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venerdì 27 marzo 2020

Alle porte di un nuovo ordine mondiale - Raúl Zibechi



foto twitter.com
La pandemia comporta l’approfondirsi della decadenza e della crisi del sistema che, nel breve termine, era cominciata nel 2008, e che invece, nel lungo periodo, si estende a partire dalla 
rivoluzione mondiale del 1968. Siamo entrati in un periodo di caos del sistema-mondo, la condizione preliminare per la formazione di un nuovo ordine mondiale. In effetti, le principali tendenze in corso (militarizzazione, declino dell’egemonia degli Stati Uniti e ascesa dell’Asia e Pacifico, fine della globalizzazione neoliberista, rafforzamento degli Stati e avanzamento delle ultra destre) sono processi di lungo respiro, che si accelerano in questa congiuntura.
Da una prospettiva geopolitica, la Cina ha mostrato la capacità per andare avanti, superare le difficoltà e continuare la sua ascesa come potenza globale che in pochi decenni potrà essere egemone. La coesione della popolazione e un governo efficiente sono due degli aspetti centrali che spiegano in larga parte la resilienza e la resistenza cinese.

La dura esperienza vissuta dal suo popolo negli ultimi due secoli (dalle guerre dell’oppio fino  all'invasione giapponese) aiutano a spiegare la sua capacità di far fronte alle tragedie. La rivoluzione socialista del 1949, oltre a quella nazionalista del 1911, e il notevole miglioramento nella qualità della vita dell’insieme della popolazione, spiegano la coesione intorno al Partito Comunista e allo Stato, al di là delle opinioni che si possano avere su quelle istituzioni.

Al contrario, la divisione interna che vive la popolazione degli Stati Uniti (evidenziata nelle ultime elezioni e nell’epidemia dei farmaci oppioidi che ha diminuito la speranza di vita), si coniuga con un governo erratico, imperiale e machista, di cui diffidano perfino i suoi più vicini alleati.

L’Unione Europea sta ancora peggio degli Usa. Dalla crisi del 2008 ha perso la sua bussola strategica, non ha saputo distaccarsi dalla politica di Washington e del Pentagono e ha evitato di prendere decisioni che l’avrebbero perfino favorita, come la conclusione del gasdotto Nord Stream 2, paralizzato per le pressioni di Trump. L’euro non è una moneta affidabile e la mai concretizzata uscita del Regno Unito dal’Unione Europea indica la debolezza delle istituzioni comuni.
foto pixabay



La finanziarizzazione dell’economia, dipendente dalle grandi banche corrotte e inefficienti ha trasformato l’eurozona in una “economia a rischio”, priva di una rotta e di un orizzonte di lunga durata. L’impressione è che L’Europa è destinata ad accompagnare il declino degli Stati Uniti, giacché è stata incapace di rompere il cordone ombelicale allacciato dai tempi del Piano Marshall.

Tanto gli Stati Uniti quanto l’Unione Europea, come – nemmeno a dirlo – i paesi latinoamericani, soffriranno gli effetti economici della pandemia con molta più intensità di quelli asiatici, i quali hanno mostrato, dal Giappone alla Cina, fino a Singapore e la Corea del Sud, una notevole capacità di superare le avversità.

Una recente inchiesta di Foreign Policy tra dodici illustri intellettuali si conclude sostenendo che gli Usa hanno perso la loro capacità di leadership globale e che l’asse del potere mondiale si trasferisce in Asia. La pandemia è la tomba della globalizzazione neoliberista, quella del futuro sarà una globalizzazione più “amichevole”, centrata sulla Cina e i paesi dell’Asia e Pacifico.

Nelle principali e decisive tecnologie, la Cina è già in testa. Guida la classifica nella costruzioni di reti 5G, nell’intelligenza artificiale, nel computing quantistico e nei supercomputer. L’economista Oscar Ugarteche, dell’Observatorio Económico de América Latina (Obela), sostiene che “la Cina è la fonte dei cinque rami dell’economia mondiale: la chimica farmaceutica, le automobili, l’aeronautica, l’elettronica e le telecomunicazioni”.

Così la chiusura delle fabbriche cinesi può frenare la produzione di questi cinque rami dell’economia nel mondo. La Cina produceva già nel 2017 il 30% dell’energia solare mondiale, più dell’Unione Europea e il doppio degli Stati Uniti. La classifica Top500 dei maggiori supercomputer del mondo rivela che la Cina ne possiede 227 su 500 (il 45%), contro i 118 degli Usa, al minimo storico. Dieci anni fa, nel 2009, la Cina ne aveva 21 contro i 277 dell’allora superpotenza.

martedì 17 marzo 2020

Messico - L'EZLN chiude i caracoles a causa del coronavirus e invita a non abbandonare le lotte

COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO
16 MARZO 2020
AL POPOLO DEL MESSICO:
AI POPOLI DEL MONDO:
AL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO – CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO:
ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:
ALLE RETI DI RESISTENZA E RIBELLIONE:
SORELLE, FRATELLI, HERMANOAS:
COMPAGNI, COMPAGNE, COMPAÑEROAS:
VI COMUNICHIAMO CHE:
CONSIDERANDO LA MINACCIA REALE, SCIENTIFICAMENTE COMPROVATA, PER LA VITA UMANA CHE RAPPRESENTA IL CONTAGIO DEL COVID-19, ANCHE NOTO COME “CORONAVIRUS”.
CONSIDERANDO LA FRIVOLA IRRESPONSABILITÀ E LA MANCANZA DI SERIETÀ DEI MALGOVERNI E DELLA CLASSE POLITICA NELLA SUA TOTALITÀ, CHE FANNO USO DI UN PROBLEMA UMANITARIO PER ATTACCARSI RECIPROCAMENTE INVECE DI ADOTTARE LE MISURE NECESSARIE PER AFFRONTARE QUESTO PERICOLO CHE MINACCIA LA VITA SENZA DISTINZIONE DI NAZIONALITÀ, SESSO, RAZZA, LINGUA, CREDO RELIGIOSO, MILITANZA POLITICA, CONDIZIONE SOCIALE E STORIA.
CONSIDERANDO LA MANCANZA DI INFORMAZIONE VERITIERA ED OPPORTUNA SULLA PORTATA E GRAVITÀ DEL CONTAGIO, COSÌ COME L’ASSENZA DI UN PIANO REALE PER AFFRONTARE LA MINACCIA.
CONSIDERATO L'IMPEGNO ZAPATISTA NELLA NOSTRA LOTTA PER LA VITA.
ABBIAMO DECISO DI:
PRIMO - DECRETARE L’ALLERTA ROSSA NEI NOSTRI VILLAGGI, COMUNITÀ E ZONE ED IN TUTTE LE ISTANZE ORGANIZZATIVE ZAPATISTE.
SECONDO - RACCOMANDARE ALLE GIUNTE DI BUON GOVERNO E MUNICIPI AUTONOMI RIBELLI ZAPATISTI, LA CHIUSURA TOTALE E IMMEDIATA DEI CARACOLES E DEI CENTRI DI RESISTENZA E RIBELLIONE.
TERZO - RACCOMANDARE ALLE BASI DI APPOGGIO E A TUTTA LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DI SEGUIRE UNA SERIE DI RACCOMANDAZIONI E MISURE DI IGIENE STRAORDINARIE CHE SARANNO TRASMESSE NELLE COMUNITÀ, VILLAGGI E ZONE ZAPATISTE.
QUARTO - DI FRONTE ALL’ASSENZA DEI MALGOVERNI, ESORTARE TUTTE, TUTTI E TODOAS, IN MESSICO E NEL MONDO, AD ADOTTARE TUTTE LE MISURE SANITARIE NECESSARIE CHE, SU BASI SCIENTIFICHE, PERMETTERANNO DI USCIRE IN VITA DA QUESTA PANDEMIA.
QUINTO - INVITIAMO A NON ABBANDONARE LA LOTTA CONTRO LA VIOLENZA FEMMINICIDA, A CONTINUARE LA LOTTA IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA, A MANTENERE LA LOTTA PER LE/I DESAPARECID@S, ASSASSINAT@ E CARCERAT@, E AD INNALZARE BEN ALTA LA BANDIERA DELLA LOTTA PER L’UMANITÀ.
SESTO - INVITIAMO A NON PERDERE IL CONTATTO UMANO, BENSÌ A CAMBIARE TEMPORANEAMENTE I MODI DI SAPERCI COMPAGNE, COMPAGNI, COMPAÑEROAS, SORELLE, FRATELLI, HERMANOAS.
LA PAROLA E L’ASCOLTO, CON IL CUORE, HANNO MOLTE STRADE, MOLTI MODI, MOLTI CALENDARI E MOLTE GEOGRAFIE PER INCONTRARSI. E QUESTA LOTTA PER LA VITA PUÒ ESSERE UNA DI QUESTE.
È TUTTO.
DALLE MONTAGNE DEL SUDEST MESSICANO.
Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, marzo 2020

Mondo - L'epidemia del neoliberismo


di Raúl Zibechi

Sono trascorsi secoli da quando abbiamo imparato a conoscere l’importanza dei contesti sociali e naturali in cui si radicano e moltiplicano i virus, anche perché conviviamo con essi e non sempre ci minacciano
La peste nera ci ha insegnato che virus preesistenti si moltiplicano e diffondono quando si creano le condizioni appropriate perché ciò avvenga. Nel nostro caso, quelle condizioni sono state create dal neoliberismo.


In “La peste nella storia” (Einaudi, 2012), William McNeill rileva alcune questioni, ancora di grande attualità, quando analizza la peste nera che infuriò in Europa dal 1347. I cristiani, a differenza dei pagani, si prendevano cura degli infermi, “si aiutavano tra loro in epoche di pestilenza” e in quel modo contenevano gli effetti della peste. La “saturazione di esseri umani”, la sovrappopolazione, è stata invece un fattore chiave nell'espansione della peste.


La povertà, una dieta poco variata e la non osservanza delle “superstizioni”, cioè dei costumi locali delle popolazioni, a causa dell’arrivo di nuovi abitanti, trasformarono le pestilenze in disastri. Fernand Braudel aggiunge che la peste, l”idra dalle mille teste”, costituisce una costante, un elemento strutturale della vita degli uomini (“La struttura del quotidiano”).
Quanto poco abbiamo imparato!

La peste nera ha distrutto la società feudale a causa dell’acuta scarsità di mano d’opera in seguito alla morte, avvenuta in pochi anni, della metà della popolazione europea, ma anche a causa della perdita di credibilità delle istituzioni. È soprattutto il timore di quella stessa perdita di credibilità che oggi spinge gli Stati a rinchiudere milioni di persone.

L’epidemia di coronavirus (ora dichiarata ufficialmente pandemia dalla OMS, ndr) in corso ha alcune particolarità. Provo a focalizzare lo sguardo su quelle sociali, anche perché non ho competenze su questioni scientifiche elementari.

L’epidemia attuale non avrebbe l’impatto che ha se non fosse per i tre lunghi decenni di neoliberismo che abbiamo alle spalle. Essi hanno causato danni ambientali, sanitari e sociali probabilmente irreparabili.

Le Nazioni Unite, attraverso l’Unep, riconoscono che l’epidemiaè riflesso della degradazione ambientale“. Il rapporto segnala che “le malattie trasmesse da animali a esseri umani stanno crescendo e peggiorano man mano che gli habitat selvaggi vengono distrutti dall'attività umana”, perché “gli agenti patogeni si diffondono più rapidamente verso le mandrie o le greggi e gli esseri umani“.

Per prevenire e limitare le zoonosi (le malattie infettive degli animali, ndt), bisogna fermare “le molteplici minacce agli ecosistemi e alla vita selvaggia, tra le quali (spiccano, ndt) la riduzione e la frammentazione di habitat, il commercio illegale, la contaminazione e la proliferazione di specie invasive e, in misura sempre maggiore, il cambiamento climatico“.
il mondo delle grandi imprese

All’inizio di marzo, le temperature in alcune regioni della Spagna hanno superato di 10 gradi i valori normali. L’evidenza scientifica mostra inoltre un vincolo tra “l’esplosione delle infermità virali e la deforestazione“.


La seconda questione che moltiplica le epidemie sono i forti tagli al sistema sanitario. In Italia, negli ultimi 10 anni, si sono persi 70 mila posti letto ospedalieri con 359 reparti chiusi, oltre ai numerosi piccoli ospedali che sono stati abbandonati. Tra il 2009 e il 2018 la spesa sanitaria è cresciuta del 10 per cento, contro il 37 della media dei paesi dell’Ocse. Oggi in Italia ci sono 3,2 letti per ogni mille abitanti mentre in Francia 6 e in Germania 8.

Tra gennaio e febbraio, già durante la piena espansione del coronavirus, il settore sanitario spagnolo ha perso 18.320 lavoratori. I sindacati delle categorie denunciano: “l’abuso della contrattazione temporanea (interinale, ndr) e della precarietà nell'occupazione”, mentre le condizioni di lavoro si fanno ogni giorno più dure.

Questa politica neoliberista è una delle cause per le quali l’Italia è stata costretta a mettere in quarantena tutto il paese e la Spagna potrebbe seguire lo stesso cammino.

La terza questione è l’epidemia di individualismo e disuguaglianza, coltivata dai grandi media che si dedicano a diffondere la paura, informando in maniera distorta. Per oltre un secolo abbiamo subito una potente offensiva del capitale e degli Stati contro gli spazi popolari di socializzazione, mentre vengono invece benedette le cattedrali del consumo, come quelle dello shopping.

mercoledì 28 agosto 2019

Messico - SupGaleano: Sonata per violino in sol minore: DENARO.

“… l’astuzia più perfetta del diavolo è persuaderci che egli non esiste!”
Charles Baudelaire in "Le joueur généreux".



I.- L’OTTAVO PASSEGGERO.

Da nessuna parte, e dappertutto. Un treno assonnato è cullato dal suo stesso rumore come le fuse di un gatto. Non viene né va da nessuna parte. O non importa. A bordo, una popolazione di grigi, viva di tante morti, si addormenta. Nell'ultimo vagone, 7 passeggeri solitari, dalle vite e dai vestiti miserabili, si annoiano e si disperano seduti ai loro posti.

Uno dice: "Darei qualsiasi cosa per cambiare la mia sorte". La frase è una specie di linguaggio universale e gli altri 6 annuiscono in silenzio. Il lungo treno malandato entra quindi in un tunnel, che uccide i grigi ed espande le ombre. La porta si apre ed entra un ottavo passeggero, con i vestiti che gridano "non sono di qui", e si siede senza dire una parola. Il tunnel estende l’oscurità.

Qualcosa simile a un tuono, un ramo secco rotto senza che una tempesta lo abbatta. Degli occhi fiammeggianti appaiono nel buio. Lo sguardo del fuoco parla: “Non penso di aver bisogno di presentarmi. Ognuno di voi mi ha invocato con o senza parole e alla vostra chiamata rispondo. La vostra anima in cambio di un desiderio. Fate voi il prezzo.
"

Uno sceglie la salute, sceglie di non ammalarsi mai. Satana risponde: "concesso
", raccoglie l’anima del sano e la mette in tasca.

Un altro opta per la saggezza, per sapere tutto. Il diavolo sussurra: "concesso", prende l’anima del saggio e la mette in tasca.

Il terzo sceglie la bellezza, sceglie di essere ammirato. Il re dell’inferno dice: "garantito". E l’anima del bello è ospitata nella bisaccia.

Il quarto preferisce il Potere, sceglie di comandare e di essere obbedito. 

Lucifero sospira: "concesso". E l’anima del capo si unisce alle altre nella sua giacca.

Il quinto segnala: "i piaceri", suscitare passione con la sola volontà. Il demonio sorride compiaciuto: "concesso". E l’anima dell’edonista si unisce alle altre nel cappotto scuro.

Il sesto si erge e sceglie la fama, essere riconosciuto e acclamato da tutti. Satana non fa alcun gesto quando dichiara: "concesso". E l’anima del famoso è un’altra tra le altre prigioniere.

Il settimo canta quasi quando dice «l’amore». Il Malevolo fa una risata mentre scrive "c-o-n-c-e-s-s-o" e l’anima dell’amante finisce in fondo al sacco.

L’angelo caduto guarda impazientemente l’ottavo passeggero che non dice nulla e scarabocchia su un quaderno.

Lucifero addolcisce la voce quando chiede: “E qual è il tuo desiderio? Qualunque esso sia ti sarà concesso solo in cambio della tua anima passeggera."

L’ottavo passeggero si alza ed emette un mormorio: "Io sono il Denaro, compro le 7 anime degli infelici che ti hanno creduto e compro anche te per servirmi ed obbedirmi
".

"il grande drago, l’antico serpente chiamato diavolo e Satana, che inganna il mondo intero" (Ap 12, 9), sorride furtivo e sancisce, prima di mettersi lui stesso nella borsa delle anime vendute:

“Così sia, signor Denaro. Ma la tua rovina è nella tua stessa essenza e la tua fortuna oggi, sarà la tua disgrazia domani”.

Il denaro prese la borsa, uscì dall'ultimo vagone e il treno dal tunnel.

Dietro di loro l’oscurità si espandeva per conquistare il giorno…



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II.- LA CRISI E LE RESPONSABILITÀ.

"Quando c’è una crisi, compra a buon mercato e aspetta che passi per rivendere a caro prezzo. Se non c’è crisi, provocala con una guerra. Per uscire dalla crisi, fai un’altra guerra. La guerra, come non ha detto Clausewitz, è l’autostrada per entrare e uscire dalle crisi con altri mezzi, compresi quelli nucleari."
Don Durito de La Lacandona. Scarafaggio e Dottore in Economia Selvatica.

giovedì 20 giugno 2019

Messico - Lettera contro la militarizzazione delle zone indigene dell’EZLN

Lettera contro la militarizzazione delle zone indigene dell’EZLN
A coloro che ancora vogliono ascoltare.
Questo è un messaggio di preoccupazione per la vita, per la dignità. Noi, firmatari di questa lettera siamo preoccupati per quello che sta accadendo, di nuovo, in quell’angolo dimenticato del sudest messicano che è diventato il cuore della speranza e della ribellione, il Chiapas.
Questo non è un manifesto ideologico né una presa di posizione di fronte ai cambiamenti politici in atto in Messico, è un messaggio di genuina preoccupazione per quello che si avverte che si sta avvicinando in quel ‘sotto’ che dopo 25 anni, di 500 anni, continua a resistere allo sterminio e all’oblio. Ci preoccupiamo per quelli che per un quarto di secolo hanno lottato per la loro autonomia, che hanno posto la dignità al di sopra del pragmatismo politico, che sono stati un esempio di libertà in un mondo incatenato dalla paura, ci preoccupiamo per gli Zapatisti.
Ci preoccupa sapere della crescente attività militare nei territori delle comunità Zapatiste. Vediamo che in mezzo alla complessa situazione di sicurezza che si vive in Messico, la strada verso la militarizzazione del paese sta prendendo sempre più forza. È un segnale di allarme che, anche attraverso la strategia della molto discussa Guardia Nazionale, questa sia come è successo tante volte una forza di “sicurezza” che non distingue tra crimine e resistenza, tra crudeltà e degna disobbedienza. È contraddittorio che proprio quando i dati dello stesso Governo del Messico indicano che la zona Zapatista è di quelle con il più basso indice di criminalità, la strategia di sicurezza sia rivolta in maniera minacciosa a quelle zone che sono uno dei pochi santuari di libertà e sicurezza per il Messico del basso. Questa più che una strategia di sicurezza sembra una strategia di guerra.
Benché noi firmatari siamo un insieme di persone diverse che guardiamo l’amministrazione di Andrés Manuel López Obrador con speranza o scetticismo, tutti siamo persone che sogniamo un Mondo diverso, migliore. Noi che ci uniamo in queste parole, crediamo che un cambiamento in Messico non può avvenire sotto l’ombra del pragmatismo politico, cedendo alle pressioni che portano all’autoritarismo, all’abuso ed alla violenza a beneficio dell’1%, né con la denigrazione delle voci critiche che con la loro autenticità e concretezza si sono guadagnate il rispetto del mondo.
Vediamo un processo crescente di ostilità verso resistenze autentiche, storiche e legittime che si oppongono a progetti come il Treno Maya, il Corridoio Trans-Istmico ed il Plan Integral Morelos, tra gli altri. Ci preoccupano i recenti omicidi di componenti del Congresso Nazionale Indigeno e del Consiglio Indigeno di Governo. Ci preoccupa la possibilità che questa nuova amministrazione, come i suoi predecessori, liberali o conservatori, di nuovo porti i popoli indigeni sull’orlo dello sterminio.
Il mondo sta guardando con gli occhi e con il cuore quello che sta accadendo in Messico e in Chiapas.
Stop alla guerra contro gli Zapatisti ed i Popoli Indigeni del Messico!
FIRMATARI INTERNAZIONALI

martedì 19 febbraio 2019

Messico - Le donne del mondo rispondo alle donne zapatiste

Alle nostre compagne zapatiste
Alle donne del mondo che combattono
Alle nonne, madri, sorelle, ragazze e bambine
A quelli che credono di avere il cuore di una donna

Quelle di noi che sottoscrivono queste parole sono donne provenienti dal Messico e dal mondo, convocate dalle zapatiste l’8 marzo 2018, al “Primo Incontro Internazionale, Politico, Artistico, Sportivo e Culturale delle Donne che Lottano”.

Teniamo presente che ognuna di noi è impegnata a combattere, ciascuna dai propri luoghi di origine o dai luoghi che ci abbracciano, dalle nostre diverse culture e occupazioni “in modo tale che mai più una donna nel mondo, a prescindere dal colore, qualunque esso sia, qualunque sia la sua origine, si senta sola o abbia paura”.

Siamo coinvolte nella luce che avete condiviso con noi nel nostro incontro, con la luce che voi siete per noi. Continuiamo a prenderci cura di quella piccola luce per essere, camminare e combattere insieme.

Questo è il motivo per cui oggi ci mostriamo per dirvi che non permetteremo ai malgoverni di spogliarvi dei vostri territori che danno radici, battiti e trasformazioni a ciò che sono e sognano. E denunceremo in modi diversi, in modo che le pratiche di resistenza dei popoli non siano usate per folklorizzare le culture ancestrali, per giustificare le iniziative di morte e malattia che sono il sistema capitalista patriarcale.

Vi diciamo che nella situazione di guerra che continuiamo a vivere come donne “abbiamo accettato di vivere, e per noi vivere è combattere, perché abbiamo accettato di combattere ciascuna secondo il suo modo, il suo luogo e il suo tempo”.

Ora è il momento di dire ai malgoverni, di ieri e di oggi e delle diverse parti del mondo, che: ripudiamo, dalle molteplici geografie a cui apparteniamo, le pratiche di concessione, estrazione e sfruttamento della nostra Madre Terra. Fracking, gasdotti, oleodotti, impianti idroelettrici, monocolture agroindustriali e le infrastrutture che servono per lo sviluppo turistico avvantaggiano i grandi progetti imprenditoriali al costo della distruzione delle popolazioni indigene e non indigene. 

Di fronte agli interessi di guadagnare sempre più denaro, lotteremo per la Vita delle persone e degli esseri viventi che abitano i territori.


Noi donne conosciamo il valore della vita ed è per questo che costruiamo per la vita. Vi diciamo che, sì, le donne possono, con il nostro cuore collettivo e che non sono sole le nostre compagne, amiche e sorelle zapatiste, proprio come non lo sono i loro figli, figlie, famiglie e popoli!

Tratto da Comune-info
Traduzione: Rebecca Rovoletto 

domenica 14 ottobre 2018

Crisi climatica - Ci restano 12 anni prima di cambiamenti irreversibili: usiamoli bene

Non ha mezzi termini l’ultima dichiarazione del Panel delle Nazioni unite sul riscaldamento globale, che si è riunito la scorsa settimana in Corea del Sud.

La cosiddetta "soglia di non ritorno", ovvero cambiamenti in tutto l’ecosistema totalmente irreversibili, non è di 2 gradi d’aumento della temperatura, come si diceva quando è stato firmato l’Accordo di Parigi, ma di 1,5 gradi.

In poche parole se non fermiamo ora l’aumento della temperatura nel 2040 non ci sarà più possibilità di tornare indietro.

Ma quali sono le proposte uscite dall'incontro in Corea?
Taglio delle emissioni e rimozione della CO2 dall’atmosfera.
Peccato che sotto la denominazione rimozione della CO2 ci sono tutte le pratiche contestate dai movimenti per la giustizia climatica tra cui la cattura ed il conseguente stoccaggio dell’anidride carbonica
Il Carbon storage fa parte delle false soluzioni proposte dalla geo-ingegneria, ovvero l’utilizzo di tecnologie invasive per l’ambiente, l’atmosfera e lo spazio, proposte come soluzioni al cambio climatico, che in realtà vanno ad aumentare i problemi e a devastare ulteriormente gli equilibri naturali. 

Il Carbon storage, peraltro ancora non sperimentato, consiste nell'immagazzinare sotto terra, sotto gli oceani (e perché non sulla luna o sugli asteroidi...!), il CO2 stoccato.

Non serve uno scienziato per capire che le soluzioni proposte, dal carbon storage al mercato dei crediti di carbonio, allo sbiancamento delle nuvole fino al creare lo scudo nello spazio per fermare i raggi del sole, sono peggiori dello stesso problema.

False soluzioni che peraltro vanno bene a tutti perché rappresentano una nuova frontiera di investimenti e non comportano un cambio radicale del sistema produttivo.

Il cosiddetto PLAN B (ovvero usare la geo-ingegneria al posto del PLAN A cioè il cambio di paradigma produttivo) piace all’America di Trump, che nega il riscaldamento globale, ed anche alla Cina, India ed altri paesi dei BRICS, sempre pronti a recriminare sul fatto che far scendere le emissioni devono essere per primi i paesi di vecchia industrializzazione.


Non ci sono scorciatoie per fermare il cambio climatico serve una sterzata poderosa che diminuisca le emissioni attraverso i cambiamenti nella produzione di energia, attraverso l’agricoltura di prossimità e non l’agro-business ed attraverso nuove forme di mobilità.

La cosa pericolosa, come denunciato da molte reti ed associazioni ambientaliste, è che utilizzando l’emergenza climatica invece di intraprendere una profonda strada di cambiamenti si preferisca il PLAN B: ovvero la geo-ingegneria. 

Di seguito vi proponiamo il manifesto elaborato contro la geo-ingegneria da numerose realtà, perché qui in Italia se ne parla davvero troppo poco ed invece sono scelte che riguardano tutti noi, soprattutto le generazioni future.

Stop immediato alla geo-ingegneria del clima.

Richiesto da 110 organizzazioni di società civile e movimenti popolari

Comunicato stampa collettivo di ETC Group, Rete ambientale indigena, Friends of the Earth International, La Via Campesina, Climate Justice Alliance e BiofuelWatch.


In un Manifesto sostenuto da un’ampia coalizione, pubblicato il 4 ottobre 2018, 23 organizzazioni internazionali, sei destinatari del "premio Nobel alternativo" e 87 organizzazioni nazionali di cinque continenti hanno chiesto di interrompere la sperimentazione e di abbandonare le scelte politiche relative all'utilizzo della geo-ingegneria per far fronte al cambio climatico. Tra i firmatari segnaliamo, tra gli altri, movimenti indigeni, contadini e reti per la giustizia climatica e la difesa dell’ambiente.

giovedì 26 aprile 2018

Le insurrezioni delle donne

Sono le donne che di fronte a spazi urbani sempre più esanimi e atomizzati stanno rinvigorendo la socialità delle città. Sono per lo più le donne a creare, nel Nord come nel Sud del mondo, un nuova economia urbana di sussistenza attraverso cucine popolari, orti e giardini comunitari, mercatini e assemblee di quartiere, arte di strada, tutte forme embrionali di autogoverno. Sono le donne che in risposta alla precarizzazione del lavoro e alla crisi dei salari si sono appropriate delle strade e le hanno fatte diventare commons. Tuttavia, secondo Silvia Federici, non si tratta soltanto di rendere più visibile cosa oggi le donne fanno per resistere e creare un mondo nuovo ma prima di tutto come lo fanno, a cominciare dai modi con cui trasformano l’arte di strada: «È opportuno pensare alla lotta che le donne e i movimenti popolari stanno facendo nei quartieri poveri in tutto il mondo come a una escuelita – scrive Silvia Federici – , dove gli artisti, gli attivisti, gli educatori possono imparare non solo a “de-professionalizzasi” ma a coltivare un diverso tipo di creatività rispetto a quella solitamente associata all’espressione artistica. Questa è la creatività che si genera quando modifichiamo i nostri rapporti con gli altri, scoprendo nel potere della cooperazione il coraggio di resistere alle forze che opprimono la nostra vita…»
Mondeggi bene comune

di Silvia Federici

Produrre il comune nella città*

Immagini di donne con le braccia estese a racchiudere case e piazze, o a stringere i propri corpi in reciproci abbracci, o a intrecciare fili intorno a se stesse e alle città, possono evocare una società matriarcale idealizzata. Ma questo mondo femminile e comunitario, alla cui rappresentazione il pittore messicano Rodolfo Morales ha dedicato la sua opera, è meno utopica di quanto si possa immaginare[1].

“Unidad perpetua”, 1987 (Rodolfo Morales)
Se è vero che la città è il nostro più coerente e riuscito tentativo di rimodellare lo spazio nella nostra immaginazione[2], allora il volto della città è oggi quello di una donna, perché sono le donne che di fronte a uno spazio urbano sempre più esanime e atomizzato stanno rinvigorendo la socialità urbana e la sua creatività.

Già nel 1999, riflettendo su come le città siano storicamente dipese dall’entroterra per la loro sopravvivenza, Maria Mies osservava che in tutto il Terzo mondo è cresciuta un’economia urbana di sussistenza praticata nei centri urbani e organizzata principalmente dalle donne. Essa garantisce non solo le necessità materiali della vita ma anche la coesione sociale[3]. Mies scriveva che se aggiungiamo alla produzione alimentare diretta tutte le altre varie forme di lavoro di sussistenza – la preparazione del cibo, gli scambi di alimenti, i servizi, l’aiutare gli altri, l’andare a prendere e portare l’acqua – è evidente che la sopravvivenza della maggioranza della persone in queste città dipende dal lavoro di sussistenza delle donne[4].

L’economia di sussistenza urbana descritta da Mies ha continuato a espandersi in questi anni, alimentata in gran parte dalle continue espulsioni dalla terra delle comunità rurali. Di fronte a una crisi economica permanente, nelle periferie delle mega-città sparse in tutta l’Africa, l’Asia e l’America Latina, in aree occupate con l’azione collettiva, le donne stanno creando una nuova economia politica, basata su forme cooperative di riproduzione sociale e, nel corso di questo processo, affermano il loro “diritto alla città”[5] creando nuove basi per resistere e per avanzare le proprie rivendicazioni. Grazie ai loro comedores populares, ai merenderos, ai giardini urbani e alle assemblee di quartiere (barriales), le periferie urbane che hanno portato Mike Davis a parlare di un “pianeta degli slum” si possono ri-immaginare come un pianeta di iniziative e strutture comunitarie, in cui emerge un “contro-potere” che consente ai residenti non solo di sopravvivere ma di sviluppare forme embrionali di autogoverno.

In base a queste esperienze, credo che al “punto zero della ri-produzione”[6], dove svanisce l’illusione che lo Stato e il capitale possano sostenere le nostre vite, la lotta per la sopravvivenza diventi una forza trasformatrice. Riecheggiando un argomento sostenuto dall’attivista e teorico uruguaiano Raúl Zibechi, esistono oggi migliaia di quartieri, ai margini del sistema statale, dove le donne assicurano la continuità della vita quotidiana. In essi si istituiscono nuove relazioni sociali, che procurano servizi essenziali e cambiano il modo in cui la riproduzione è organizzata – e sono le donne le protagoniste di questo processo[7].
Il più noto esempio di questa “rivoluzione silenziosa[8] è la diffusione dell’agricoltura urbana, un fenomeno globale emerso negli anni Settanta per iniziativa delle donne in Africa. Espulse dalle aree rurali e costrette a urbanizzarsi, esse hanno cominciato a coltivare terreni pubblici inutilizzati, trasformando il paesaggio delle città, e rendendo sempre più sfocata la divisione tra rurale e urbano. Con la diffusione dei giardini urbani è nata anche una microeconomia perché con le pannocchie di granturco e le zucchine coltivate le donne hanno creato nuove forme di micro-commercio, rivendendo i prodotti coltivati e preparando snack a basso costo per i lavoratori. Allo stesso tempo hanno così occupato le strade, affrontando la polizia che costantemente cercava di cacciarle e criminalizzare la loro attività di venditrici ambulanti.

Altrettanto importante è che le donne, per contrastare gli effetti dei programmi di austerità imposti alle loro comunità dalla liberalizzazione economica, a partire dalla metà degli anni Settanta, abbiano messo in comune molte attività riproduttive come fare la spesa, cucinare e seminare.

Un esempio particolare è il caso del Cile dopo il colpo di Stato militare del 1973, quando negli insediamenti proletari urbani paralizzati dalla paura e contemporaneamente sottoposti a un brutale programma di austerità, le donne si sono fatte avanti, e unendo le loro risorse e il loro lavoro hanno iniziato a fare la spesa insieme e poi a cucinare insieme, in gruppi di venti o più nei quartieri. Queste iniziative, nate per pura necessità, hanno tuttavia prodotto molto di più che il mero aumento delle risorse economiche. L’atto stesso di riunirsi e rifiutare l’isolamento a cui il regime di Pinochet costringeva la popolazione, ha cambiato la vita delle donne, dando loro maggiore fiducia in se stesse, e ha rotto la paralisi indotta dalla strategia governativa del terrore. Ha anche riattivato la circolazione di informazioni e conoscenze necessarie per sopravvivere e resistere, e ha trasformato il concetto stesso di cosa sia una buona madre e una buona moglie che, sempre di più, ha voluto dire uscire da casa e lottare[9]. Di conseguenza, il lavoro riproduttivo ha smesso di essere un’attività puramente domestica. Con le grandi pentole per cucinare è sceso in strada anche il lavoro domestico, che è entrato nello spazio pubblico acquistando una dimensione politica anche agli occhi delle autorità, che dopo qualche tempo hanno cominciato a vedere nell’organizzazione delle cucine popolari un’attività sovversiva e una minaccia per il potere.
Prinzessinnengärten, orto urbano di Berlino (Ph Vanessa Scarpa)
Simili lotte ci sono state anche in Perù, Venezuela, Argentina, Bolivia. Per quanto riguarda l’Argentina, Natalia Quiroga Díaz e Verónica Gago hanno scritto che durante la crisi economica del 2002, quando crollò l’economia ufficiale e si chiusero molte aziende e le banche, lasciando le persone senza la possibilità di recuperare i propri soldi, è emersa un’altra economia, organizzata principalmente dalle donne, che ha reso visibile quello che di solito è nascosto e considerato privo di valore economico. Nella misura in cui le donne hanno occupato le strade, portando pentole e tegami nei “picchetti” e nelle assemblee di quartiere, è emersa una nuova economia politica di sussistenza che non separava il momento della protesta dalla riproduzione della vita quotidiana e i cui ritmi e necessità hanno riformato lo spazio e il tempo della città[10].

Anche in Bolivia, di fronte all’impoverimento delle loro comunità, le donne hanno portato il lavoro riproduttivo fuori dalle case. Di conseguenza, come afferma Maria Galindo dell’organizzazione Mujeres Creando[11], l’isolamento tipico del lavoro domestico è stato spezzato e si è formata una cultura di resistenza. Galindo parla della lotta delle donne per la sopravvivenza come di una rottura con la sfera della casa e della famiglia. E sottolinea come l’immagine della donna chiusa in casa appartenga ormai al passato, perché in risposta alla precarizzazione del lavoro e alla crisi dei salari maschi le donne si sono appropriate delle strade e le hanno trasformate in mezzi di sussistenza, in veri e propri commons dove trascorrono la maggior parte del tempo, e dove i figli possono fare i compiti mentre aiutano le madri con il loro lavoro[12].

Il lavoro domestico a pagamento ha contribuito alla ridefinizione dello spazio urbano. Visto in un primo momento come luogo pericoloso, dove le lavoratrici domestiche, in gran parte emigranti, potevano essere fermate dalla polizia, esser trovate senza documenti e subire abusi, lo spazio pubblico è diventato un luogo di autonomia e di incontri, un luogo dove rompere l’isolamento del lavoro e guadagnare visibilità per le proprie rivendicazioni, e raggiungere un pubblico più ampio. Le lavoratrici filippine hanno aperto la strada, cercando spazi sociali – parchi, chiese, centri commerciali – in cui riunirsi nei giorni di riposo o di domenica. In alcune città (per esempio Hong Kong) sono scese in piazza con spettacoli pubblici settimanali, con canti e balli focalizzati sui problemi inerenti alla loro vita e alle loro esperienze lavorative. Avere una presenza sul territorio, occupare il territorio – la strada, il marciapiede, il parco – è una pratica che è stata dettata non solo dalla necessità di rompere l’isolamento, ma dalla realizzazione che per combattere le restrizioni poste dalle politiche sull’immigrazione è essenziale diventare visibili e far conoscere la propria storia. Secondo Priscilla Gonzalez, per molti anni coordinatrice di Domestic Workers United – una delle principali organizzazioni di lavoratrici domestiche negli Stati Uniti – questo si è rivelato una forma di lotta molto efficace[13]. Facendo conoscere le loro storie, le lavoratrici domestiche immigrate non solo hanno condiviso le loro esperienze, ma hanno anche sviluppato una maggiore consapevolezza della propria condizione come donne e una comprensione più ampia delle conseguenze della globalizzazione per le loro comunità.

L’arte è stata un elemento chiave nella lotta. L’arte abbellisce gli spazi urbani in cui le persone vivono e lavorano dando valore e dignità alla nostra vita. Mostra i successi della comunità, mantiene viva la memoria di coloro che sono morti o imprigionati. I murales, il teatro di strada, la produzione di manifesti, spillette, volantini, magliette illustrate, adesivi con immagini e slogan sono diventati una componente indispensabile non solo del discorso politico ma di una vita in cui ogni momento è una lotta. Di conseguenza, la stessa arte si è trasformata. Sulla spinta dei movimenti popolari, l’arte si è sempre più sviluppata nelle strade e, come in genere i movimenti sociali, si è femminilizzata.

Un esempio potente della rivoluzione che si è operata nell’arte di strada sono i graffiti dipinti sulle pareti di La Paz dalle componenti di Mujeres Creando, che ridefiniscono l’immaginario collettivo della città trasformando i suoi muri in un vasto tazebao, che critica le politiche del governo, sfida i codici morali consolidati, e mantiene in vita il senso di un’alternativa alla politica istituzionale[14].



In questo contesto, anche oggi è importante la presenza nei movimenti di artisti politicizzati, così come la collaborazione con attivisti ed educatori esterni, che possono, per esempio, fornire informazioni e approfondimenti sulle politiche governative che penalizzano la comunità. Ci sono tuttavia pericoli, in un contesto in cui la mercificazione di ogni aspetto della vita sta modificando anche le lotte sociali. Oggi si guarda anche alle lotte come a delle merci, con gli artisti in funzione di strumenti di gentrificazione. Ormai gli spazi in cui artisti ed educatori contribuiscono ai movimenti popolari sono costantemente minacciati da interessi commerciali, nonché dalle autorità e dalla polizia che temono qualsiasi forma di potere che viene dal basso.

È importante ribadire dunque che artisti ed educatori non sono attori neutri, né possono immaginare di essere i vettori di una particolare creatività e conoscenza relativa alle lotte. Come suggeriscono gli esempi indicati, le donne hanno dimostrato una grande capacità di autonomia e di auto-organizzazione. Hanno anche dimostrato che è dalla necessità che nasce l’invenzione di nuove attività e nuove relazioni. È quindi più opportuno pensare alla lotta che le donne e i movimenti popolari stanno facendo nei quartieri poveri in tutto il mondo come a una escuelita[15], dove gli artisti, gli attivisti, gli educatori possono imparare non solo a “de-professionalizzasi” ma a coltivare un diverso tipo di creatività rispetto a quella solitamente associata all’espressione artistica. Questa è la creatività che si genera quando modifichiamo i nostri rapporti con gli altri, scoprendo nel potere della cooperazione il coraggio di resistere alle forze che opprimono la nostra vita.


Articolo tratto da Reincantare il mondo. Femminismo e politica dei commons (ombre corte, con prefazione a cura di Anna Curcio), dove è apparso con il titolo “Produrre il comune nella città”.


Note
[1]*Commoning the City. From Survival to Resistance and Reclamation, in “The Journal of Design Strategies”, 9, 1, 2017.
Rodolfo Morales (8 maggio 1925 – 30 gennaio 2001) è un rinomato pittore messicano che ha rappresentato le donne come fondamento della vita sociale in Messico.
[2] Come ha scritto David Harvey citando il sociologo urbano Robert Park. Si veda David Harvey, Città ribelli. I movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street, il Saggiatore, Milano 2013, pp. 21-22.
[3] Maria Mies e Veronika Bennhold-Thomsen, The Subsistence Perspective. Beyond The Globalized Economy, Zed Books, Londra 1999, p. 125-126.
[4] Mies e Bennhold-Thomsen, The Subsistence Perspective, cit., p. 127.
[5] Si veda Harvey, Città ribelli, cit., pp. 21-45.
[6] Si veda Silvia Federici, Il punto zero della rivoluzione. Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista, ombre corte, Verona 2014.
[7] Raúl Zibechi, Territories in Resistance. A Cartography of Latin American Social Movements, AK Press, Oakland CA 2012, pp. 236-237, 241, 261; Raúl Zibechi, Descolonizar el pensamiento crítico y las praticás emancipatorias, Ediciones desde abajo, Bogotá 2015.
[8] Si veda Fantu Cheru, The silent revolution and the weapons of the weak. Transformation and innovation from below, in Louise Amoore (a cura di), The Global Resistance Reader, Routledge, New York 2005, pp. 74-85.
[9] Jo Fisher, “The Kitchen Never Stopped”. Women’s self-help groups in Chile’s shanty towns, in Jo Fisher, Out of the Shadow. Women, Resistance and Politics in South America, Latin American Bureau, Londra 1993, pp. 16 ss.
[10] Natalia Quiroga Díaz e Verónica Gago, Los comunes en femenino. Cuerpo y poder ante la expropriación de las economías para la vida, in “Economía y Sociedad”, 19, 45, 30 giugno 2014.
[11] Mujeres Creando, Mujeres Grafiteando, Compaz, La Paz 2009.
[12] Maria Galindo, No Se Puede Descolonizar Sin Despatriarcalizar, in www.mujerescreando.org, 2013, http://www.mujerescreando.org/pag/prensa/2013/libro-nosepuededescolonizar.htm.
[13] Silvia Federici e R.J. Maccani, Interview with Pricilla Gonzalez, in Camille Barbagallo e Silvia Federici (a cura di), “Care Work” and the Commons, Phoneme Books, Nuova Delhi 2012.
[14] Mujeres Creando, Mujeres Grafiteando, cit.
[15] Zibechi, Descolonizar el pensamiento crítico, cit., pp. 161-170.

venerdì 12 gennaio 2018

Cosa potremmo imparare dalle donne?

Un grande e straordinario movimento di donne si è imposto negli ultimi anni a scala planetaria e sta cambiando il mondo. Pone degli interrogativi anche al mondo dei maschi che guardano alla critica del potere espressa dal femminismo e rifiutano il patriarcato? Non si tratta, naturalmente, di adottare comportamenti politicamente corretti ma di mettersi in relazione, in modo semplice, concreto e con umiltà, affinché si possa contribuire al processo di emancipazione collettiva dei popoli. Raúl Zibechi propone tre punti di vista complementari: arginare la proliferazione dei grandi e piccoli cosiddetti “maschi alfa” e delle loro relazioni di dominio. Assumere finalmente in pieno la prospettiva della riproduzione, cioè della cura della vita, un punto cieco delle rivoluzioni del passato, impegnandosi in un forte esercizio di limitazione dell’ego, specialmente se si tratta di un ego rivoluzionario. Imparare dai movimenti femministi e delle donne come sia possibile sollevarsi senza necessariamente occupare il governo dello Stato – organizzandosi tra uguali – senza apparati gerarchici, avanguardie, comitati centrali. E, soprattutto, senza riprodurre gli stessi ruoli che si combattono
Manifestazione contro la violenza sulle donne a Quito, Ecuador. Foto tratta da https://video-images.vice.com

di Raúl Zibechi

Prendersi cura dell’ambiente o della Madre Terra, è cosa di donne, secondo un recente studio della rivista Scientific American pubblicato a fine dicembre, dove si sottolinea che “le donne hanno superato gli uomini nel campo dell’azione ambientale; in tutte le fasce di età e in tutti i paesi”.

L’articolo intitolato “Gli uomini resistono al comportamento verde in quanto poco maschile”, giunge a questa conclusione dopo aver realizzato un’ampia indagine tra duemila uomini e donne statunitensi e cinesi. Lo studio afferma che, per i maschi, comportamenti tanto elementari come quello di utilizzare borse di tela per fare la spesa invece che quelle di plastica, è considerato “poco maschile”.

Il lavoro è incentrato sul marketing, con l’obiettivo di conseguire un risultato per il quale i maschi si sentano virili anche comprando articoli “verdi”, e arriva a conclusioni penose come quella secondo cui “gli uomini che si sentono sicuri nella loro virilità si sentono più a loro agio comprando verde”.

Tuttavia, riesce a tracciare alcuni comportamenti che consentono di andare un po’ oltre, nel senso di comprendere come il patriarcato sia una delle principali cause del degrado ambientale del pianeta. Donald Trump non è un’eccezione, nel negare il cambiamento climatico e incoraggiare comportamenti distruttivi, dalle guerre al consumismo.

foto: http://www.sophiaonline.com.ar

Propongo tre punti di vista che possono essere complementari e che riguardano il mondo dei maschi, non affinché adottiamo comportamenti politicamente corretti (con la loro dose di cinismo e di ambiguità), bensì per contribuire al processo di emancipazione collettiva dei popoli.

Il primo è correlato al capitalismo di guerra o accumulazione per spoliazione/quarta guerra mondiale che attualmente subiamo. Questa virata del sistema, che nell’ultima decade ha avuto un’accelerazione, non solo provoca più guerre e violenze ma un profondo cambiamento culturale: la proliferazione dei “maschi alfa”, dai pezzi grossi dei grandi e potenti Stati, fino ai boriosi machos dei quartieri che pretendono di marcare il loro territorio e, ovviamente, i “loro” dominati e, soprattutto, le dominate.

Mostrare forza muscolare geopolitica consente di avere una posizione in questo periodo di decadenza dell’impero egemonico, che viene integrata dalla comparsa di un’infinità di piccoli maschi alfa nei territori dei settori popolari, dove i narcos e i paramilitari vogliono sostituire il prete, il commissario e il “padre di famiglia” nel controllo della vita quotidiana degli abajo (quelli che stanno sotto, ndt).

Il secondo punto di vista viene insinuato dallo studio citato, quando conclude che “le donne tendono a vivere uno stile di vita più ecologico” poiché “sprecano di meno, riciclano di più e lasciano un’impronta di carbonio più piccola”.

Questo è direttamente correlato con la riproduzione, che è il punto cieco delle rivoluzioni, impegnate in un produttivismo a oltranza per, presumibilmente, superare i paesi capitalisti. La produzione manifatturiera e l’operaio industriale sono stati elementi centrali nella costruzione del mondo nuovo, da Marx in poi. In parallelo, la riproduzione e il ruolo delle donne non sono mai stati considerati.

Non possiamo combattere il capitalismo né il patriarcato, né prenderci cura dell’ambiente o dei nostri figli e figlie, senza assumere la prospettiva della riproduzione che è, precisamente, la cura della vita. Capisco che la riproduzione possa essere anche una questione degli uomini, ma questo richiede una politica esplicita in questa direzione, come sottolineano le comandantas che convocano l’incontro delle donne nel caracol Morelia.

Come dice il comunicato di convocazione del Primo Incontro Internazionale, Politico, Artistico, Sportivo e Culturale delle Donne che Lottano, gli uomini zapatisti “si occuperanno della cucina e di pulire e di tutto il necessario”.

Foto: radiozapatista.org

Forse queste mansioni sono meno rivoluzionarie che stare in piedi su un palco “dando istruzioni sulla linea” (come diciamo nel sud)? Ci danno meno visibilità, ma sono i compiti oscuri che rendono possibili le grandi azioni. Per coinvolgerci nella riproduzione, noi maschi abbiamo bisogno di un forte esercizio per limitare il nostro ego, specialmente se si tratta di un ego rivoluzionario.

Il terzo è forse il più importante: cosa possiamo imparare noi, maschi eterosessuali e di sinistra, dai movimenti femministi e dalle donne?

La prima cosa sarebbe riconoscere che le donne, nelle ultime decadi, sono andate più avanti di noi. Quindi, essere un po’ più umili, ascoltare, chiedere, imparare a farci da parte, a stare in silenzio affinché altre voci possano essere ascoltate. Una delle questioni che possiamo imparare è come loro si siano sollevate senza avanguardie né apparati gerarchici, senza comitati centrali e senza la necessità di occupare il governo statale.

Come hanno fatto? Forse organizzandosi tra di loro, tra uguali. Lavorando sul patriarca interiore: il padre, il dirigente ben educato, il leader. Questo è molto interessante, perché le donne che lottano non stanno riproducendo gli stessi ruoli che combattono, poiché non si tratta di sostituire un oppressore uomo con un oppressore donna, né un oppressore di destra con un oppressore di sinistra. Per questo dico che sono andate molto avanti.

Una marcia delle donne indigene in Argentina. Foto Kaos en la red

La seconda questione che possiamo apprendere è che la politica, in grande, in scenari ben illuminati e mediatici, con programmi, strategie e discorsi magniloquenti, non è altro che la riproduzione del sistema dominante. Loro [le donne], hanno politicizzato la vita quotidiana, il preparare il cibo, la cucina, il prendersi cura di figli e figlie, le arti della tessitura e della guarigione, tra le tante altre. Credere che tutto questo sia poco importante, che esistano gerarchie tra l’una e l’altra dimensione, è come continuare a cercare maschi alfa che ci emancipino.

Sicuramente ci sono molte altre questioni che possiamo apprendere dai movimenti delle donne, che ignoro o che dobbiamo ancora scoprire. Quello che importa non è avere la risposta già pronta, bensì predisporci con semplicità e umiltà a imparare da questo meraviglioso movimento di donne che sta cambiando il mondo.


Pubblicato su La Jornada con il titolo Patriarcado, Madre Tierra y feminismos

Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!