Comandante Javier
porge il benvenuto alla carovana di Ayotzinapa nel caracol di Oventik, il 15 novembre
2014
Sorelle e
fratelli genitori dei 43 studenti desaparecidos, Studenti ed Insegnanti della
scuola Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, dello stato di Guerrero.
Buona sera a
tutti e tutte.
A nome delle
nostre migliaia di compagni e compagne basi di appoggio dell’Esercito Zapatista
di Liberazione Nazionale, vi diamo il più cordiale benvenuto in questo umile
Caracol II di Oventik, Resistencia y Rebeldía por la Humanidad, della
Zona Altos del Chiapas, Messico.
Siamo qui
quali rappresentanti dei nostri popoli zapatisti per accogliervi a braccia
aperte ed ascoltare le vostre parole.
Non siete
soli! Il vostro dolore è il nostro dolore! La vostra rabbia è la nostra degna
rabbia! E vi sosteniamo nella richiesta di riavere in vita i 43 studenti
desaparecidos per l’azione criminale dei malgoverni; accomodatevi, siete a casa
vostra, questo è il posto di tutte e tutti coloro che lottano.
Grazie.
Comandante Tacho apre l’incontro dell’EZLN con la carovana dei Ayotzinapa, il 15 novembre 2014
Compagne e
compagni:
Padri e madri
dei giovani studenti desaparecidos della Scuola Normale Rurale Raúl Isidro
Burgos di Ayotzinapa, stato di Guerrero, Messico.
Agli studenti
ed a tutti quelli che accompagnano questa carovana e a tutti i presenti.
A nome dei
bambini, bambine, ragazzi, ragazze, uomini, donne, anziani ed anziane
dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, benvenuti nel caracol di
Oventik, Caracol II Resistencia y Rebeldía por la Humanidad.
Compagne e
compagni:
L’Esercito
Zapatista di Liberazione Nazionale vuole ascoltare le vostre parole di dolore e
rabbia, che sono anche nostre.
Noi non
vogliamo sapere dei municipi bruciati, né delle auto bruciate, né di porte, né
di palazzi.
Noi vogliamo
ascoltare il vostro dolore, la vostra rabbia e la vostra angoscia di non sapere
dove si trovano i vostri ragazzi.
Vogliamo
anche dirvi che noi zapatisti vi abbiamo accompagnati nelle proteste e
mobilitazioni che si sono svolte in Messico e nel mondo, anche se sui mezzi di
comunicazione prezzolati non appaiono le nostre azioni di dolore e rabbia, ma
vogliamo dirvi che vi abbiamo accompagnati con fatti reali e veri.
Per questo
vogliamo che ci parliate e noi vogliamo ascoltarvi.
Se avessimo
saputo del vostro arrivo qualche giorno prima, oggi ad accogliervi ed
ascoltarvi saremmo stati molto più numerosi.
Noi oggi
siamo qui in rappresentanza di tutti per accogliervi con tutto il cuore ed
ascoltare il vostro dolore e la vostra rabbia.
È tutto.
Parole del
Comando Generale dell’EZLN, per voce del Subcomandante Insurgente Moisés, al
termine dell’incontro con la carovana dei familiari di desaparecidos e studenti
di Ayotzinapa, nel caracol di Oventik, il giorno 15 novembre 2014.
Madri, Padri e
Familiari dei nostri fratelli assassinati e scomparsi a Iguala, Guerrero:
Studenti
della Scuola Normale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, Guerrero:
Fratelli e
sorelle:
Ringraziamo
di tutto cuore per averci portato la vostra parola.
Sappiamo che
per portarci questa parola diretta, senza intermediari, senza interpretazioni
estranee, avete dovuto viaggiare molte ore e soffrire la stanchezza, la fame,
il sonno.
Sappiamo
anche che per voi questo sacrificio è parte del dovere che vi sentite.
Il dovere di
non abbandonare i compagni fatti scomparire dai malgoverni, di non venderli, di
non dimenticarli.
E’ a causa di
questo senso del dovere che avete iniziato la vostra lotta fin da quando non si
faceva alcun caso a essa, e i fratelli oggi scomparsi erano catalogati come
“capelloni”, “novellini”, “futuri delinquenti che se lo meritavano”,
“picchiatori”, “radicali”, “tamarri”, “agitatori”.
Così li hanno
chiamati molti di quelli che ora si affollano attorno alla vostra degna rabbia
per moda o convenienza, benché allora volessero incolpare della disgrazia la
Normale Raúl Isidro Burgos.
C’è ancora
chi tenta di farlo da là sopra, con l’intenzione di distrarre e nascondere il
vero colpevole.
Per questo
senso del dovere avete iniziato a parlare, a gridare, a spiegare, a raccontare,
a usare la parola con coraggio, con degna rabbia.
Oggi, nel
marasma di parole vane che uno o l’altro sparge sulla vostra degna causa,
litigano ora per stabilire chi ha fatto in modo che foste conosciuti,
ascoltati, compresi, abbracciati.
Forse non ve
l’hanno detto, ma siete stati voi, i familiari e compagni degli studenti morti
e scomparsi, a ottenere, con la forza del vostro dolore, e di tale dolore
convertito in rabbia degna e nobile, che molte e molti, in Messico e nel Mondo,
si sveglino, facciano domande, pongano in questione.
Per questo vi
ringraziamo.
Non solo per
averci onorato con l’aver portato la vostra parola perché la potessimo ascoltare,
umili come siamo: senza rilevanza mediatica, senza contatti con i malgoverni,
senza capacità né conoscenze per potervi accompagnare, spalla a spalla,
nell’incessante andirivieni di ricerca dei vostri cari, che ormai lo sono anche
per milioni di persone che non li hanno conosciuti; senza le parole sufficienti
a darvi consolazione, sollievo, speranza.
Anche e
soprattutto, vi ringraziamo per il vostro eroico impegno, la vostra saggia
caparbietà di nominare i desaparecidos di fronte ai responsabili della loro
disgrazia, di domandare giustizia di fronte alla superbia del potente, di
insegnare ribellione e resistenza di fronte al conformismo e al cinismo.
Vogliamo
ringraziarvi per gli insegnamenti che ci avete dato e ci state dando.
E’ terribile
e meraviglioso che familiari e studenti poveri e umili che aspirano a diventare
maestri, si siano convertiti nei migliori professori che abbiano visto i cieli
di questo paese negli ultimi anni.
Fratelli e
sorelle:
la vostra
parola per noi è stata ed è una forza.
E’ come se ci
abbiate dato un alimento pur essendo lontani, pur non conoscendoci, sebbene ci
separassero i calendari e le geografie, cioè il tempo e la distanza.
E vi
ringraziamo anche perché ora vediamo, ascoltiamo e leggiamo che altri cercano
di zittire la vostra parola dura, forte, quel nucleo di dolore e rabbia che ha
messo in moto tutto.
E noi
vediamo, ascoltiamo e leggiamo che ora si parla di porte che prima non
importavano a nessuno.
Dimenticando
che da tempo tali porte sono servite a indicare a quelli di fuori che non erano
affatto tenuti in considerazione nelle decisioni che prendevano quelli
all’interno.
Dimenticando
che ora tali porte sono parte soltanto di un baraccone inservibile, dove si
simula sovranità e ci sono solo servilismo e sottomissione.
Dimenticando
che tali porte danno soltanto su un grande centro commerciale al quale non
accede il popolo che sta fuori, e nel quale si vendono i rottami di quel che in
qualche tempo è stata la Nazione messicana.
A noi non
interessano queste porte.
Né ci
interessa se le bruciano, se le adorano, se le vedono con rabbia, o con
nostalgia, o con desiderio.
A noi
importano di più le vostre parole.
La vostra
rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.
Perché là
fuori si parla, si discute, si chiosa su violenza e non violenza, lasciando da
parte che la violenza si siede tutti i giorni a tavola con la maggioranza delle
persone, cammina con loro al lavoro, a scuola, torna con loro a casa, dorme con
loro, diventa incubo che è sogno e realtà indipendentemente dall'età, dalla
razza, dal genere, dalla lingua, dalla cultura.
E noi
ascoltiamo, vediamo e leggiamo che là fuori si discutono colpi di mano di
destra e di sinistra, ovvero chi mandiamo via per vedere chi mettiamo al suo
posto.
E si dimentica
così che l’intero sistema politico è marcio.
Che non è
tanto il fatto di avere relazioni con il crimine organizzato, con il
narcotraffico, con le molestie, le aggressioni, gli stupri, le botte, le
carceri, le sparizioni, gli omicidi, bensì che tutto questo è già parte della
sua essenza.
Perché non si
può più parlare della classe politica e differenziarla dagli incubi che
soffrono milioni di persone in queste terre.
Corruzione,
impunità, autoritarismo, crimine organizzato e disorganizzato, sono già negli
emblemi, negli statuti, nelle dichiarazioni di principi e nella pratica di
tutta la classe politica messicana.
A noi non
importano i perché e percome, gli accordi e disaccordi che quelli di sopra
imbastiscono per decidere chi si incarica ora della macchina di distruzione e
morte in cui si è convertito lo Stato messicano.
A noi
importano le vostre parole.
La vostra
rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.
E noi
vediamo, leggiamo e ascoltiamo che là fuori si discutono calendari, sempre i
calendari di sopra, con le loro date ingannevoli che nascondono le oppressioni
che oggi patiamo.
Perché si
dimentica che dietro Zapata e Villa si nascondono quelli che sono rimasti, i
Carranza, Obregón, Calles e la lunga lista di nomi che, sul sangue di chi è
stato come noi, prolunga il terrore fino ai nostri giorni.
A noi
importano le vostre parole.
La vostra
rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.
E noi
leggiamo, ascoltiamo e vediamo che là fuori si discutono tattiche e strategie,
i metodi, il programma, il che fare, chi dirige chi, chi comanda e verso dove è
orientato.
E si
dimentica che le domande sono semplici e chiare: devono ricomparire in vita
tutti e tutte, non solo quelli di Ayotzinapa; devono essere puniti i colpevoli
di tutto lo spettro politico e di tutti i livelli; e si deve fare il necessario
perché non si torni mai più a ripetere l’orrore contro chiunque in questo
mondo, anche se non si tratta di una personalità o di qualcuno di prestigio.
A noi
importano le vostre parole.
La vostra
rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.
Perché nelle
vostre parole noi ascoltiamo anche noi stessi.
In queste
parole ci sentiamo dire e dirci che nessuno pensa a noi, i poveri di sotto.
Nessuno,
assolutamente nessuno pensa a noi.
Fanno solo
finta di esserci per vedere cosa cavarne, quanto possono crescere, guadagnare,
raccogliere, fare, disfare, dire, tacere.
Molti giorni
fa, nei primi giorni di ottobre, quando appena appena si iniziava a comprendere
l’orrore di ciò che era avvenuto, vi mandammo alcune parole.
Piccole, come
da tempo sono di per sé le nostre parole.
Poche parole
perché il dolore non trova mai parole sufficienti che lo dicano, che lo spieghino,
che lo allevino, che lo curino.
Allora vi
dicemmo che non siete soli.
Ma con ciò vi
dicemmo non soltanto che vi appoggiavamo e che, seppure lontani, il vostro
dolore era nostro, come nostra è la vostra degna rabbia.
Sì, vi
dicemmo questo ma non solo questo.
Vi avevamo
detto anche che nel vostro dolore e nella vostra rabbia non eravate soli perché
migliaia di uomini, donne, bambini e anziani conoscono sulla propria pelle
quell’incubo.
Non siete
soli sorelle e fratelli.
Cercate le
vostre parole anche nei familiari dei bambini e delle bambine assassinati
nell’asilo nido ABC nel Sonora; nelle organizzazioni per i desaparecidos nel
Coahuila; nei familiari delle vittime innocenti della guerra, persa fin dall'inizio, contro il narcotraffico; nei familiari dei migliaia di migranti
eliminati nell'intero territorio messicano.
Cercatele
nelle vittime quotidiane che, in ogni angolo del nostro paese, sanno che
l’autorità legale è chi picchia, annichila, ruba, sequestra, estorce, stupra,
incarcera, uccide, a volte sotto le vesti di organizzazione criminale e a volte
come governo legalmente costituito.
Cercate i
popoli originari che, da prima che il tempo fosse tempo, serbano la saggezza
necessaria a resistere e che conoscono più di chiunque altro il dolore e la rabbia.
Cercate lo
Yaqui e si troverà in voi.
Cercate il
Nahua e vedrete che la vostra parola sarà accolta.
Cercate il
Ñahtó e lo specchio sarà mutuo.
Cercate
coloro che hanno innalzato queste terre e con il loro sangue hanno partorito
questa Nazione fin da prima che la chiamassero “Messico”, e saprete che di
sotto la parola è ponte che attraversa senza timore.
Perciò ha
forza la vostra parola.
Nelle vostre
parole si sono visti riflessi in milioni.
Molti lo
dicono, anche se la maggior parte lo tace ma fa suo il vostro reclamare e
dentro di sé ripete le vostre parole.
Si
identificano con voi, con il vostro dolore e la vostra rabbia.
Sappiamo che
molti vi richiedono, vi esigono, vi domandano, vi vogliono portare da una parte
o dall'altra, vi vogliono usare, vi vogliono comandare.
Sappiamo che
è molto il frastuono che vi scagliano contro.
Noi non
vogliamo aggiungere frastuono al frastuono.
Noi vogliamo
solo dirvi di non lasciar cadere la vostra parola.
Non
lasciatela cadere.
Non
affievolitela.
Fatela
crescere perché si elevi al di sopra del frastuono e della menzogna.
Non
abbandonatela perché in lei prosegue non solo la memoria dei vostri morti e
desaparecidos, ma cammina anche la rabbia di chi oggi è di sotto perché gli
altri siano di sopra.
Sorelle e
fratelli:
Noi pensiamo
che forse sapete già che può succedere che rimaniate soli, e che siate
preparati.
Che può
succedere che quelli che ora si affollano su di voi per usarvi a proprio
beneficio, vi abbandonino e corrano altrove alla ricerca di un’altra moda, di
un altro movimento, di un’altra mobilitazione.
Noi vi
parliamo di ciò che conosciamo perché è già parte della nostra storia.
Fate conto
che siano 100 quelli che ora vi accompagnano nelle vostre richieste.
Di questi
100, 50 vi sostituiranno per la moda che verrà al prossimo giro di calendario.
Dei 50 che
resteranno, 30 compreranno l’oblio che fin d’ora si offre a pagamenti rateali e
si dirà di voi che ormai non esistete, che non avete combinato nulla, che siete
stati una farsa per distrarre da altre cose, che siete stati un’invenzione del
governo affinché non facesse progressi il tal partito o il tal personaggio
politico.
Dei 20
rimanenti, 19 fuggiranno impauriti al primo vetro rotto perché le vittime di
Ayotzinapa, di Sonora, di Coahuila, di qualsiasi geografia, restano nei mezzi
di comunicazione solo un momento e possono scegliere di non vedere, di non
ascoltare, di non leggere, girando pagina, cambiando canale o stazione, ma un
vetro rotto è, in cambio, una profezia.
E allora, di
100 vedrete che ne resterà solo uno, una, unoa.
Ma questa una
o uno o unoa, si è scoperta nelle vostre parole; ha aperto il suo cuore, come
diciamo noi, e in quel cuore si sono seminati il dolore e la rabbia della
vostra indignazione.
Non soltanto
per i vostri morti e desaparecidos, ma anche per quell’uno, una, unoa tra
cento, dovete andare avanti.
Perché quell'una o uno o unoa, come voi, non si arrende, non si vende, non zoppica.
Come parte di quell'uno per cento, magari la più piccola, stiamo e staremo noi zapatiste e
zapatisti.
Ma non solo.
Ci sono
molte, molti, moltei di più.
Perché
risulta che i pochi sono pochi finché si incontrano e si scoprono in altri.
Allora
accadrà qualcosa di terribile e meraviglioso.
E quelli che
si credevano pochi e soli, scopriranno che siamo la maggioranza in tutti i
sensi.
E che sono
quelli di sopra a essere pochi, in verità.
E allora
bisognerà ribaltare il mondo perché non è giusto che i pochi dominino i molti,
le molte.
Perché non è
giusto che ci siano dominatori e dominati.
Sorelle e
fratelli:
Tutto questo
diciamo noi, secondo i nostri pensieri che sono le nostre storie.
Voi, nelle
vostre storie, ascolterete molti altri pensieri, così come ora ci fate l’onore
di ascoltare i nostri.
E voi avete
la saggezza per prendere ciò che ci trovate di buono e disfarvi di ciò che
vedete di male in tali pensieri.
Noi come
zapatisti pensiamo che i cambiamenti che importano davvero, che sono profondi,
che creano altre storie, sono quelli che iniziano con i pochi e non con i
tanti.
Però sappiamo
che voi sapete che sebbene passerà di moda Ayotzinapa, che sebbene falliranno i
grandi piani, le strategie e le tattiche, che sebbene passeranno le congiunture
e diverranno di moda altri interessi e altre forze, che sebbene se ne andranno
quelli che oggi si agglomerano su di voi come animali da carogna che prosperano
sul dolore altrui; sebbene tutto questo passerà, voi e noi sappiamo che c’è in
ogni luogo un dolore come il nostro, una rabbia come la nostra, un impegno come
il nostro.
Noi come
zapatisti che siamo vi invitiamo ad andare da questi dolori e queste rabbie.
Cercateli,
incontrateli, rispettateli, parlateci e ascoltateli, scambiate i vostri dolori.
Perché noi
sappiamo che quando dolori differenti si incontrano non germinano in
rassegnazione, tristezza e abbandono, bensì in ribellione organizzata.
Sappiamo che
nel vostro cuore, indipendentemente dalle vostre credenze e dalle vostre
ideologie e organizzazioni politiche, ad animarvi è la richiesta di giustizia.
Non
spezzatevi.
Non
dividetevi, a meno che non sia per arrivare più lontano.
E
soprattutto, non dimenticate che non siete soli.
Sorelle e
fratelli:
Con le nostre
piccole forze ma con tutto il nostro cuore abbiamo fatto e faremo il possibile
per appoggiare la vostra giusta lotta.
Non è stata
molta la nostra parola perché abbiamo visto che ci sono molti interessi, dei
politici di sopra in prima fila, che vi vogliono usare a proprio gusto e convenienza,
e non ci sommiamo né ci sommeremo al volo rapace degli opportunisti svergognati
ai quali non importa nulla che ricompaiano in vita quelli che mancano ora,
bensì importa portare acqua al mulino della loro ambizione.
Il nostro
silenzio ha significato e significa rispetto perché la dimensione della vostra
lotta è gigante.
Perciò i
nostri passi sono stati in silenzio, per farvi sapere che non siete soli,
perché sappiate che il vostro dolore è il nostro e nostra è anche la vostra
degna rabbia.
Perciò le
nostre piccole luci si sono accese dove nessuno, a parte noi, ne teneva conto.
Chi vede come
poca cosa o ignora questo nostro sforzo, e reclama ed esige che parliamo, che
dichiariamo, che aggiungiamo rumore al rumore, è un razzista che disprezza ciò
che non appare di sopra.
Perché è
importante che voi sappiate che vi appoggiamo, ma è importante anche che noi
sappiamo di appoggiare una causa giusta, nobile e degna, così come lo è quella
che ora anima la vostra carovana per tutto il paese.
Perché questo,
sapere che appoggiamo un movimento onesto, per noi è alimento e speranza.
Sarebbe un
male se non ci fosse alcun movimento onesto, e che in tutto il grande sotto che
siamo si fosse replicata la farsa grottesca di sopra.
Noi pensiamo
che chi punta su un calendario di sopra o su una scadenza, vi abbandonerà
quando apparirà una nuova scadenza all’orizzonte.
Avendo
fiutato una congiuntura per la quale nulla hanno fatto e che all’inizio hanno
disprezzato, aspettano che “le masse” gli aprano la strada al Potere e che un
uomo supplisca a una altro uomo di sopra mentre sotto non cambia niente.
Noi pensiamo
che le congiunture che trasformano il mondo non nascono dai calendari di sopra,
ma sono create dal lavoro quotidiano, tenace e continuo di coloro che scelgono
di organizzarsi invece di unirsi alla moda di turno.
Certo, ci
sarà un cambiamento profondo, una trasformazione reale in questo e in altri
territori dolenti del mondo.
Non una ma
molte rivoluzioni dovranno scuotere il pianeta.
Ma il
risultato non sarà un cambio di nomi e di etichette per cui quello di sopra
continui a stare di sopra a spese di chi sta sotto.
La
trasformazione reale non sarà un cambio di governo, ma di relazione, per la
quale il popolo comandi e il governo obbedisca.
Per la quale
essere governo non sia un affare.
Per la quale
essere donne, uomini, altri, bambine, bambini, anziani, giovani, lavoratori o
lavoratrici della campagna e della città, non sia un incubo o un trofeo di
caccia per il piacere o l’arricchimento dei governanti.
Per la quale
la donna non sia umiliata, l’indigeno disprezzato, il giovane desaparecido, il
diverso dipinto come un diavolo, l’infanzia resa una merce, la vecchiaia
accantonata.
Per la quale
il terrore e la morte non regnino.
Per la quale
non ci siano né re né sudditi, né padroni né schiavi, né sfruttatori né
sfruttati, né salvatori né salvati, né leader né seguaci, né comandanti né
comandati, né pastori né pecore.
Sì, sappiamo
che non sarà facile.
Sì, sappiamo
anche che non sarà rapido.
Sì, ma
sappiamo bene anche che non sarà un cambiamento di nomi e d’insegne
nell’edificio criminale del sistema.
Ma sappiamo
che sarà.
E sappiamo
anche che voi e tutti gli altri troverete i vostri desaparecidos, che ci sarà
giustizia, che per tutti quelli che hanno sofferto e soffrono questa pena ci
sarà il sollievo di avere risposte al perché, cosa, chi e come, e su queste
risposte non solo si costruirà il castigo dei responsabili, ma anche il
necessario affinché non si ripeta e che l’essere giovane e studente, o donna, o
bambino, o migrante, o indigeno, eccetera, non sia un marchio attraverso il
quale il boia di turno identifichi la sua prossima vittima.
Sappiamo che
così sarà perché abbiamo ascoltato qualcosa che abbiamo in comune, tra le
molte altre cose.
Perché
sappiamo che voi e noi non ci venderemo, non zoppicheremo e non ci arrenderemo.
Fratelli e
sorelle:
Da parte
nostra vogliamo soltanto che portiate con voi questo pensiero che vi diciamo
dal fondo del nostro cuore collettivo:
Grazie per le
vostre parole, sorelle e fratelli.
Ma
soprattutto, grazie per la vostra lotta.
Grazie
perché, sapendo di voi, sappiamo che già si vede l’orizzonte…
Democrazia!
Libertà!
Giustizia!
Dalle montagne del Sudest Messicano.
Per il Comitato Clandestino
Rivoluzionario Indigeno- Comando Generale dell’Esercito Zapatista di
Liberazione Nazionale.
Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, a 15 giorni del mese di
novembre 2014, nell'anno 20 dall'inizio della guerra contro l’oblio.