giovedì 9 luglio 2009

Guerra contro Gaza: uccisi 164 studenti e 12 insegnanti palestinesi.



Un reportage sui diritti umani, elaborato dal Centro statistiche di Ramallah, ha accusato le autorità di occupazione israeliane di aver violato la libertà accademica e il diritto all’istruzione nei territori palestinesi. Il report, che copre i primi sei mesi del 2009, dichiara testualmente: “Le forze di occupazione israeliane, durante l’ultima guerra contro la Striscia di Gaza, hanno ucciso 164 studenti palestinesi e ferito altri 454, e hanno inoltre ucciso 12 insegnanti e ferito altri 5”.
La relazione ha anche stimato i danni materiali causati sia alle scuole pubbliche, per un ammontare di circa 12 milioni di dollari, che alle private, circa 2,5 milioni, mentre per le università e i college universitari vengono calcolati ben 23 milioni di perdite. A questo va poi aggiunto l’impatto negativo che ha sul corretto funzionamento dell’istruzione l’“assedio alla Striscia di Gaza, oltre alla politica di punizione collettiva e alle barriere in Cisgiordania”. Nel report si raccomanda quindi la collaborazione con le organizzazioni internazionali, i sindacati degli insegnanti e degli accademici e i comitati di solidarietà internazionale “per esercitare pressioni su Israele e costringerla a rispettare i diritti all’istruzione e alla libertà accademica nei Territori Palestinesi occupati, escludendo le università palestinesi da qualsiasi divergenza politica o questione interna, (…) rispettando l'inviolabilità delle proprietà delle università, delle istituzioni educative e di tutti i membri della comunità accademica, abbandonando l’usanza della detenzione politica e delle minacce contro gli studenti e i lavoratori degli atenei (…) e liberando immediatamente tutti i prigionieri dell’ambiente accademico, arrestati a causa della loro appartenenza politica”.

tratto da Infopal

L'odio etnico esplode nel Xinjiang


di Angela Pascucci

Non si placa la tensione a Urumqi, la capitale del Xinjiang, dove è stato imposto il coprifuoco dalle 21 alle 8 del mattino. Nonostante l’enorme dispiegamento militare cinese la città ha assistito ieri a una nuova esplosione di odio etnico. Gruppi di cinesi han armati di bastoni, machete, sbarre di ferro, armi fatte in casa, hanno percorso i quartieri della città in una rabbiosa caccia all’uiguro. La polizia è intervenuta lanciando lacrimogeni per fermare una battaglia fra gruppi rivali o per disperdere la folla che devastava l’area uigura dove si concentrano i bazar. Ma talvolta, come riporta l’agenzia Reuters, le truppe anti sommossa cinesi sono rimaste a guardare mentre la folla sfogava la rabbia lanciando sassi contro una moschea o spaccava le vetrine di negozi e ristoranti uiguri. L’agenzia Afp ha raccolto l’urlo di un uomo che, impugnando una sbarra di ferro, urlava «gli uiguri sono venuti nel nostro quartiere a spaccare le nostre cose, ora andiamo noi da loro a picchiarli!».Il risultato di questa nuova ondata di violenza è che la maggior parte della popolazione uigura è sparita dalle strade di Urumqi. Chiuse anche le scuole. A segnalare la preoccupazione della autorità per un incendio che non si spegne, lo stesso capo del Partito comunista della capitale, Li Zhi, è sceso nelle strade a bordo di un auto della polizia per lanciare da un altoparlante inviti a calmare gli animi e tornarsene tutti a casa. Ma, come riporta il New York Times, il suo discorso ha rischiato di infiammare ulteriormente gli animi uiguri, soprattutto quando gridava «Abbattete Rebiya», con riferimento a Rebiya Kadeer, la donna d’affari uigura residente negli Stati uniti presidente del Congresso mondiale uiguro, accusata da Pechino di essere la mente della rivolta. Poche ore prima che la spedizione punitiva degli han cinesi si manifestasse, un centinaio di donne uigure erano scese anch’esse nelle strade, in coincidenza con una «visita guidata» concessa dalla utorità ad alcuni giornalisti di media internazionali e cinesi. Sventolando le carte di identità di mariti e congiunti ne chiedevano la liberazione, affermando che erano stati arrestati senza ragione, gente comune rimasta vittima di retate indiscriminate.Le violenze etniche più gravi che si ricordino dall’inizio della Repubblica popolare cinese (di cui ricorre proprio quest’anno il 60esimo anniversario) presentano in effetti già ora, senza che si conoscano ancora gli effetti della nuova ondata di violenza avvenuta ieri, un bilancio impressionante, a cominciare dal numero enorme dei morti, 156, e quello dei feriti, oltre mille, dei quali ancora non si conosce neppure l’appartenenza etnica, elemento che forse getterebbe una qualche luce sull’avvio della dinamica di scontro, rimasta oscura . Gli arresti, secondo quanto riportato dall’agenzia ufficiale cinese Xinhua, sarebbero 1453, ma anche questa cifra si riferisce a lunedì scorso. Una gravissima denuncia viene dal segretario generale del Congresso mondiale degli uiguri, Dolkun Isa, che in un’intervista a Radio3 Mondo, in onda oggi alle 11,15, ha dichiarato che ieri mattina i militari cinesi avrebbero compiuto un massacro uccidendo 150 operai della fabbrica di trattori Shin Jung, a Urumqi, e che il bilancio della repressione contro gli uiguri è molto più pesante di quanto emerso dalla stampa internazionale. Secondo le fonti uigure le morti sarebbero oltre 800. Ma una verifica indipendente resta impossibile. E forse, come già avvenuto per la rivolta tibetana dell’aprile 2008, un vero bilancio delle vittime di questi giorni di sangue nel Xinjiang non si saprà mai. Ma quel che accade nella Regione autonoma dell’occidente cinese rivela uno scenario di tensioni che è ben lontano dalla visione «armoniosa» della società a cui la leadership cinese dichiara di aspirare, e che la repressione sempre più dura renderà ancora più lontana. Anche nel Xinjiang, come in Tibet, sono stati profusi ingenti investimenti: negli ultimi sei anni, la regione è cresciuta ad uno strepitoso tasso dell’11% per l’anno, persino superiore alla media nazionale. Ma anche qui, come in Tibet, la ricchezza prodotta si concentra solo in poche tasche, preferibilmente han, e la questione economica esaspera la spoliazione e il degrado culturale, chiudendo ciascuno nella propria etnia.Una situazione che ha un corrispettivo emblematico nel luogo da dove è partita la prima scintilla, la fabbrica di giocattoli del Guangdong dove una concentrazione di operai uiguri ha esasperato gli animi di operai han, evidentemente già aizzati dalla crisi che sta mordendo la fabbrica del mondo. La denuncia di stupro di due donne han lanciata contro gli uiguri, che ha provocato i primi gravi scontri il 26 giugno, si rivelerà probabilmente priva di fondamento; 15 persone, all’origine di quell’episodio, sono state arrestate ieri.

Tratto da:
Il Manifesto

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!