Votan IV
Meno 7 Giorni.
Dove si rivela quello che il cuore zapatista ammira in
altr@ , si avvisa che ci sono esonerat@ e si danno consigli oziosi che nessuno
osserverà.
Bene, manca poco. Mi riferisco ai giorni che mancano alla scuola, non a quello che dobbiamo e vogliamo dire.
Se cercate una scuola che assegni un maestro, una maestra, ad ogni singolo studente, 24 ore al giorno, che sia gratuita e laica, e che i fornisca vitto e alloggio mentre imparate-insegnate, vi auguriamo buona fortuna.
Come sapete, la scolarità dei partecipanti va dalla materna fino al dottorato all’estero (e per “estero” non ci riferiamo ad altri paesi diversi dal nostro, ma all’essere alieno, straniero, e molte istituzioni educative nel nostro paese sono straniere). Ed i calendari si allungano dai mesi di vita fino agli oltre 90 anni. Tutte e tutti saranno accolti nel nostro cuore collettivo, indipendentemente che vengano in comunità, o gli tocchi andare al CIDECI, o in un’altra geografia per videoconferenza, o che ricevano il materiale scolastico, o che aspettino il loro turno.
Forse vi sarete resi conto dello sforzo organizzativo che la scuola rappresenta per i popoli zapatisti.
Ma non domandatevi perché e come un gruppo di comunità indigene decide di ospitare, nutrire, convivere e condividere le sue conoscenze con un gruppo di stranieri, di diversi, di altr@. O com’è che l’oggetto dell’elemosina, della compassione, della pena e degli altri nomi dietro i quali si nasconde il razzismo, la discriminazione e il disprezzo, cioè, gli indigeni zapatisti, commettono l’audacia di dichiarare che hanno qualcosa da insegnare e per questo costruiscono, come prima una nave assurda in piena selva, ora una scuola così grande da abbracciare il mondo intero.
Oppure sì, ma domandatevi anche com’è possibile che persone dei 5 continenti, di ogni nazionalità (questo trucchetto di bandiere, frontiere e passaporti), di grandi o piccole conoscenze, decide che ha qualcosa da imparare da persone che nei grandi libri e nei discorsi governativi sono catalogate come “ignoranti”, “arretrate”, “emarginate”, “povere”, “analfabete”, e gli eccetera che potete trovare negli “studi” dell’INEGI, nei manuali di antropologia, e nelle parole e nei gesti di schifo di chi dice di governare il mondo.
Perché gente di fama o senza nome, si prende del tempo e lo usa per ascoltare, e nella maggioranza dei casi anche per viaggiare, per imparare dai popoli zapatisti?
A noi zapatisti non meraviglia il nostro continuo e persistente sali e scendi nella lotta per la vita, cioè, per la libertà. Quello che davvero ci sorprende è che esistano persone come voi che, potendo scegliere destinazioni più gradevoli, comode e invitanti, decidono di portare il loro cuore nelle montagne ribelli del sudest messicano per illuminare con un lampo, insieme a noi, un agosto nell’ultimo angolo di mondo, nel più piccolo.
Perché? Sarà perché per caso intuiscono, sanno, conoscono, che la luce non viene dall’alto, ma nasce e cresce dal basso? Che non è il prodotto di un leader, capo, caudillo, saggio, ma della gente comune? Sarà che nei loro conti, il grande comincia piccolo e ciò che ogni tanto scuote il mondo inizia con un mormorio, sommesso, basso, quasi impercettibile? O forse immaginano com’è il rumore di un mondo quando si sgretola. Forse sanno che i mondi nuovi nascono con i più piccoli.
Infine, ciò che in realtà deve sorprendere, siete voi qua e con noi, da questa parte. E credo sia chiaro che non mi riferisco né al calendario né alla geografia.
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LE/GLI ESONERATI
E ci sono persone che potrebbero ben stare dall’altra parte, con quelli di sopra, o con chi da parti diverse vede in noi un concorrente, un ostacolo, un fastidio, un nemico, un animale impossibile da domare e addomesticare. Là, da quella parte, potrebbero ricevere onori e corteggiamenti, omaggi e complimenti. Per ottenerli, bastava prendere le distanze dal nostro passo o unire il loro silenzio a quello complice di altre, di altri.
Alcune di queste persone hanno accettato l’invito alla scuola zapatista per generosità. Nel lungo percorso del loro degno cammino, hanno sempre mantenuto i ponti verso lo scalino più piccolo, più dimenticato, il nostro.
Ci sono stati anche altri, altre, che prima ci hanno appoggiato? Sì, molti, molte, e poi, sulla cresta dell’onda di turno, ci hanno chiesto sottomissione e soggezione alla nuova casacca che indossavano i nostri persecutori di sempre, ma ora di “sinistra”. Ci hanno chiesto che, prostrati, ringraziassimo per il loro aiuto tacendo di fronte alle ingiustizie di sempre, abbellite di false parole. Come il Prepotente, ci hanno chiesto obbedienza. Come al Prepotente, gli abbiamo risposto con la ribellione.
Ma queste altre persone compas, uomini e donne di differenti calendari e geografie, non ci hanno mai chiesto né sottomissione né di tentennare. E benché non poche volte il loro sguardo sia stato e sia critico riguardo il nostro cammino, è sempre stato ed è compagno.
Loro sono la prova che appoggio non è subordinazione (qualcosa che la sinistra mondiale ancora non riesce a capire).
Abbiamo invitato tutti/e loro. Ma non come alunni. Secondo noi, loro capiscono bene che cos’è la libertà secondo noi zapatiste, zapatisti. Li abbiamo invitati per renderli partecipi della gioia di vedere che il nostro passo, benché lento e sconcertante, prosegue e va verso un solo destino, che è anche il loro.
Riporto alcuni nomi. Non ci saranno tutte, tutti. Ma nominandoli, nominandole, nominiamo chi dovrebbe apparire al nostro fianco, ed anche, chi non c’è perché la morte si è presentata sul suo cammino. Ma sono nella nostra memoria, l’unica cosa e la migliore che abbiamo come arma e scudo. Ci mancheranno, per esempio: l’instancabile attivismo della compagna sorella Chapis; la fermezza della compa Rosa di Querétaro; lo sguardo-ponte di Beverly Brancroft; l’allegra risata di Helena, l’ostinata lotta di Martha de Los Ríos, la limpida parola di Tomás Segovia; il saggio ascolto di José Saramago, i sentimenti fraterni di Mario Benedetti, il genio di Manuel Vázquez Montalbán, la serena coerenza di Adolfo Sánchez Vázquez, la profonda conoscenza di Carlos Montemayor, l’abbraccio fraterno di Andrés Aubry e Angélica Inda, tra molti@ altr@.
Tutti loro, e qualche altr@, anche se inclusi nella lista degli invitat@ come alunn@, non lo sono. Sono, per usare il gergo scolastico, esonerati.
Sarà bene accoglierli con un abbraccio, qui o nella geografia dalla quale, generosi, ci guardano e ascoltano. Che vengano o no, saranno con noi per quello che sono: le nostre compagne e compagni.
Ora riporto il nome di pochi/e. Ce ne sono di più. A tutte e tutti loro faremo arrivare, insieme al nostro abbraccio, rinnovati ammirazione e rispetto, la lettera di esonero che è solo una prassi accademica per far loro sapere la nostra gratitudine. Quindi, ecco alcuni degli esonerati, con onore, dal corso “La Libertà secondo le/gli zapatisti”:
.- Nuestras queridas abuelas y madres, las Doñas de Chihuahua y
de Sinaloa, en el México de abajo y a la izquierda. .- Nuestras abuelas y madres de Plaza de Mayo, en la Argentina digna. .- María Luisa Tomasini, nuestra abuela en Chiapas. .- Pablo González Casanova. .- Luis Villoro. .- Adolfo Gilly. .- Paulina Fernández C. .- Óscar Chávez. .- John Berger. .- Carlos Aguirre Rojas. .- Antonio Ramírez Chávez. .- Domi. .- Vicente Rojo. .- Immanuell Wallerstain. .- Gilberto López y Rivas. .- Noam Chomsky. .- María Luisa Capella. .- Ernesto Cardenal. .- Neus Espresate Xirau. .- Marcos Roitman. .- Arturo Anguiano. .- Gustavo Esteva Figueroa. .- Jorge Alonso Sánchez. .- Hugo Blanco Galdós. .- Miquel Amorós. .- Neil Harvey. .- John Holloway. .- Malú Huacuja del Toro. .- Armando Bartra. .- Michael Hardt. .- Greg Ruggiero. |
.- Raúl Zibechi. .- Eduardo Galeano. .- Daniel Viglietti. .- León Gieco. .- Sylvia Marcos. .- Jean Robert. .- Juan Villoro. .- Mercedes Olivera. .- Bárbara Jacobs. .- Mayor insurgente honorario Félix Serdán. .- María Jesús de la Fuente Viuda de O’Higgins. .- Inés Segovia Camelo. .- Obispo Raúl Vera. .- Bárbara Zamora. .- El Mastuerzo. .- Rocko Pachukote. .- Francisco Segovia. .- Zach de la Rocha. .- Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas. .- Juan Carlos Mijangos Noh. .- Sindicato Mexicano de Electricistas (SME), México. .- Ignacio Del Valle. .- Confederación General de Trabajadores, Estado Español. .- Víctor Flores Olea. .- Magdalena Gómez. .- Brigada Callejera “Elisa Martínez”. .- la banda tuitera. .- la banda de medios alternativos. |
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Consigli oziosi (perché so che non mi darete retta).
Se, per esempio, vi tocca la scuola nella zona del Caracol di La Realidad. Dopo una giornata convulsa, con le fiacche su mani e piedi, ma con quel piacevole dolore che solo dà l’apprendere, sedetevi fuori dalla capanna. Accendetevi una sigaretta ed osservate come la luce del pomeriggio cede alle ombre della sera. Guardate come tutto intorno a voi sembra muoversi al rallentatore. Cala il silenzio sulla giornata quotidiana, cosa che ora vi permette di apprezzare l’ostinato frinire dei grilli, la lucina giocosa delle lucciole, lo zzzzzzzzz delle zanzare. Allora decidete di tirare fuori la vostra scacchiera portatile. State sistemando i pezzi, quando si avvicina un bambino o una bambina (calcolate: tra gli 8 e i 10 anni) che vi si siede accanto, coccoloni. Il bambino-bambina guarda con curiosità quello che state facendo e vi chiede, con un’innocenza al di sopra di ogni sospetto: “cos’è quello?” Vi sentite lusingati di avere l’opportunità di insegnare qualcosa, soprattutto dopo che da quando siete arrivati non ricevete altro che correzioni dal vostro Votán e dalla famiglia con la quale ora vivete. Quindi, tirate una boccata dalla sigaretta e dite: “Ah, è un gioco, si chiama scacchi”. E qui arriva il momento decisivo. Avete la tentazione di dire quello che non dovete dire. Pensate che, dopo tutto, è solo un bambino-bambina e che sarà divertente insegnargli quel gioco misterioso di intelligenza, tattica e strategia. Allora dite le parole maledette: “Vuoi che ti insegni a giocare?”. Già. La vostra sorte è segnata. Il bambino-bambina dirà con innocenza, “va bene, vediamo se riesco”. Poi: l’incubo. Dopo le prime spiegazioni “questo si chiama pedone”, “questo alfiere”, “questo cavallo” e così via, il bambino-bambina, si siederà davanti a voi. Passerete tutta la sera e parte della notte a sentirvi ripetere “scaccomatto”. Più tardi, poco prima che il sogno sognato occupi il posto del sogno reale, vi direte: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, vicino e lontano, accenderò la pipa, attingerò al mio pacchetto di biscotti a forma di animaletti e penserò: “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”. Ho sentito maledire in decine di lingue diverse i “maestri” di scacchi bastonati da@ bambin@ della zona di La Realidad. Dopo tutto, mica per niente questo posto è chiamato “La Realidad”, no?
Sul Calcio.
Se, per esempio, vi tocca la zona del Caracol di La Garrucha. Stessa situazione della precedente. Adesso è un bambino che giocherella con le mani con un pallone. Vi dice-domanda-sfida con un “Nel villaggio da dove vieni sapete giocare a calcio?”. Sentite subito scorrervi nelle vene Pelé e Garrincha, Maradona e Cruyff, Ronaldo e Messi (non in una Table Dance, si capisce), Puskas e Di Stéfano (sono andato troppo indietro nel calendario?), o chi vi piace nella vostra geografia e calendario. Io vi consiglio solo di sorridere e di mettervi a discorrere del tempo o di altro, ma… cominciate a vedere rosso e, beh, ho sempre pensato che lo sciovinismo sportivo sia ben tollerato perfino nella sinistra più radicale, cosicché, senza ascoltare il mio consiglio, vi sistemate gli stivali-anfibi-scarpe da tennis-pantofole-dita, vi alzate con un “Se sappiamo giocare a calcio nel villaggio da dove vengo? Adesso vedi. Andiamo”. La notte, quando sarete nel dormiveglia del buon riposo, farete la conta dei danni e vi direte che ha sbagliato il portiere, la difesa, il mediano, l’attaccante, l’arbitro, il campo impervio, il fango e la cacca del bestiame, che dopo tutto i gol subiti non erano tanto male, che ci sarà la rivincita. Ma, con l’ultimo sbadiglio, vi direte: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, vicino e lontano, accenderò la pipa e rilassandomi penserò: “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”. Ho visto squadre internazionali di autentici “assi” del calcio soccombere sui “campi di calcio” del Caracol di La Garrucha. In quella zona, perfino le mucche conoscono la magia del pallone.
Il Pozol Agrio.
In qualunque zona vi toccherà di ognuno dei 5 Caracoles. “C’è festa!” sentite che dicono. Vi alzate, anche se tutto il corpo vi duole come se aveste passato tutto il giorno a cercare di prendere un autobus nell’ora di punta della vostra geografia. Vi avvicinate alla folla. Allora sentite che gridano con giubilo “pozol agrio!”. Ascoltatemi: girate sui tacchi e tornate nella vostra capanna. Se qualcuno ve lo offre, scusatevi con un “grazie, ma sono pieno” e toccatevi la pancia con soddisfatta enfasi. Ma, due a uno che forse vi direte “Beh, sono venuto per condividere, quindi devo condividere anche l’allegria che sembra provocare quello che chiamano pozol agrio”, e ne chiedete un bicchiere-tazza. Mentre passerete l’intera notte alla latrina, sentirete il bisogno di accendere una sigaretta, anche se non fumate, e alla debole luce dell’accendino penserete: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, non tanto vicino ma sì lontano, accenderò la pipa e mentre mi dirò “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”, mi allontanerò ancora di più perché, credetemi, non c’è tabacco che copra quella puzza.
Il Cibo.
Se pensate che qualcosa può farvi male, o sapete che vi fa male, o non vi va, non lo mangiate. Non sentitevi obbligati a mangiare quello che non riuscite. Non vi guarderanno male, né sarete espulsi dalla scuola, né vi criticheranno, niente di tutto questo. Invece vi daranno medicinali per la pancia e vi domanderanno che cosa potete mangiare che non vi faccia male. Perché noi sappiamo bene che ciò che rallegra e nutre del cibo, è la parola che lo condisce. E sì, potete portare quello che vi piace mangiare, a patto che lo condividiate.
E non mi riferisco al fatto di darne una porzione a ciascuno, ma di condividere come si prepara, come si mangia, qual’è la sua storia. E no, condividere il mal di pancia non fa parte della vita comunitaria.
Il Tempo Libero.
Sì, potete portare un pallone, una chitarra, un’opera teatrale, un film, una storia da raccontare. Ricordate solo: tutto collettivo. No, non il collettivo col quale arrivate, ma il vostro collettivo qua: la vostra famiglia ed il vostro Votán. Se sentite qualcuno che dice “che allegra quella tonelada”, non pensate che si riferisca al peso della catasta di legna o del bidone d’acqua. È solo una di quelle bizzarre traduzioni che qua abbondano: con “tonelada” vogliono dire “tonada” [canzonetta - n.d.t.]. Di niente.
Gli slogan.
“Abbandonate ogni speranza di rima”, dovrebbe essere scritto all’ingresso di una comunità zapatista. Se vicino a voi qualcuno sta cercando di comporre uno “slogan” per la festa di benvenuto o di fine corso, e sentite che dice “non che no, sì che sì, siamo tanti e vinceremo”. Non vi venga in mente di dire che così non va o che manca la rima, perché sarete sommersi da una valanga di “perché? forse non siamo tanti? forse non vinceremo?”. E infine, un “ma si capisce, no?”
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Bene. E non dimenticate di portarvi tre cose importanti: qualcosa per il
freddo, qualcosa per la pioggia e qualcosa in cui far tesoro della memoria.Dalle montagne del Sudest Messicano.
SupMarcos Messico, Agosto 2013 ——————————————
Di Alí Primera, la classica “Non basta pregare” cantata da uno zapatista al Festival della Digna Rabia, in Chiapas, Messico. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=0WtBVZ5tobY
Gruppo musicale di compas zapatisti degli Altos del Chiapas. http://www.youtube.com/watch?v=vhR3HEy0i3c&feature=player_embedded
Ballo regionale interpretato da bambine zapatiste in Chiapas, al Festival della Digna Rabia. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=oYdUDTThyU0
(Traduzione “Maribel” – Bergamo)