martedì 23 giugno 2009

Contro l'impunità per la libertà e l'autonomia

Più di 350 delegati provenienti da oltre 13 paesi per due giorni hanno discusso nella sede della Giunta del Buongoverno di Morelia

Il resoconto dell'incontro del 20 e 21 giugno 2009 in terra zapatista


Alla presenza di 13 paesi del continente americano e un ventaglio di paesi osservatori provenienti dai cinque continenti, per un totale di più di 350 partecipanti, si è aperto sabato 20 di giugno il Primo Incontro Continentale contro l’Impunità. Dopo il saluto a cura della Junta del Buen Gobierno di Morelia, anfitriona dell’incontro, e del comitato organizzatore, hanno preso la parola, in modo alternato, un relatore messicano e uno proveniente dal continente americano.
Hugo Blanco, intellettuale peruviano, ha parlato degli indios amazzonici - giudicati primitivi e retrogradi dai paesi “civilizzati”, ma in realtà uniche popolazioni rimaste inconaminate dalla colonizzazione territoriale e culturale maya e successivamente spagnola - che lottano per la difesa dei loro territori contro le multinazionali appoggiate dal governo. La tematica ambientale sembra essere, in prospettiva, terreno di scontro tra le popolazioni indigene e i governi occidentali alla ricerca di nuove terre da svendere. Lo sfruttamento e la devastazione di queste ultima non solo causerebbe un danno ambientale irreparabile, ma andrebbe a cancellare la stessa esistenza delle popolazioni indigene. Il nemico comune è stato spesso identificato con il capitalismo che ha creato un sistema basato sulla persecuzione e ghettizzazione delle classi più deboli, quali quelle indigene, attraverso nuove forme di potere e di controllo (la lotta al terrorismo e il pericolo sicurezza). Dall’analisi della situazione di impunità imperante a tutte le latitudini è scaturita la proposta della creazione di un tribunale internazionale autonomo continentale, obbiettivo finale dell’incontro, avanzata nell’intervento dell’uruguagio Carlos Fazio e ripresa dai successivi relatori, il punto di ripartenza dovrebbe essere il riconoscimento della pluralità e delle diversità.
Barbara Zamora, avvocato messicano, ha sottolineato la necessità di una giustizia autonoma in quanto essa è un diritto fondamentale sancito dalla carta dei diritti dell’uomo e dalle Costituzioni Nazionali. Questa deve essere conseguita attraverso nuove forme di contrapposizione alla giustizia globale la quale, cancellando i diritti costituzionali in chiave anti terrorista, non corrisponde più al suo compito: cercare le prove di colpevolezza e punire chi ha compiuto crimini. Questa giustizia autonoma deve nascere da una rivoluzione che ricostituisca un nuovo immaginario e dei nuovi vincoli sociali, essa si fonda sulla legge naturale dell’istinto dell’autodifesa e del “farsi giustizia da sé”, da cui può scaturire una nuova forma di violenza nata dall’esigenza di preservare le proprie vite e i propri diritti.
Silvia Marcos ha analizzato le varie forme di violenza delle società patriarcali verso le donne, individuate come strumento di offesa nei confronti dei componenti delle loro comunità. Così stupro, prostituzione coatta, obbligo della dote e altre angherie subite dalle donne nel corso dei secoli sono stati strumenti della visione patriarcale della società. Da queste esperienze drammatiche si stanno costituendo in tutto il mondo delle ”Cortes de mujeres” con l’obbiettivo di ricercare nuove forme di giustizia che non siano basate sulla vendetta o sulla punizione, ma sulla presa di coscienza da parte della società, sul valore morale e sul ruolo di denuncia pubblica da cui deve scaturire un’”azione” verso il cambiamento.

Gli interventi di domenica 21 giugno sono stati caratterizzati dalle testimonianze di episodi di impunità nei vari territori nazionali in Amenrica Latina, e nelle comunità indigene del Messico (un rappresentante della Sociedad Civil Las Abejas di Acteal; la peruviana Gloria Cano; Edwin Paraison di Haiti; Beatriz Suárez della Asociación de Familiares de Detenidos Desaparecidos y Mártires por la Liberación Nacional in Bolivia; Julio Rosales de Comunicarte, Guatemala)
Uno degli interventi più incisivi ed emozionanti è stato quello dell’argentina Andrea Benítez, le cui parole hanno voluto far risuonare "la voz incómoda de los sobrevivientes". Alla fine dell’assemblea plenaria, a cui hanno seguito cinque “mesas de trabajo” tematiche, la pittrice cilena Beatriz Aurora ha concluso criticando parte della classe intellettuale, rea di condannare il passato ma di tacere sui crimini delle attuali dittature. Pertanto ha lanciato la proposta di dichiarare l’11 settembre (giorno del Golpe cileno del 1973) come “Giornata di lotta contro l’impunità”.
Ass. Ya Basta! Italia
San Cristobal de las Casas, Chiapas, Mexico. 22 giugno 2009
Entra nel sito dell'Incontro Continentale contro l'impunità.

Tornano in Grecia 50 curdi arrivati il 21 giugno al porto di Venezia

Due nuclei familiari hanno chiesto l'asilo politico

L’ennesima nave per la Grecia è partita dal porto di Venezia con a bordo decine di profughi. Stavolta ci sono tra loro tante donne e moltissimi bambini, circa trenta su cinquantanove.

Su questa rotta, ormai è chiaro, lavorano varie mafie alimentate dall’impossibilità di attraversare legalmente i confini e dalla paura dei respingimenti. Ai migranti non resta altra scelta che pagare migliaia e migliaia di euro (di solito racimolati nel corso di anni), quando possono, per affidarsi ai contrabbandieri ed evitare così di viaggiare dentro i cassoni coibentati dei tir con il rischio di morire soffocati, oppure legati sotto i camion, con i pericoli che, come racconta la terribile storia di Zaher Rezai, un simile viaggio comporta. Questa volta la composizione, il numero, le modalità di arrivo di questo gruppo di migranti, ha costretto la polizia di frontiera a rendere pubblico questo arrivo. Nove macchine con altrettanti nuclei familiari, infatti, avevano cercato la mattina del 21 giugno di sbarcare dal traghetto muniti di documenti falsi. Un viaggio preparato nei minimi dettagli dai passeurs. Un viaggio che si è interrotto al porto. Pubblichiamo il comunicato stampa dell’associazione Razzismo Stop di Venezia presente sul sito www.meltingpot.org, che in questi giorni ha seguito l’intera vicenda.
La nave della Minoans partita il pomeriggio del 22 giugno alle 17:00 da Venezia porta via con sé parte di una storia piena di ombre, che non si dipaneranno certo quando attraccherà sulle banchine del porto di Igoumenitsa. 50 dei 59 profughi curdi arrivati la mattina precedente al porto, tra i quali la maggior parte erano donne e bambini sotto i dieci anni sono infatti stati reimbarcati su questo mezzo diretto verso la Grecia. Il numero di questi migranti e la loro composizione aveva impedito alla polizia di frontiera di procedere con i rimpatri informali che quasi sempre mette in atto in violazione di moltissime norme interne e internazionali. Nel pomeriggio del 21, inoltre, un presidio di associazioni, la comunità curda di Venezia, i centri sociali, avevano attirato l’attenzione sulla questione, preoccupati che anche stavolta tutti i migranti fossero respinti verso la Repubblica ellenica. Solo a tarda sera, dopo molte ore di attesa, l’assessore Luana Zanella è riuscita a entrare al porto insieme ad alcuni rappresentanti della comunità curda per accertarsi della situazione in cui versavano le persone. Da quel momento in poi si sono susseguite numerose informazioni confuse, la più accreditata delle quali diceva che tutti i 59 sarebbero stati portati in questura per ricevere un foglio di via ed essere lasciati a piede libero sul territorio con l’obbligo di abbandonarlo entro alcuni giorni. La mattina del 22, invece, sono state avviate, da parte del Cir, che agisce sempre e solo su chiamata della polizia di frontiera, pratiche di accertamento rispetto alla volontà di questi profughi di chiedere asilo politico. Due famiglie hanno inoltrato l’istanza, le altre hanno continuato a dichiarare di volere raggiungere la Germania dove avevano i loro congiunti. Alla fine, chi non ha chiesto asilo è stato reimbarcato con una procedura dubbia, che non si capisce bene a quale testo di legge faccia riferimento. Certamente, vista l’attenzione mediatica, questi migranti sono stati più fortunati di altri, e questa volta un minimo di procedure sono state rispettate. Questa, si potrebbe dire, è una sorta di eccezione che conferma la regola. Resta il fatto che le famiglie curde e i loro bambini sono ritornati nell’inferno della Grecia, da cui ogni giorni partono voli carichi di deportati diretti verso la Turchia. Per questo motivo rimane una forte preoccupazione per la sorte di queste persone che, questo è sicuro, cercheranno se possibile di ritentare la sorte affidandosi nuovamente alla mafie che li avevano fatti arrivare fino a Venezia. Il sistema dell’asilo in Europa e le leggi italiane, nei fatti, continuano ad alimentare la clandestinità e soprattutto le tasche dei contabbandieri di persone, rimasti l’unico mezzo possibile per cercare di attraversare i confini in cerca della vita che si vorrebbe poter scegliere. Queste preoccupazioni hanno espresso oggi centri sociali e associazioni che, insieme al Consigliere comunale Beppe Caccia, hanno fatto ingresso in porto per sincerarsi delle condizioni di questo respingimento e delle famiglie che invece sono rimaste in Italia.
L’articolo 19 della Carta dei diritti umani dell’Unione europea, siglata a Nizza nel 2000, recita: "nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani e degradanti". La Grecia non è uno Stato terzo sicuro, almeno nei fatti e nelle esperienze di chi lo attraversa e di chi vi viene respinto. Di queste 59 persone almeno si è conosciuta la storia. Di tutte le altre respinte quasi ogni giorno, invece, non si saprà ai nulla, a meno che non muoiano. L’estate è appena iniziata. è indispensabile, come le associazioni veneziane della rete tuttiidirittiumanipe-rtutti chiedono a gran voce, che dentro il porto, a tutela dei diritti dei richiedenti asilo e dei migranti, operino anche osservatori terzi e indipendenti, membri delle associazioni e del Comune che possano monitorare, con costanza e non una tantum, quel che avviene in questa zona di frontiera quando le telecamere si spengono.
Razzismo Stop

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!