesso di esplosivi, di armi d’uso esclusivo dell’esercito, danni alla proprietà altrui, più o meno queste.

sabato 19 ottobre 2013

Messico - Neoautoritarismo e desaparecidos

La scomparsa dell'attivista Teodulfo Torres e la repressione della protesta sociale.

di Andrea Spotti *
Teodulfo Torres è uno che in piazza prima o poi lo incroci. Quarantunenne, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, è un volto conosciuto all’interno dei movimenti antagonisti di Città del Messico, uno che non manca quasi mai nelle mobilitazioni. Da più di sei mesi a questa parte, tuttavia, nessuno ha più avuto modo di vederlo. Parenti e amici non hanno avuto sue notizie, né sono riusciti a mettersi in comunicazione con lui. El Tío, come lo chiamano i suoi compagni, é letteralmente scomparso nel nulla, entrando a far parte della lunga lista di vittime della sparizione forzata la quale, nel Messico della cosiddetta guerra al narcotraffico, è tornata ad essere una prassi di Stato assai comune, che preoccupa seriamente movimenti e organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Oltre ad essere un membro della Sexta zapatista, Teodulfo é attivo in un progetto di agricoltura urbana nel sud della capitale e partecipa al gruppo di teatro di strada La Otra Cultura. Nel corso degli ultimi anni, inoltre, ha sostenuto diversi movimenti di lotta del paese: dal Chiapas a Oaxaca, passando per Atenco, dove ha avuto un ruolo importante nella battaglia per la liberazione dei detenuti politici sostenendo il presidio permanente piazzato per mesi fuori dal carcere di Molino de las Flores a Texcoco, nello Stato del Messico.
El Tío è stato visto l’ultima volta nella mattinata del 24 marzo, nei pressi del suo domicilio, a Tlalpan; due giorni dopo, ha tenuto una comunicazione telefonica. Poi più niente. I compagni del collettivo El Terreno hanno tentato per giorni di mettersi in contatto con lui, ma invano. La denuncia alle autorità é partita il 12 aprile, quando il sospetto che El Tío fosse desaparecido era ormai quasi una certezza. Queste ultime, peró, hanno mantenuto un atteggiamento di indifferenza rispetto al caso e, lungi dall’iniziare un’indagine seria, si  sono limitate ad investigare parenti, amici e conoscenti di Teodulfo, invitandoli a non rilasciare dichiarazioni alla stampa.
Secondo i suoi compagni, tuttavia, non ci sono dubbi: siamo di fronte all'ennesima sparizione forzata, di cui El Tío é vittima in quanto testimone dell’aggressione poliziesca subita dall’attivista della Sexta e maestro di teatro Kuy Kendall il primo dicembre del 2012, durante le proteste contro l’insediamento di Peña Nieto alla presidenza della repubblica. In quell'occasione, infatti, Teodulfo documentò il momento in cui uno dei tanti candelotti lacrimogeni lanciati ad altezza uomo dalla polizia federale colpì la testa di Kuy provocandogli una grave lesione craneo-encefalica. Testimone chiave dell’indagine, El Tío avrebbe dovuto rilasciare la sua ricostruzione dei fatti agli inquirenti nei mesi successivi alla sua scomparsa.

mercoledì 9 ottobre 2013

Stati Uniti - La dottrina Obama. Verso nuovi instabili equilibri

Pubblichiamo questo articolo di Noam Chomsky perché ci aiuta a riflettere sugli sviluppi della politica estera degli USA, al di là di quelli che sono i condizionamenti e gli equilibri di potere così come si sono andati a definire in questo ultimo lustro. Abbiamo scritto di fine di un ciclo per l'imperialismo americano e dell'apertura di una nuova fase di multilateralismo del XXI secolo, di cui gli sviluppi recenti in Siria ed Iran sono un aspetto evidente, come lo sono la dichiarazione di indipendenza energetica degli USA e il ruolo riconosciuto alla Russia di Putin.
In questo articolo Chomsky ci da conto del dibattito politico ideologico che forma il retro pensiero della politica estera USA dopo la chiara e semplice dottrina Monroe per l'America latina [il nostro cortile di casa]. Un confronto/scontro interno a tutto campo connotato dall'uso di concetti morali che, se fanno parte del backgroud politico statunitense, nascondono anche l'estrema incertezza della fase che stiamo attraversando.

di Noam Chomsky

Il recente battibecco tra Obama e Putin sull’eccezionalismo statunitense ha rinfiammato un dibattito in corso sulla Dottrina Obama: il presidente sta virando in direzione dell’isolazionismo? O sventolerà con orgoglio la bandiera dell’eccezionalismo?
Il dibattito è più limitato di quanto sembri. C’è parecchio terreno comune tra le due posizioni, così come espresse da Hans Morgenthau, il fondatore della scuola “realista” senza sentimentalismi oggi dominante sulle relazioni internazionali.
In tutta la sua opera, Morgenthau descrive gli Stati Uniti come unici tra tutte le potenze passate e presenti perché hanno uno “scopo trascendente” che “devono difendere e promuovere” in tutto il mondo: “la creazione dell’uguaglianza nella libertà”.
Le nozioni concorrenti di ‘eccezionalismo’ e ‘isolazionismo’ accettano entrambe questa dottrina e le sue varie elaborazioni ma differiscono a proposito della sua applicazione.
Un estremo è stato vigorosamente difeso dal presidente Obama nel suo discorso alla nazione del 10 settembre: “Ciò che rende diversi gli Stati Uniti’, ha dichiarato, ‘ciò che ci rende eccezionali” e che ci dedichiamo ad agire “con umiltà ma con determinazione” quando identifichiamo violazioni da qualche parte.
“Per quasi sette decenni gli Stati Uniti sono stati l’ancora della sicurezza globale”, un ruolo che “ha significato più che forgiare trattati internazionali; ha significato farli rispettare”.
La dottrina concorrente, l’isolazionismo, afferma che non possiamo più permetterci di compiere la nobile missione di accorrere a spegnere gli incendi appiccati da altri. Prende sul serio una nota di ammonimento espressa vent’anni fa dall’editorialista del New York Times Thomas Friedman e cioè che “assegnare all’idealismo una presa quasi esclusiva sulla nostra politica estera” può condurci a trascurare in nostri stessi interessi nella dedizione ai bisogni degli altri.
Tra questi due estremi il dibattito sulla politica estera infuria.
Ai margini alcuni osservatori rifiutano i presupposti condivisi, mettendo in campo i dati storici: ad esempio il fatto che “per quasi sette decenni” gli Stati Uniti hanno guidato il mondo all’aggressione e alla sovversione, rovesciando governi eletti e imponendo dittature malvage, appoggiando crimini orrendi, minando accordi internazionali e lasciandosi dietro una scia di sangue, distruzione e miseria.
A queste anime belle Morgenthau ha fornito una risposta. Da studioso serio ha riconosciuto che gli Stati Uniti hanno costantemente violato il loro “scopo trascendente”.
Ma avanzare questa obiezione, spiega, significa commettere “l’errore dell’ateismo, che nega la validità della religione su basi simili”. La “realtà” è lo scopo trascendente degli Stati Uniti; i dati storici effettivi sono semplicemente la ”violenza alla realtà”.

Kurdistan - La «terza via» dei kurdi siriani: una provincia autonoma e libera

INTERVISTA A SALEH MOUSLEM, LEADER DEL PARTITO PYD, «FRATELLO» DEL PKK

di Geraldina Colotti 

«Noi lottiamo contro i salafiti». In Siria vivono 2,5 milioni di kurdi, il 12% della popolazione
I kurdi in Siria «hanno ottenuto una loro amministrazione autonoma e proprie istituzioni civili - dice al manifesto Saleh Mouslem - sono capaci di difendersi e di proteggere le altre componenti della regione (armeni, turcmeni, arabi e assiri) con le unità di protezione del popolo. E sono diventati parte dell'equazione e della soluzione politica che si prospetta. Ora nessuno può negare i loro diritti nel futuro della Siria». Mouslem è il co-presidente del Partito dell'Unione democratica (Pyd) che, com'è costume nelle istituzioni politiche kurde, è codiretto da un uomo e da una donna. Creato nel 2003, il Pyd è il ramo siriano del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), il cui leader, Abdullah Ocalan, sconta l'ergastolo sull'isola d'Imrali. Dopo il massacro di circa un centinaio di civili kurdi nel 2004 (attaccati da nazionalisti armati che brandivano ritratti dell'ex presidente iracheno Saddam Hussein, a Qamishlo e in altre città del Kurdistan sudoccidentale), Saleh si rifugia in Iraq. Torna in Siria un mese dopo l'inizio delle rivolte contro il governo di Bashar al Assad, iniziate nel marzo del 2011. Il Pyd ha fatto parte del Coordinamento nazionale per il cambiamento democratico (Cncd), in cui Mouslem ha svolto l'incarico di vicepresidente per l'interno. Nel dicembre del 2012, diversi membri del Coordinamento, riunito al Cairo, hanno però minacciato di abbandonare l'alleanza se non fossero stati allontanati sia il Pyd che il presidente della Cncd per l'esterno, il marxista Haytham Manna: entrambi accusati di essere in dissonanza con l'opposizione più dura a Bashar al Assad. 

Qual è la vostra posizione nei confronti del governo siriano? 

I kurdi hanno sempre sofferto ingiustizia e oppressione. Non siamo mai stati vicino al potere ma in permanente conflitto col regime. Dal 2004 fino alla rivoluzione siriana, a cui abbiamo partecipato, abbiamo cominciato a organizzarci e a impegnarci nella difesa legittima delle nostre città, ottenendo la liberazione della maggioranza delle nostre regioni il 19 luglio del 2012. Non conduciamo, però, una lotta cieca. Combattiamo da un lato il regime e dall'altro i salafiti sostenuti dalla Turchia, dal Qatar e dall'Arabia saudita. In Siria siamo circa 2,5 milioni, il 10-12% della popolazione. Abbiamo enormi difficoltà quotidiane, ma cerchiamo di mantenere alta la nostra dignità e libertà, contando sull'aiuto dei kurdi nel mondo. Quel che vogliamo è un'amministrazione unica, autonoma e democratica in Siria, senza alcuna frontiera: affinché i kurdi che vivono nelle altre città siriane come Damasco, Homs e Aleppo possano usufruire dei propri diritti legittimi (sociali, culturali, politici e di legittima difesa) ovunque si trovino. 

Com'è adesso la situazione in Siria? 

Per il momento il governo siriano è fuori dalle nostre regioni, ma siamo esposti agli attacchi brutali dei gruppi salafiti jihadisti come Jabhet al Nusra, che vogliono instaurare un califfato islamico. L'Esercito libero è debole e anzi non esiste attualmente e noi siamo comunque pronti a cooperare con loro in vista di stabilire una Siria democratica, laica e pluralista. Ora il conflitto è tra l'esercito libero e i salafiti, e anche tra l'Esercito libero e le forze armate governative, e tra i salafiti e le forze dell'ordine. Dopo il regime, quelli che contano di più sono i salafiti. Le forze kurde del Pyd sono però più disciplinate e organizzate. Nelle regioni in cui è presente l'opposizione, siamo maggioritari.

Che cosa pensate delle trattative tra Ocalan e Erdogan in Turchia? 

Le vediamo in modo positivo, sono passi importanti sia per il popolo kurdo che per quello turco. Siamo uniti da legami di fratellanza e da un progetto di integrazione nazionale con tutte le altre parti del Kurdistan. Noi difendiamo la democrazia e la libertà e in questo modo pensiamo di difendere i valori umanitari per il mondo intero.

martedì 1 ottobre 2013

Kurdistan - Il PKK ha tenuto l’11° congresso

Il PKK ha tenuto l’11° congresso
Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha tenuto il suo 11° congresso nell’area di difesa di Medya controllata dalla guerriglia dal 5 al 13 settembre.
Al “Congresso finale e della vittoria” per la liberazione del leader curdo Abdullah Öcalan e del popolo curdo hanno partecipato 125 delegati dall’estero e dalle quattro parti del Kurdistan.
Il Comitato Centrale del PKK ha rilasciato una dichiarazione sui risultati degli otto giorni di congresso che si è svolto con un anno di ritardo a causa del contesto dei pesanti scontri nel 2012.
Il Comitato del PKK ha detto che il congresso si è occupato della recente situazione politica, ideologica e organizzativa nel mondo, nel Medio Oriente, in Turchia e nel Kurdistan e ha prodotto approfonditi dibattiti e decisioni significative, così come modifiche legislative e programmatiche.
Secondo il PKK la modernità capitalista dominante ha causato gravi problemi sociali a livello mondiale nel primo quarto del 21° secolo perché ha fallito nel proporre soluzioni a questi problemi sulla base della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza.

venerdì 27 settembre 2013

Grecia - Samaras chiude le università pubbliche

Con l'ultimo provvedimento in materia di Pubblica Amministrazione, il governo Samaras ha sostanzialmente disposto la mobilità del  40% del personale, all'interno delle università. La manovra ha causato conseguenze nefaste per la prosecuzione delle attività amministrative e didattiche delle università,
Tutti i Senati accademici ed i Rettori degli otto atenei ellenici hanno dichiarato di non avere un organico sufficiente, arrivando in alcuni casi, come per il Politecnico di Atene, a bloccare direttamente le immatricolazioni e gli esami fino a data da destinarsi.
L'austerity e le imposizioni della Trojka stanno continuando a smantellare il welfare greco e la linea di tendenza è sempre più il tentativo di privatizzazione e esclusione all'accesso dell'istruzione.

Di seguito da atenecalling.org riportiamo un comunicato del personale del Politecnico Metsoviano Nazionale di Atene:

399 licenziamenti – Il Politecnico di Atene sta sanguinando
In una notte, dal Politecnico di Atene (EMP) sono stati licenziati 399 impiegati, metà del suo personale. Con una decisione ministeriale e senza l’approvazione del parlamento (le regole fondamentali della democrazia non si applicano, quando si mettono in atto reati predeterminati), 399 impiegati sono stati messi in mobilità e da lì spinti verso il baratro del licenziamento.
La scusa? Soddisfare il numero di licenziamenti richiesto dalla Troika. 399 persone perdono il loro volto, le loro caratteristiche, la loro vita, si trasformano in numeri. Persone che, ognuno dal proprio posto, facevano quello che potevano per lavorare al meglio, nonostante le difficoltà, in quello che la società greca ammirava e amava: il Politecnico Metsoviano Nazionale.
Ed è per questo che oggi portiamo le maschere. Le maschere della tristezza, della disperazione, le maschere che nascondono centinaia di drammi personali. Ma anche le maschere che non possono nascondere la nostra rabbia e il nostro orgoglio. Né la nostra decisione di lottare fino alla fine per impedire questa misura da incubo della messa in mobilità-licenziamento. Portiamo le maschere per ricordare che se non verrà abolita quella decisione, domani o in un futuro vicino, al nostro posto potrebbe trovarsi chiunque di voi. La “success story” del “recupero” è riuscita a produrre soltanto 2 milioni di disoccupati e non smetterà di procurare tristezza e dolore, se non la fermiamo noi.

Ecuador - Chevron salvata dal Tribunale internazionale dell'Aja

Intanto il presidente Correa si prepara ad allargare la frontiere dello sfruttamento petrolifero

Qualcuno l'ha definito come il più grande danno ambientale della storia, superiore ai disastri BP nel Golfo del Messico e ai danni della prima Guerra del Golfo nel Persico.
Sappiamo per certo quello che ci dicono i fatti e le sentenze: in Ecuador la Texaco è stata responsabile di oltre 16,8 milioni di barili dispersi nella foresta amazzonica, con oltre 1 milione di ettari disboscati, danni incalcolabili alla vegetazione, inquinamento delle falde acquifere e danni alla salute di diverse generazioni. Dopo un lungo iter, nel Novembre 2012, la Corte di Sucumbios in Ecuador ha condannato la Chevron (che intanto nel 2001 ha acquistato la Texaco) a pagare 9 miliardi di dollari alle popolazioni colpite dai danni dell'estrazione petrolifera, che sono diventati 18 per il rifiuto della compagnia di chiedere pubbliche scuse.
La Chevron, da anni ormai fuori dal paese, si è sempre opposta alla sentenza adducendo vari motivi, dalla corruzione della corte, all'interferenza fraudolenta del presidente Correa. Il 17 Settembre 2013 un tribunale della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja dà ragione agli esposti di Chevron-Texaco contro la Repubblica dell'Ecuador. In particolare viene riconosciuto la non perseguibilità della multinazionale. La TexPet(Texaco) è ritenuta libera da ogni responsabilità per i danni ambientali e sociali, come sembrerebbe trasparire dall'interpretazione degli accordi commerciali del 1995 e del 1998. La Corte, riunita in sezione separata, ha dato un giudizio che rimette in discussione la sentenza del Tribunale ecuadoriano. La Chevron, tramite il vice-presidente Hewitt Pate, ha subito emesso un comunicato in cui si dichiara la controversia conclusa, e proprio grazie “all'eminente tribunale internazionale che dichiara illegittima la sentenza” possono dirsi innocenti e tentare di riabilitare il nome della compagnia. In particolare dal loro sito si nota come oltre a presunti contributi alla pace nel Delta del Niger e opere benefiche di vario tipo, viene vantato il successo nella causa, dimenticando però di menzionare gli enormi danni all'ambiente che comunque hanno provocato.

giovedì 19 settembre 2013

Grecia - Alba Dorata dalle aggressioni all'assasinio politico

Un omicidio politico mirato che spera nella violenta reazione della piazza per rafforzare il governo voluto della Troika

di Argiris Panagopoulos
 
L'allenamento dei neonazisti di Alba Dorata con omicidi e aggressioni contro immigranti pakistani ed indiani è finito.
Da ieri sera Alba Dorata ha fatto la sua prima vitima tra i greci.

Il 34enne rapper antifascista Paulos Fyssas è stato assassinato barbaramente da un killer di Alba Dorata ieri notte nel quartiere Amfiali di Keratsini, vicino a Pireo. Un quartiere popolare ed operaio, colpito pesantemente dalla crisi.

Paulos ha resistito per venti minuti ai colpi dopo l'agguato. L'ambulanza è arrivata quasi mezz'ora dopo la chiamata, per trasportarlo all'ospedali di Nikaia, dove i medici hanno constatato la sua morte.
Per il padre di Paulos non c'è dubbio che il colpo che ha ricevuto  suo figlio è un azione di professionisti, come gli hanno confermato anche i medici, mentre gli amici di Paulos insistono che i neonazi avevano organizzato l'aggressione mentre stavano guardando una partita di calcio in una caffeteria di Keratsini.

Agghiaccianti sono le dichiarazioni degli amici di Paulos sulla presenza e la passività della polizia durante l'aggressione, visto che erano già nella zona e sul posto con parecchi poliziotti, volanti e moto.

I neonazi hanno aspettato Paulos e i suoi amici alle loro macchine e hanno cominciato ad aggredirli.

martedì 17 settembre 2013

Messico - Magistrale repressione

Violentissimo sgombero dell'accampamento dei maestri nel centro di Città del Messico: più di cento i detenuti e centinaia i feriti

Nel pomeriggio di venerdì 13 settembre, a pochi giorni dall'anniversario dell'Indipendenza nazionale e proprio con l'aberrante giustificazione di permettere la celebrazione della “festa di tutti i messicani”  più di tremila agenti della Policìa Federal hanno fatto incursione nel grande accampamento che da tre settimane mantiene il sindacato dei maestri nello Zocalo, la grandissima piazza centrale di Città del Messico.
Provenienti da diversi stati della repubblica, più di cinquemila maestri elementari (e studenti delle scuole magistrali) appartenenti al sindacato Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educaciòn avevano scelto di accampare di fronte al Palazzo di Governo come forma di protesta contro la riforma al sistema educativo, che prevede la sostanziale privatizzazione e commercializzazione dell'educazione pubblica.
Durante la scorsa primavera, si sono svolte per settimane grandi manifestazioni contro la riforma all'articolo costituzionale relativo all'educazione statale pubblica; dalla metà di agosto, le proteste sono ricominciate in seguito all'approvazione dei decreti attuativi, che sancisce l'introduzione di criteri di competitività tra i maestri, paragonabili a quelli presenti nelle scuole private; aprono lo spazio alla precarizzazione della professione, sottomessa a continui test “di qualità”, e riducono il salario statale dei maestri, che dovrebbe essere integrato con una sorta di “cooperazione” dei genitori degli alunni. 

mercoledì 11 settembre 2013

Turchia - Si riaccendono le braci

di Serena Tarabini


Questa volta il focolaio parte da Ankara, dove da diverse settimane gli studenti dell’Università Tecnica del medio Oriente (ODTU) protestano per la costruzione di una nuova autostrada, un progetto fortemente voluto dal Sindaco di Ankara, appartenente all’AKP, lo stesso Partito di Erdogan, che comporterebbe la distruzione del grande bosco adiacente il Campus; come per Gezi Park, la risposta del Governo è stata brutale: il 7 settembre scorso gli studenti che presidiavano il bosco e che hanno cercato di impedire pacificamente alle ruspe l’abbattimento dei primi alberi, sono stati attaccati pesantemente con lacrimogeni e idranti e arrestati. In seguito a questo episodio si sono susseguite manifestazioni di solidarietà anche in altre città come la stessa Istanbul; è in una di queste manifestazioni che un un altro ragazzo giovanissimo ha perso la vita. Ahmet Atakan, di 22 anni, viene colpito da un lacrimogeno alla testa e muore nelle prime ore del 10 settembre, ad Antakya. E’ la sesta vittima da giugno della brutalità della Polizia, la quale sostiene invece che il ragazzo sia morto in seguito a una caduta, e non risparmia lacrimogeni e gas urticanti neanche di fronte all’ospedale dove il ragazzo è stato trasportato.

E’ di nuovo uno shock per un paese che ha perso un altro figlio: immediata è la convocazione di altre manifestazioni in diverse città.

martedì 10 settembre 2013

Turchia - Ucciso un giovane manifestante durante le proteste ad Ankara

Nelle proteste in Turchia la notte scorsa è morto un  ragazzo di 22 anni, Ahmet Atakan, ad Antiochia, nella parte meridionale del paese. Il giovane è morto dopo che era stato colpito alla testa da un  lacrimogeno. La manifestazione a cui partecipava era per chiedere giustizia e un regolare processo per la vicenda del giovanissimo di 14 anni colpito anche lui da un lacrimogeno, durante le cariche contro i cortei del giugno scorso.
Nella notte scorsa erano in corso manifestazioni contro la violenza del governo in tutto il paese, anche ad Istanbul ancora una volta la polizia ha caricato con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua.
La manifestazione ad Antiochia, in cui è morto Ahmet aveva anche come scopo quello di protestare a sostegno delle mobilitazioni degli studenti dell'Università di Ankara contro la costruzione di una nuova autostrada nelle vicinanze del campus universitario. Anche nei giorni scorsi gli studenti che protestavano erano stati caricati brutalmente.
MANIFESTAZIONI IN 19 CITTA' - LA PRIMAVERA NON E' FINITA
Nonostante le temperature bollenti, il caldo e l' afa, la rabbia e la determinazione del popolo turco continuano ad invadere le strade della Turchia.
Se qualcuno pensava che il Ramadam determinasse una diminuzione delle proteste e l'estate il definitivo riflusso del movimento di protesta nato dallo scoppio della scintilla prodotto dal tentativo di radere al suolo Gezi Park, ha capito ben poco.
Le manifestazioni proseguono e in modo sempre più determinato.

lunedì 9 settembre 2013

Messico - Storia e motivi della rivolta dei maestri in lotta

La ribellione della CNTE, corrente dissidente del Sindacato Nazionale dei docenti
di Fabrizio Lorusso
Gli insegnanti delle scuole pubbliche occupano le piazze e le strade del Messico contro le “riforme strutturali” del presidente Peña Nieto e continuano a dar battaglia: è una resistenza epica che viene da lontano. Il conflitto degli insegnanti con il governo e i parlamentari federali per la riforma educativa dura da alcuni mesi, ma nelle ultime due settimane ha raggiunto l’apice. Un presidio di insegnanti nel centro della capitale era presente già dall’8 maggio, ma pochi se n’erano accorti. Invece da agosto la CNTE, Coordinamento (Coordinadora in spagnolo) Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione, è in sciopero indefinito e l’anno scolastico 2013-2014 non è ancora cominciato in migliaia di scuole. La combattiva Sección 22 di Oaxaca, forte di 74mila affiliati e già protagonista del conflitto del 2006, soffocato nel sangue dall’allora governatore dello stato di Oaxaca, Ulises Ruiz, rappresenta il gruppo più nutrito di professori in resistenza, ma i rinforzi questa volta sono arrivati da tutto il paese.
Il plantón
Dal 19 agosto il presidio dei maestri è diventato una tendopoli quindi l’attenzione mediatica s’è rivolta verso gli oltre 40mila occupanti, insegnanti di asili, scuole primarie e secondarie, che ormai vivono nella piazza principale del Messico. Ogni giorno realizzano atti di resistenza, bloccano le strade e l’aeroporto internazionale, chiudono le entrate dei palazzi del potere, fanno assemblee, sistemano le tende scardinate dai violenti acquazzoni di questa stagione piovosa e inclemente, e infine portano avanti le negoziazioni estenuanti con funzionari e parlamentari inviati dai partiti per fare melina. Le minacce avanzate da alcuni deputati della destra (PAN, Partido Accion nacional) di incarcerazione dei leader, che in realtà sono i “portavoce” del movimento, e di repressione violenta della protesta non hanno fatto desistere i docenti.
Ho provato a descrivere con una galleria fotografica (link qui), non solo con le parole, l’enorme tendopoli allestita dalla CNTE nella piazza centrale (lo zocalo) di Città del Messico. Nel plantón, il presidio-tendopoli, ore e ore di pioggia non spazzano via la speranza, anche se funzionano per scacciare i curiosi, i venditori ambulanti, in maggior parte commercianti della capitale, e le cattive notizie che arrivano dal Palazzo: nella notte dell’1S (primo settembre), con una sortita dei legislatori, è stata approvata dalla Camera dei deputati la Legge del Servizio Professionale Docente, oggetto delle negoziazioni tra i rappresentanti della CNTE, il governo e alcuni parlamentari. Uno sberleffo in piena regola.

domenica 8 settembre 2013

Messico - “L’esperienza zapatista è una crepa nel territorio messicano”

di Alfonso Medrano, dal Cile

Un Votán non è solo un guardiano, è una guida, un maestro consapevole che impara da te come tu da lui, è un tutor, ma soprattutto, un compagno, qualcuno che ha abbracciato i sentieri della lotta e che ti accoglie con umiltà e rispetto, che ti ospita a casa sua per mostrarti come si è sviluppato il lavoro indigeno tinto di zapatismo nello stato di Chiapas.

Personalmente ho avuto la fortuna di avere un Votán che parlasse un castigliano quasi perfetto, in parte perché era promotore di educazione e in parte perché la sua curiosità personale e l’intuizione intellettuale erano molto sviluppate come pure la sua sensibilità, per cui non ci siamo trovati contro barriere linguistiche e abbiamo potuto avvicinarci ulteriormente. Ascoltare il suo racconto di vita è stato un insegnamento totale su ciò che significa assumere i costi di una vita ribelle, che molte volte porta isolamento, fame e dolore. Una delle sue frasi che più mi ha colpito è stata: “in guerra non vince nessuno, ma avevamo bisogno di farla”. M’è sembrata una riflessione molto lucida di come la violenza sia una necessità politica dei popoli, l’autodifesa come voce di un diritto reclamato, ma consapevole dei costi e dei traumi che comporta e anche delle sue piccole e non tanto piccole vittorie.

In 30 anni di organizzazione, resistenza e lotta al malgoverno, il popolo zapatista ha eretto i propri organi di governo, ha trasformato il concetto di democrazia in politica inclusiva dove si è aperto uno spazio per il ritorno del dialogo così da decidere collettivamente come camminare insieme, ha capito che i cambiamenti radicali NON si possono sviluppare sotto il cappello della politica istituzionale e che è necessaria l’autonomia per poter avanzare con più domande che certezze, un percorso che ha contraddizioni ma che non si arresta grazie all’impegno e alla responsabilizzazione di tutti e tutte i comp@ delle comunità di queste terre.


L’esperienza zapatista è una crepa nel territorio messicano, un punto di fuga, una rottura profonda con questo modello di vita, convivenza e produzione. Quello che accade sulle sue terre liberate è per me davvero ammirabile, un impegno preso con la storia, di passare da semplici spettatori ad attori e costruttori del proprio futuro.

venerdì 6 settembre 2013

Messico - Manifestazioni di massa

Il 4 settembre (4S) dalle 10 del mattino oltre 30.000 insegnanti hanno manifestato a Oaxaca e 40.000 in Chiapas mentre in 20.000 hanno camminato per 8 ore nelle strade della capitale messicana, dall'Auditorio Nacional al palazzo del Senato. Proprio questa camera ieri ha approvato la Riforma Educativa  (riforma costituzionale approvata 7 mesi fa e leggi secondarie approvate in agosto e settembre malgrado le proteste) presentata dal presidente Peña Nieto e già passata alla Camera dei deputati. 
La cosiddetta riforma educativa è in realtà una riforma del lavoro dei docenti e dell'amministrazione di tipo neoliberista ed è parte del piano di riforme strutturali (lavoro, fisco, energia, educazione, politica) che il governo di Peña intende portare a termine entro i prossimi 4 mesi. 
Il primo grande scoglio sono queste proteste dei "maestri dissidenti", gli unici per ora che abbiano saputo articolare un'opposizione degna di questo nome. Infatti, i tre principali partiti (PRI, PAN, PRD) stanno approvando riforme legislative e costituzionali in fretta e furia, blindati dalle larghe intese alla messicana, cioè dall'accordo di governo chiamato "Patto per il Messico" e sottoscritto dai loro leader. 
La CNTE ha dato la cifra di 200.000 insegnanti mobilitati per questa giornata di protesta a livello nazionale. Dal 19 agosto gli insegnanti occupano la piazza centrale della capitale e realizzano manifestazioni e attività di resistenza pacifica in 22 stati della repubblica messicana contro la riforma che definiscono "amministrativa e del lavoro" e non "educativa". 
Sabato 7 ci sarà il primo incontro nazionale degli insegnanti a Mexico City convocato dalla CNTE e il giorno seguente la Coordinadora parteciperà alla giornata di assemblea contro la riforma energetica e alla manifestazione convocata dall'ex candidato presidenziale delle sinistre Andrées Manuel López Obrador e il suo movimento MoReNa. 
A seguire un video sulla manifestazione del 1 settembre a Città del Messico

mercoledì 4 settembre 2013

Colombia - Trattativa per la pace e sciopero generale nelle campagne

A partire circa da metà pomeriggio di giovedì 29 agosto 2013, violente repressioni dei manifestanti sono state attuate dall’ESMAD, la polizia colombiana antisommossa, a Bogotá.
di James Jordan
Le forze armate colombiane hanno brutalmente aggredito i manifestanti dello Sciopero Nazionale Popolare e Contadino “Paro Agrario”, provocando almeno da quattro a cinque morti e, secondo quanto riferito, centinaia di feriti. Il presidente colombiano Juan Manuel Santos, liquidando gli scioperanti come vandali, ha ordinato la militarizzazione della capitale, Bogotá, e di altri luoghi in tutto il paese promettendo di schierare 50.000 soldati. Santos ha accusato il movimento popolare per la pace, Marcha Patriòtica, di fomentare la violenza e ha affermato: “Sappiamo che Marcha Patriòtica non cerca altro che una situazione senza via d’uscita per imporre i propri obiettivi. Gli interessi dei contadini non contano nulla per loro, né gli accordi regionali; la sola cosa che conta è il loro programma politico”. Quello che Santos sembra non capire è che Marcha Patriòtica è in larga misura costituita da gruppi contadini, compreso il maggiore sindacato colombiano dei contadini, il FENSUAGRO. Il fatto che i leader di Marcha Patriòtica siano stati scelti per rappresentare gli scioperanti e la vasta partecipazione allo sciopero rivelano la falsità della dichiarazione di Santos.

Messico - Stato d'eccezione: manifestazione 1S a Città del Messico

Foto e post di Fabrizio Lorusso  - Link a fotogalleria della tendopoli degli insegnanti a Città del Messico.
A Città del Messico il primo settembre s'è svolta un'importante una manifestazione di studenti, facoltà universitarie, organizzazioni sociali, parti del MoReNa (Mov. Rigenerazione Nazionale), liberi cittadini e gruppi anarchici contro la Riforma energetica. Anzi, le iniziative in tutta la città e in tutto il paese erano decine. A questo link ho inserito una galleria fotografica della mattinata del primo settembre tra il Monumento alla Revolución e l’angolo tra le via Eje Central e Izazaga a Città del Messico.La manifestazione nel primo pomeriggio s’è unita a quella degli insegnanti della CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores de la Educación) che si sono diretti a San Lazaro, sede della camera dei deputati messicana. Un aggiornamento e foto sulla protesta dei docenti contro la Riforma Educativa è a questo link. Un poliziotto è rimasto ferito per l’attacco di un gruppo di persone incappucciate (presumibilmente e secondo fonti giornalistiche locali – il quotidiano La Jornada – appartenenti a dei gruppi identificati come anarchici). Ci sono stati almeno sei scontri di questo tipo avvenuti durante la manifestazione e anche al termine mentre gli insegnanti, che formavano un cordone indipendente e pacifico, stavano per ripiegare. L'accerchiamento forzato e l'enorme dispiegamento di forze rappresenta una strategia di contenimento che sfocia nella provocazione e nello stato d'eccezione. La reazione della polizia dopo gli scontri s’è quindi concentrata su altri "obiettivi", cioè persone individuate casualmente, e alla fine della giornata di protesta dell’1S ci sono stati 16 arresti di alcuni attivisti e giornalisti indipendenti. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani come il Comité Cerezo hanno già lanciato dei comunicati in proposito.
Marcha 1S Mex DF 043 (Medium)
Durante la mattinata e il primo pomeriggio la polizia (6mila poliziotti di Città del Messico e granaderos in tenuta antisommossa oltre a 2mila federali) ha circondato e controllato costantemente l’intero cordone dei manifestanti senza lasciare spazi di azione e movimento alle persone che camminavano: un vero e proprio stato di eccezione.  La quantità delle forze messe in capo dal governo della città e da quello federale è stata enorme. “L’imbottigliamento coatto” da parte della polizia era pensato per il controllo totale ma con l’effetto collaterale provocato di asfissiare e generare situazioni di tensione, in particolare nei momenti in cui la doppia fila digranaderos in testa al corteo spezzava il ritmo della marcia e bloccava i manifestanti, cosa che s’è ripetuta praticamente ad ogni curva mentre, nel contempo, gli scudi dei corpi antisommossa chiudevano la coda e i lati del corteo.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!