Cronache dal "triangolo dorato", terra natale dei boss di Sinaloa. Il sindaco denuncia l'abbandono totale, la fame e i pregiudizi.
Traduzione dallo spagnolo all’italiano di Fabrizio Lorusso - Carmilla
(Articolo di Linaloe R. Flores)
Ángel Robles Bañuelos è il sindaco di Badiraguato, un comune messicano
dello stato del Sinaloa, terra d’origine dei narcos più noti e
ricercati. Robles, però, descrive problemi più gravi rispetto a
qualunque altro conflitto legato alla sicurezza: la fame e l’oblio. In
un’intervista pubblicata dal portale messicano SinEmbargo.Com.Mx rivela di conoscere bene la madre di Joaquín Guzmán Loera “El
Chapo” [il narcotrafficante a capo del Cartello di Sinaloa, una delle
organizzazioni criminali più importanti del mondo, n.d.t.], sostiene che
il primo investimento per la costruzione della strada
Badiraguato-Parral nel cosiddetto “triangolo dorato” [zona "d'oro" nel
Nord-Ovest messicano che ha dato i natali ai narcos più noti dagli anni
'60 in poi, n.d.t.] è stato fatto da Rafael Caro Quintero e che nel
comune che gestisce si coltiva la marijuana. Ma tutto questo non gli
sembra importante. Ciò che lo fa preoccupare è l’esclusione del suo
comune dal programma sociale varato dal governo di Enrique Peña Nieto,
la Crociata Nazionale contro la Fame, il che significa, in fin dei
conti, lasciare il territorio in mano ai narcos.
Il
sindaco vuole che il presidente si faccia un giro per le montagne della
regione e capisca come si vive da quelle parti. Come si può governare
una comunità con una fama così nefasta? Dice il sindaco che Badiraguato,
culla dei narcos più famosi del Messico o origine della violenza
nazionale, sprofonda nella miseria, schiacciato dal pregiudizio dei
luoghi comuni. Badiraguato è abbandonato dal governo federale.
Il 9 agosto scorso s’è saputo che Rafael Caro Quintero,
nato a La Noria, una frazione di Badiraguato, era tornato libero dopo
28 anni di prigione. [Quintero era stato arrestato nel 1985 per
l'omicidio dell'agente statunitense della DEA (Drug Enforcement
Administration), Enrique Camarena e poi condannato a 40 anni di prigione
ma, è uscito inaspettatamente l'agosto scorso per una decisione del
tribunale penale dello stato del Jalisco, n.d.t.]
In quel momento si è pensato che una festa a base di alcolici e bande musicali allo stile “sinaloense” avrebbero attraversato il comune. S’è creduto che la festa si sarebbe protratta per ore e ore. Si è immaginato che questo paesino dai contorni verdeggianti, sul cucuzzolo del monte, privo di luce elettrica sul 30% del territorio, si sarebbe illuminato di colpo, solo per la magia che provocano i sapori della festa. Non è stato così.
Ed il professore pedagogo Ángel Robles Bañuelos, sindaco eletto nelle file della coalizione Para Ayudar a la Gente, formata dal PRI, Partido Revolucionario Institucional, attualmente al governo, dal Panal, Partido Nueva Alianza,
e dal partito Verde Ecologista, a dicembre concluderà il suo mandato e
ha dovuto rispondere di no, dato che nessuna luce v’è stata e perché
l’unica cosa che è arrivata quel giorno a Badiraguato è stato un
acquazzone.
A trent’anni dall’ascesa di Rafael Caro Quintero, alias el Narco de narcos,
quale capo assoluto delle operazioni di coltivazione e trasporto delle
droghe in Messico, Badiraguato, sua terra d’origine, è arrivata alla
disfatta, corrosa da due fattori: la fame e il pregiudizio. Si tratta di
un territorio importante nella geografia delle coltivazioni di papavero
e marijuana, ma allo stesso tempo è un’enclave tra le più marginali del
paese. E’ sufficiente mettersi a studiare la biografia di qualunque
narcotrafficante messicano di spicco per ritrovare il nome di
Badiraguato.
Nei
suoi aspri territori si ricongiungono le storie e i cognomi di uomini
enigmatici e leggendari. Negli anni ’40 nacquero lì Pedro Avilés [mitico
iniziatore dei traffici di droga USA-Mex negli anni '60 e '70, n.d.t.],
Ismael “El Mayo Zambada” [boss del Cartello di Sinaloa, latitante,
n.d.t.] e Juan José Esparragoza Moreno [alias El Azul, attuale boss del
Cartello di Sinaloa, n.d.t.]. Dieci anni dopo la stessa terra partorì e
allevò Ernesto Fonseca Carrillo, Rafael Caro Quintero e Ignacio Coronel
Villarreal. In seguito anche Joaquín Guzmán Loera, “el Chapo” Guzmán [jefe máximo del
Cartello di Sinaloa, n.d.t.], vide le sue prime luci e divenne
adolescente in quelle montagne, quasi nello stesso periodo dei suoi
cugini, i cinque fratelli Beltrán Leyva.
Dagli
anni ’70 l’esercito è presente in quelle terre. Vi giunse con la
Operación Cóndor che fece scendere in campo 10mila soldati. Si reputava
che lì vi fosse la porta d’ingresso della regione battezzata come
“triangolo dorato”, i cui vertici sono gli stati del Sinaloa, del
Durango e del Chihuahua. Il tempo è passato. I soldati non se ne sono
andati. E nessuno sembra abituarsi. Nel maggio 2012 una serie di
conflitti a fuoco ha provocato la fuga di centinaia di famiglie e ha
costretto il governatore dello stato, Malova (Mario López Valdez), a
fare atto di presenza nella regione.
Perché
il più antico e vivo ricordo è la povertà. La mancanza di tutto, per
decenni, è stata condivisa da undici comunità sparse su questa terra
secca. Ancora nell’agosto del 2013 Badiraguato è classificato tra i 200
comuni con più miseria in Messico. In altre parole, nella culla dei
narcos più famosi, dov’è nata la violenza, la metà dei 30mila abitanti
del comune vive in stato di crisi alimentare, in case di lamina, senza
scarpe e con scarse possibilità di studiare e progredire.
“No,
no, no, non è il narcotraffico il problema. Nemmeno ciò che resta dei
narcos. O ciò che ne sarà. E’ la fame”. Così spiega la sua comunità
Ángel Robles, che parla soffocando tra sospiri, sbotti di rabbia, preso
dagli effetti che lascia la perdita della speranza. Ricomincia: “E’ la
fame. E la fame non si può attaccare perché siamo soli. Ci temono per
colpa di una specie di soprannome sbagliato. Per uno stigma erroneo. Lo
stigma dei narcos lo stiamo pagando con la fame”. Come si amministra la
cattiva fama di un paese?
“Dicono
che feriscono più le parole di un pugnale. Dicono che uccidono di più
gli stereotipi dei proiettili”, risponde il sindaco. Prima di occupare
il posto di primo cittadino, Ángel Robles ha passato 25 anni della sua
vita tra le montagne, dando lezioni in scuole senza tetto, in mezzo alla
polvere, con un cavallo o un mulo quali uniche opzioni per
intraprendere il viaggio di ritorno a casa.
Dalla
liberazione di Rafael Caro Quintero ha parlato con reporter di vari
paesi del mondo. Non gli interessa descrivere il suo territorio in modo
diplomatico. Non gli importa di raccontare che conosce bene la madre di
Joaquín Guzmán Loera, “El Chapo”, l’uomo con la fama d’essere “il più
ricercato del mondo”, la cui leggenda ha come punto d’inizio le cime dei
monti e delle colline che lui amministra.
Gli
è indifferente rivelare che la madre del boss, Consuela Loera,
contribuì alla costruzione di una scuola superiore a La Tuna durante il
suo mandato. E racconta anche, per l’ennesima volta, che è vero che Caro
Quintero ha fatto costruire la tratta Badiraguato-Parral dell’unica
strada degna di questo nome nel “triangolo dorato” e che è probabile che
proprio Quintero adesso sia in questa zona, com’è probabile che non ci
sia. E dice anche che nel suo comune ci sono piantagioni di marijuana,
ma che pure quelle coltivazioni sono state colpite dalla disgrazia.
Il
sindaco nega che le risorse del programma nazionale contro la fame del
governo centrale siano mai arrivate a Badiraguato. E nemmeno sono
arrivati aiuti da parte del governo dello stato del Sinaloa. Stesso
discorso per il sostegno di organizzazioni della società civile. Parla
della solitudine in cui sprofonda come amministratore di Badiraguato, il
territorio che ha messo al mondo i narcotrafficanti messicani.
“Io
vado in altre zone dello stato e mi chiedono di che città sono sindaco,
quando capita. Gli dico che sono sindaco di Badiraguato. E loro
invocano il cielo. E io gli dico: ricordatevi che i proverbi portano con
sé dei messaggi. Il Leone non è mai come lo dipingono”. E infine
rivolge un invito. E’ per il presidente Enrique Peña Nieto. “Io gli
faccio un invito direttamente. Rivolga lo sguardo verso di noi per
osservare i piccoli comuni stigmatizzati. Segnati da qualcosa che non
rappresenta più la realtà”.
Sull’utilità
attuale delle piantagioni di marijuana dice che “non servono più a
niente. Arrivano i militari e le distruggono. O gli elicotteri spargono
pesticidi sui campi e li bruciano. Inoltre ricattano i contadini. Gli
dicono che magari possono prendersi loro cura delle piante. La gente
vive nella speranza. E la speranza non è più una realtà. Sono d’accordo
sul fatto che bisogna combattere le coltivazioni di stupefacenti, ma il
governo deve prevedere forme d’impiego lecite perché le famiglie
sopravvivano. Qui non arriva nulla”.
Infine,
sul vecchio sogno dei ragazzi di Badiraguato che volevano diventare dei
boss: “ormai è finita quell’epoca in cui i bambini e i giovani volevano
imitare quel tipo di personaggio. Anche quello resta nel passato. Prima
era molto comune che i bambini e i giovani si rifiutassero di andare a
scuola semplicemente per quel motivo, perché non era la loro
prospettiva. Ora gli anni non sono passati invano, vedono che è un
miraggio e che chi si dedica a illeciti ha due strade davanti a sé: il
cimitero o la prigione”.
[Allego
come nota finale una citazione tratta dall'intervista che nel 2010 il
direttore del settimanale messicano Proceso, Julio Scherer, fece al boss
"Mayo" Zambada in un rancho di Sinaloa. La conversazione riguardava la
guerra contro i narcos intrapresa dal governo dell'allora presidente
Felipe Calderón che all'inizio del 2007 militarizzò la lotta al
narcotraffico. Il conflitto continua tuttora e ha provocato oltre 80mila
morti e 27mila desaparecidos tra il 2007 e il 2012. F. L.].
“Mettiamo
che un giorno decido di consegnarmi al governo così mi ‘fucila’. Il mio
caso deve essere esemplare, una dimostrazione per tutti. Mi fucilano e
scoppia l’euforia. Ma dopo un po’ di giorni veniamo a sapere che non è
cambiato nulla” [...]
“Il
problema del narcotraffico riguarda milioni. Come dominarli? Riguardo
ai boss imprigionati, uccisi o estradati, già stanno lì i loro sostituti
[...]
“Il narcotraffico sta nella società, radicato, come la corruzione”.
La foto panoramica è “Badiraguato. Abandonado por el gobierno federal” di: Cuartoscuro