Le testimonianza dirette dei profughi dal campo di Patrasso
La voce di Yasser sembra venire da un altro pianeta: “aiutateci, abbiamo bisogno di qualcuno che lotti per i nostri diritti”. Haji, il referente della comunità afghana nel campo-slum di Patrasso ci racconta della rivolta di lunedì scorso. Da due giorni, ormai, le migliaia di afghani di cui abbiamo raccontato alcune delle storie sono asserragliati dentro il campo. La polizia si tiene a distanza ma è ovunque. Loro hanno paura ad uscire, sono terrorizzati dagli uomini in divisa ma anche dalla popolazione greca che lo scorso due marzo si è unita ai poliziotti nella carica, completa di gas lacrimogeni, che dopo molte ore di guerriglia ha disperso la manifestazione spontanea di questi profughi privati di ogni diritto. Erano al porto, come ogni giorno nel tardo pomeriggio, cercando di imbarcarsi su una nave diretta in Italia, nella speranza di ottenere una protezione internazionale che in Grecia, contro ogni legge nazionale e comunitaria, viene del tutto negata. Anche se ai porti dell’Adriatico respingono quasi indiscriminatamente, non hanno altra scelta che continuare a provarci. È l’unico modo per uscire dal limbo, rischiare la propria vita per ritrovare una qualche forma di dignità di esseri umani. Quel pomeriggio, uno di loro era quasi riuscito a nascondersi dentro uno dei tir in partenza, ma qualcosa è andato storto ed è caduto. I testimoni raccontano che il mezzo pesante che era alle sue spalle invece di fermarsi ha accelerato. I suoi compagni lo hanno creduto morto, vedendolo riverso nel suo sangue e privo di sensi. La rabbia è esplosa e hanno iniziato a lanciare pietre contro il tir. Poi, in un attimo, è successo tutto. Sono arrivate le associazioni di solidarietà con i migranti di Patrasso, ma anche i gruppi organizzati che da sempre sono contro di loro. Gli scontri sono cessati solo a notte inoltrata. La Grecia, membro dell’Unione europea, viola tutti i giorni i diritti di questa gente. A settembre 2008 è stata addirittura formalmente sospesa la ricezione delle istanze di asilo. Eppure, ciascuno di questi giovanissimi ragazzi, molti sono minorenni e alcuni sono bambini, ha alle spalle una storia da inferno. Una storia, anzi, composta da tanti inferni. Le bombe e l’arruolamento forzato in Afghanistan, le violenze della polizia iraniana, la prigione turca, i centri di detenzione in Grecia, i respingimenti di massa dall’Italia. Il ragazzo investito adesso è in ospedale e dicono sia in coma. Nessuno, dei suoi compagni, però, ha potuto verificare di persona il fatto che sia ancora in vita. Venticinque tra gli afghani che si trovavano al porto quel 2 marzo sono stati arrestati e di loro non si ha più alcuna notizia.
La voce di Yasser sembra venire da un altro pianeta: “aiutateci, abbiamo bisogno di qualcuno che lotti per i nostri diritti”. Haji, il referente della comunità afghana nel campo-slum di Patrasso ci racconta della rivolta di lunedì scorso. Da due giorni, ormai, le migliaia di afghani di cui abbiamo raccontato alcune delle storie sono asserragliati dentro il campo. La polizia si tiene a distanza ma è ovunque. Loro hanno paura ad uscire, sono terrorizzati dagli uomini in divisa ma anche dalla popolazione greca che lo scorso due marzo si è unita ai poliziotti nella carica, completa di gas lacrimogeni, che dopo molte ore di guerriglia ha disperso la manifestazione spontanea di questi profughi privati di ogni diritto. Erano al porto, come ogni giorno nel tardo pomeriggio, cercando di imbarcarsi su una nave diretta in Italia, nella speranza di ottenere una protezione internazionale che in Grecia, contro ogni legge nazionale e comunitaria, viene del tutto negata. Anche se ai porti dell’Adriatico respingono quasi indiscriminatamente, non hanno altra scelta che continuare a provarci. È l’unico modo per uscire dal limbo, rischiare la propria vita per ritrovare una qualche forma di dignità di esseri umani. Quel pomeriggio, uno di loro era quasi riuscito a nascondersi dentro uno dei tir in partenza, ma qualcosa è andato storto ed è caduto. I testimoni raccontano che il mezzo pesante che era alle sue spalle invece di fermarsi ha accelerato. I suoi compagni lo hanno creduto morto, vedendolo riverso nel suo sangue e privo di sensi. La rabbia è esplosa e hanno iniziato a lanciare pietre contro il tir. Poi, in un attimo, è successo tutto. Sono arrivate le associazioni di solidarietà con i migranti di Patrasso, ma anche i gruppi organizzati che da sempre sono contro di loro. Gli scontri sono cessati solo a notte inoltrata. La Grecia, membro dell’Unione europea, viola tutti i giorni i diritti di questa gente. A settembre 2008 è stata addirittura formalmente sospesa la ricezione delle istanze di asilo. Eppure, ciascuno di questi giovanissimi ragazzi, molti sono minorenni e alcuni sono bambini, ha alle spalle una storia da inferno. Una storia, anzi, composta da tanti inferni. Le bombe e l’arruolamento forzato in Afghanistan, le violenze della polizia iraniana, la prigione turca, i centri di detenzione in Grecia, i respingimenti di massa dall’Italia. Il ragazzo investito adesso è in ospedale e dicono sia in coma. Nessuno, dei suoi compagni, però, ha potuto verificare di persona il fatto che sia ancora in vita. Venticinque tra gli afghani che si trovavano al porto quel 2 marzo sono stati arrestati e di loro non si ha più alcuna notizia.
Trascrizione dell’intervista a Yasser
Il mio nome è Yasser.
Ciao Yasser, ti ricordi di me? Ero a Patrasso qualche settimana fa...
Sì certo, mi ricordo...
Vorremmo che tu ci raccontassi che cosa è successo negli ultimi due giorni.
Potresti dirmi qualcosa su quello che è successo al Porto di Patrasso ma anche su che cosa sta succedendo adesso? Dove sei adesso?
Adesso io sono nel campo.
Cosa mi dici del campo in questo momento? Siete circondati?
C’è la polizia non è molto vicina ma è qui intorno. Il campo è circondato dalla polizia.
E loro non vi lasciano andare fuori?
E’ difficile per noi andare fuori.
Perché si stanno comportando in questo modo?
Non lo so ma penso che sia per l’incidente di qualche giorno fa. Da quando c’è stato l’incidente la polizia ha circondato il campo e noi abbiamo paura ad andare fuori perché la polizia è qui.
Puoi raccontarci qualcosa di più su quello che è successo due giorni fa al porto?
Sì, questo ragazzo stava cercando di salire sopra un camion, nascondersi, è arrivato un altro camion e lo ha investito. Sanguinava dalla sua bocca ed è stato colpito anche molto forte sulla testa. Dopo qualche minuto noi pensavamo che questo ragazzo fosse morto, in realtà poi è stato portato in ospedale e il dottore adesso dice che non è morto, però è in coma. Nessuno di noi però lo ha più visto, non siamo sicuri di quello che gli sta succedendo.
Ma perché voi vi siete arrabbiati così tanto in quel momento al porto?
Perché anche noi siamo essere umani, anche noi abbiamo dei diritti umani. Nessuno deve ucciderci in questa maniera e poi non è la prima volta. L’anno scorso un altro autista ha ucciso un altro ragazzo al porto. Ogni giorno la polizia al porto ci picchia e lo fa anche per strada, ma noi siamo esseri umani, abbiamo bisogno dei diritti umani.
Quindi è la normalità, la polizia si comporta così normalmente? E’ sempre violenta con voi?
Sì lo è. Ma adesso c’è anche il problema della comunità greca perché anche dei cittadini greci sono venuti l’altra notte al porto con la polizia per attaccarci.
Perché succede questo?
Io non lo so perché succede, non so perché sono arrabbiati con noi. Non facciamo nulla di male, non gli abbiamo fatto niente, semplicemente la sera proviamo ad entrare in porto. Eppure moltissime persone greche sono venute con la polizia quella notte per attaccarci mentre la polizia ci tirava addosso i gas lacrimogeni. Non erano una o due persone. Erano molte.
Potresti spiegare perché ogni notte voi cercate di raggiungere l’Italia passando per il porto di Patrasso? Qual’è il problema in Grecia per voi?
In Grecia per noi è una situazione difficilissima perché non è possibile ottenere l’asilo, non possiamo nemmeno avere un lavoro. Non possiamo fare niente e allora cerchiamo di venire in Italia per chiedere l’asilo, per trovare un posto dove stare.
Tu hai provato a chiedere asilo in Grecia?
Non io ma altre persone qui ci hanno provato, ma se chiedi asilo qui ti dicono solo che sei un bugiardo.
Cosa cambia se chiedi asilo?
L’avvocato ci ha spiegato che l’asilo lo danno meno dell’1% delle volte. La realtà è che qui è impossibile ottenere l’asilo politico.
Il primo giorno che sei arrivato in Grecia ti hanno rinchiuso dentro un centro di detenzione o no?
No io sono venuto direttamente a Patrasso, già lo sapevo che dovevo provare ad andare avanti nel mio viaggio.
Quindi ogni notte voi andate al porto e provate a nascondervi sopra i tir che partono per l’Italia?
Sì, tutte le notti.
Ma adesso dopo l’incidente che cosa credete che succederà a Patrasso?
Ancora non lo sappiamo. La polizia è qui e ci circonda ma nessuno di noi sa esattamente che cosa sta per succedere. Abbiamo paura per la nostra vita. E’ da due giorni che siamo asserragliati dentro il campo senza uscire.
Avete paura della polizia ma anche dei cittadini greci ormai?
Ognuno di noi sta ritardando l’uscita dal campo perché non sappiamo cosa può succedere. Adesso abbiamo paura anche semplicemente di andare per strada adesso.
Quanti anni hai tu?
Io ho 19 anni.
Qual’è l’età media nel campo?
Quasi tutti hanno meno di 20 anni.
Quanti siete adesso nel campo?
Più di mille.
Che cosa puoi dirci della vita nel campo?
La vita qui è pessima. Noi viviamo all’inferno.
C’è qualcosa che vorresti chiedere al governo greco e a quello italiano?
Al governo greco io non chiederei niente perché so che non ci aiuterà mai. Al governo italiano invece chiederei di aprirci le porte perché qui la vita è come in guerra. Gli direi che noi siamo rifugiati, non siamo venuti qui per fare del male a qualcuno, siamo venuti qui soltanto per vivere, per avere una vita migliore, per sopravvivere. Gli direi, per favore aprite le porte. Lo sapete come viviamo. In questi ultimi tempi molti giornalisti sono venuti qui e vi hanno raccontato che cosa succede a Patrasso. Non possiamo più vivere in questa maniera.
Hai voglia di raccontarci un po’ della tua vita? Di spiegarci perché sei un rifugiato?
Io sono un rifugiato perché nel mio paese c’è la guerra, ma nella mia situazione personale non è soltanto questo il problema. Io ho anche una storia personale diversa perché un giorno quando io sono tornato a casa ho trovato mia padre che aveva ucciso mia madre. A quel punto io ho ucciso mio padre. Tutta la mia famiglia è contro di me, non avevo altra scelta che scappare via.
Dentro il campo tutti voi avete delle storie personali così difficili?
Sì, tutti noi abbiamo storie così.
Ma tu hai provato a raccontare a qualcuno la tua storia lì in Grecia?
No, non ci provo nemmeno, soltanto due miei amici conoscono questa storia, non l’ho detto a nessuno.
Tu pensi che questa sera proverete di nuovo ad andare dentro al porto?
Io non andrò e come me anche molti altri qui al campo. C’è molta paura in giro. Se adesso la polizia ci arresta dopo l’incidente, chissà cosa ci farà...
Ma di solito cosa succede quando la polizia vi arresta al porto?
Ci portano al commissariato e ci lasciano lì 24 ore senza acqua né cibo.
Ma vi picchiano?
E’ normale che ci picchino, loro ci picchiano prima, loro urlano contro di noi, ci insultano, abusano di noi.
Grazie mille Yasser, ti promettiamo di far ascoltare le tue parole. Siamo con voi nella vostra battaglia per i vostri diritti.
Grazie, noi abbiamo bisogno di qualcuno che combatta per i nostri diritti, abbiamo bisogno di aiuto.
L’ultima domanda: voi state organizzando delle manifestazioni per i prossimi giorni?
Sì so che se ne stanno organizzando alcune ma non so ancora precisamente cosa faremo.
Ci sono organizzazioni greche che vi danno solidarietà?
Sì, sono venuti e ci hanno chiesto di fare una manifestazione con loro. Io non sono sicuro se la faremo, ma forse sarà la settimana prossima. Ci sono dei gruppi, non è che ci aiutino moltissimo, speriamo.
Tu pensi che sia importante fare una manifestazione in questo momento?
Sì io penso di sì, non so cosa pensino gli altri 1.000, ma io penso di sì.
Ma durante i disordini dell’altro giorno, tu c’eri?
Sono arrivato dopo 5 minuti e quando ci hanno lanciato i lacrimogeni c’ero. Hanno arrestato 25 persone del campo e noi adesso non sappiamo dove siano, nessuno sa più nulla di loro.
Ci sono anche dei minorenni?
Sì sicuramente ci saranno anche dei minorenni.
Trascrizione dell’intervista a Haji
Erano le 4 del pomeriggio quando un ragazzo che si chiama San e ha 17 anni ha provato a uscire dal porto salendo dietro a un camion. Ma è arrivato un altro camion ed è rimasto schiacciato fra i due mezzi. A questo punto i ragazzi che erano lì vicino se la sono presa con questi camionisti e sono iniziati gli scontri. I ragazzi hanno lanciato sassi sui vetri del camion e poi anche qualche greco si è messo a litigare con i ragazzi che protestavano e gli scontri si sono allargati ed è intervenuta la polizia coi gas. Quando ho visto questa situazione sono andato dai ragazzi con un mio amico greco e abbiamo promesso loro che noi saremmo andati a vedere come stava San che era stato ricoverato in ospedale. Siamo andati in 4 all’ospedale e abbiamo scoperto che il ragazzo era in coma e i medici volevano operarlo: non è stato quindi possibile vederlo. Sono passati quasi tre giorni e non sappiamo niente, nemmeno suo fratello ha potuto vederlo, i dottori dicono ancora che sia in coma e che devono operarlo perché ha ferite alla testa e alle braccia. Per quasi dodici ore è stata come una guerra contro i migranti da parte della polizia. In questa situazione un gruppo di fascisti ha provato ad incendiare il campo e tutta la gente dentro ha dovuto uscire perché la situazione era molto pericolosa.
Questa intervista è stata fatta da Basir ad Haji nel campo di Patrasso
Vedi anche:
Porto di Patrasso - Rivolta degli immigrati dopo il ferimento di un giovane afghano. Intervista a Marianne, Ass.ne Kinisi (03.03.09)
Report dalla manifestazione del 20 dicembre al porto di Venezia
Come muore un bambino a Venezia. Ragazzino afghano di 11 anni morto per eludere i controlli delle polizia di frontiera (11.12.09)