Torturato, decapitato e smembrato. Il corpo dell’attivista messicano Alejandro Gustavo Salgado Delgado
è stato ritrovato così, nei pressi di un villaggio di campagna nel comune di Ciudad Ayala (Morelos).
Aveva 32 anni ed era un dirigente del Frente Popular Revolucionario (Fpr). Svolgeva attività
politica e di sostegno ai braccianti della montagna di Guerrero, uno dei territori con la maggior
quantità di coltivazioni di oppio al mondo. L’Fpr è un movimento di guerriglia di stampo leninista
che ha le sue basi legali nelle poverissime zone di campagna della regione ed è presente nelle Normales
Rurales, tradizionali fucine di rivoluzionari.
Studenti normalistas erano anche i 43 scomparsi di Ayotzinapa, al centro di una mobilitazione che
non si placa.
L’Fpr aveva subito diffuso un comunicato di sostegno aperto ai famigliari degli studenti
e alle organizzazioni popolari per denunciare «il crimine di stato». Delgado era in prima fila nelle
manifestazioni che hanno scosso la coscienza del Messico a seguito del massacro di Iguala (nel Guerrero)
del 26 settembre scorso. Allora, l’attacco congiunto di narcotrafficanti e polizia locale ha provocato
diversi morti e feriti fra gli studenti che manifestavano contro le politiche di privatizzazione
del presidente Enrique Peña Nieto.
E da quel giorno mancano all’appello 43 ragazzi: anzi, 42 dopo
che l’esame dei resti ritrovati in una delle numerose fosse comuni clandestine venute alla luce dopo
il caso, ne ha identificato uno. Il governo ha deciso di interrompere le ricerche prendendo per buona
la versione fornita da alcuni pentiti: i poliziotti hanno consegnato i ragazzi ai narcos e questi li hanno
uccisi e bruciati nella discarica di Cucula.
Confessioni tutt’altro che spontanee — ha rivelato un’inchiesta della rivista Proceso — giacché poliziotti
e narcos pentiti presentano evidenti segni di tortura. Una pratica corrente in uno stato in cui il
business della «lotta al narcotraffico» alimenta quello giudiziario-poliziesco e serve per reprimere le
proteste popolari. «Vivi li hanno presi e vivi li vogliamo», continuano a gridare i famigliari dei normalistas,
convinti che potrebbero trovarsi nelle caserme militari e portano il loro grido in tutte le
istanze internazionali.
La Commissione nazionale per i diritti umani ha accusato il governo messicano di palese inadempienza
nella ricerca degli scomparsi e gli ha chiesto di permettere l’intervento del Comitato delle
Nazioni unite sulle sparizioni forzate, in base all’articolo 31 della Convenzione internazionale per la
protezione di tutte le persone contro le sparizioni forzate dell’Onu. Per la prima volta, nei giorni
scorsi, dieci esperti in tema di diritti umani, indipendenti e di diverse nazionalità, hanno esaminato il
caso dei 43 alle Nazioni unite insieme a una delegazione dei famigliari.
Anche il Parlamento europeo
ha ricevuto i famigliari degli scomparsi e ha deciso di destinare parte di un fondo di un milione di
euro alla loro ricerca: «I nostri figli sono contadini come noi, li abbiamo mandati a scuola affinché
non soffrano quello che soffriamo noi, che lavoriamo dall’alba al tramonto», — ha detto uno dei genitori,
tornando ad accusare le politiche del governo.
Il Guerrero è uno degli stati messicani più poveri e con il più alto tasso di criminalità organizzata.
Nel 2014, il numero dei sequestri, in Messico, è aumentato del 30% rispetto all’anno precedente: nel
2013 sono stati 2.166, alla fine del 2014 erano già 2.818.
Un segno evidente del fallimento delle politiche
per la sicurezza e dell’assenza di politiche pubbliche del neoliberista Peña Nieto. Ieri sono stati
scoperti 61 corpi in un crematorio abbandonato ad Acapulco, a circa 200 km da Iguala. Nessuno,
però, risulta bruciato, e diversi resti appartengono a donne (fra le vittime più numerose della violenza
in Messico).
Per le strade del Guerrero, a fianco delle foto dei 43, ora c’è anche quella di Alejandro Gustavo Sal-gado Delgado, «caduto combattendo», dicono i manifesti. E si chiede giustizia anche per lui. Il
giorno della sua scomparsa, il Frente Popular Revolucionario ha scritto che il lavoro sociale del militante
dava fastidio ad alcuni cacicchi della zona e ha accusato lo stato di Morelos e il suo governatore.
Salgado è stato visto per l’ultima volta nella serata di martedì scorso, al termine di
un’assemblea coi braccianti della comunità di El Chivatero. Negli ultimi tempi, stava prestando assistenza
agli sfollati degli uragani Ingrid e Manuel, fuggiti a Morelos per lavorare nelle piantagioni di
canna da zucchero. Finita la riunione, ha preso un autobus e da allora non se n’è saputo più nulla
fino al ritrovamento del suo corpo martoriato.
La morte del dirigente riporta in primo piano il conflitto sociale nel sud del paese, dove ancora agiscono
— seppur indebolite — diverse formazioni di guerriglia. In vista delle elezioni parlamentari di
giugno (una sorta di mid-term) la critica dei movimenti popolari, che chiedono riforme radicali, si fa
più forte.
Ha scritto l’Fpr: «Che sia chiaro: la soluzione che noi proponiamo è la rivoluzione, dare un
taglio netto a questo sistema politico, economico e sociale putrefatto, agli sfruttatori e ai personaggi
che li servono. Per ogni morto, scomparso o torturato, imprigionato o perseguito, il popolo pareggerà
i conti».
tratto da IlManifesto
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Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
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