martedì 17 agosto 2010

Verso Cancun - Cambiamo il sistema non il clima!

C'è una storia grande e antica come il mondo che vogliamo vivere, tessere, intrecciare con tutta la vita che attraversa la Madre Terra.
È una storia viva, che re-inizia tutti i giorni dal fatto che viviamo in un Mondo, sogniamo un Mondo, siamo un Mondo fatto di miliardi di vite che si intrecciano, che scorrono, che sono vive tutte insieme.
Una storia di idee e di entusiasmi, che si incontrano e si moltiplicano.
Una storia che non vuole produrre ma generare, non vuole consumare o usufruire ma godere, condividere, restituendo e re-istituendo “il comune”.
È una storia che non ha fine e non ha un fine che non sia la vita stessa.


A guardar bene è la storia della Pachamama, della Madre Terra, così come l'ha raccontata il 22 aprile 2010 la Conferenza Mondiale dei Popoli per la Giustizia Climatica e i Diritti della Madre Terra e gli incontri della Mesa18 a Cochabamba in Bolivia.
Migliaia di uomini e donne si sono ritrovati per affermare che il tempo della giustizia climatica è ora ed adesso.
L'”Accordo dei Popoli” lì elaborato racconta del diritto alla vita rigenerante, integra, originaria, desiderante, potente.
Del diritto al rispetto dell'integrità, della differenza, dell'autonomia delle (inter)relazioni.
Del diritto all'acqua come elemento primario della vita, all'aria pura, al benessere e al buon vivere, liberi da sostanze e attività contaminanti, alteranti, modificanti.
Del diritto alla vita libera, non sottomessa al profitto e alla produzione in ogni singola molecola, in ogni singolo slancio.
Una storia che racconta di un pianeta che è vivo tutto insieme, nella complessità che governa l'equilibrio che garantisce ogni forma di vita. Un pianeta sul quale l'uomo si comporta come un virus o un tumore, continuando ad accrescere senza limiti lo sfruttamento delle risorse, finendo per distruggere ogni cosa e anche sé stesso.
Il cambiamento climatico è già in atto.
L'aumento della temperature di due gradi che i potenti di Copenhagen ritengono accettabile determinerà con molta probabilità la scomparsa di un quinto delle specie viventi e di interi arcipelaghi, di milioni di chilometri quadrati di foreste, e l'aumento di temperature di 3 o 4 gradi in molte regioni.
Il ciclo dell'acqua sul pianeta sarà ridisegnato: condannando intere regioni alla siccità ed altre ad alluvioni catastrofiche, la produzione di cibo sarà sconvolta e quasi sicuramente largamente insufficiente. Centinaia di milioni di persone, da ogni regione, saranno costrette a migrare, circa un miliardo di esseri umani saranno direttamente coinvolti entro il 2050.
Ma di fronte a un tale sconvolgimento nessuno può illudersi di essere intoccabile.
A guardar bene, tutto ciò è futuro anteriore. Sta già accadendo, è già successo.
Rosarno, ad esempio, ci parla di questo, della fuga da regioni devastate dalle guerre, dalla desertificazione e dall'agricoltura insensata imposta dal mercato, che non ha più alcuna relazione con l'umano che abita la terra che coltiva.
Ci parla della fuga e dell'arrivo in regioni altrettanto devastate, dove, come da programma, i fuggitivi finiscono schiavi in colture in cui le flebo chimiche hanno preso il posto della terra esausta.
I cambiamenti climatici non sono, come vorrebbero farci pensare i network di potenti, istituzioni e companies, i deliri di un bizzarro termometro in un qualche luogo imprecisato.
I cambiamenti climatici non sono due o tre astratti gradi in più: sono invece le mutazioni della biosfera, lo sconvolgimento dei popoli e della vita.
I cambiamenti climatici non sono solo in Africa o nelle foreste equatoriali, sono a Porto Marghera e a Chiaiano, allo stretto e in Val di Susa. Sono la più grande falda acquifera del nord Italia calpestata e avvelenata dai militari sotto il Dal Molin a Vicenza, sono il Sud inaridito che gronda di veleni e Venezia che scompare sotto il mare, sono i prati di cemento del Nord Est e l'acqua trasformata da bene comune a profitto di privati.
I cambiamenti climatici sono la risposta termodinamica dell'ecosistema alla turbopredazione accelerata del pianeta, la crisi esogena dell'accumulazione capitalista che si intreccia con la sua strutturale crisi endogena. Un sistema che navigando a vista fra turbolenze ingovernabili, risponde come le è proprio: allargando ancora di più la predazione, espandendo febbrilmente l'accumulazione al comune naturale della biosfera e su quello artificiale dei saperi, dei desideri, delle relazioni, della vita stessa.
Energia in crisi
Nell'esigenza irrinunciabile del profitto crescente, la crisi ecologica viene dipinta come un asettico problema aritmetico di gradi di temperatura, contrabbandando come soluzione il mercato delle emissioni: alla ricerca di una rinnovata propulsione dell'accumulazione, il capitale affronta l'ulteriore aspetto della crisi, quello energetico.
Le emissioni non sono che il respiro dell'energia, il motore primario senza il quale non si danno né potenza né profitto.
Tuttavia, le fonti primarie – gli idrocarburi, il cui controllo geopolitico appare anch'esso in crisi – sono in rapido esaurimento, divengono energeticamente sempre più dispendiose e il loro sfruttamento, essendo insieme all'agricoltura la causa principale dei cambiamenti climatici, moltiplica oltre misura la crisi ecologica. La sorgente che procura ancora oggi l'80% del totale e ha assicurato due secoli di crescita esponenziale determina oggi definitivamente una drastica erosione del margine di profitto e nessuna prospettiva di crescita di lungo periodo.
A fronte di ciò la risposta obbligata è un cambiamento di paradigma verso le differenti altre sorgenti di energie disponibili nel “comune naturale”: sole, vento, geotermia, biomasse...
Se da una parte sono necessari l'appropriazione e il controllo dell'energia in quanto elemento originario e necessario del processo produttivo, dall'altra anche le stesse forme di accesso e distribuzione dell'energia devono assicurare l'iscrizione del suo utilizzo all'interno dello stesso paradigma di sfruttamento generalizzato.

Ne consegue che l'utilizzo delle energie “green”, tanto rarefatte e diffuse quanto gli idrocarburi sono energeticamente densi e centralizzabili, determina la necessità di una riorganizzazione delle leve e dei dispositivi di comando dei nessi sociali e produttivi.
Un mutamento intrinseco alla nuova fase che si apre, uno spostamento deciso verso la cattura e il controllo del “comune naturale” in sé e, insieme, della sfera dei saperi e delle tecnologie necessari a renderlo utilizzabile.
Un percorso entro il quale si innesta immediatamente anche l'appropriazione della dimensione genetica della natura e che viene contrabbandato sotto il rassicurante marchio di “green economy”.
L'eredità che due secoli di “sviluppo” ci consegna – fatta di allucinanti ingiustizie globali, orrende violazioni dei diritti umani, fame diffusa, devastazione ecologica di un pianeta grondante di sostanze tossiche – sfocia oggi nella crisi totale che ci rende, in Europa esattamente come in Africa e ovunque, schiavi dei colpi di coda imposti dalla governance, vassalli delle esigenze finanziarie e cittadini per i quali i diritti di cittadinanza non si esercitano ma si acquistano, privati di ogni bene comune”.
Tira una brutta aria e decisamente ci meritiamo un altro clima.
È tempo di un'altra storia. Una storia che non vuole produrre ma generare, non vuole consumare o usufruire ma godere,condividere, restituendo e re-istituendo “il comune”.
A Cancun, il prossimo dicembre, si terrà il COP-16, la puntata successiva a Copenaghen.
Un passaggio decisivo che i popoli del mondo e il nuovo movimento globale per la giustizia climatica di cui siamo parte devono attraversare e determinare, imponendo le soluzioni possibili e radicali per la crisi ecologica, dando forza e potenza a quella storia grande e antica di amore e rispetto per la Madre Terra e per l'umano che ne è parte, raccontata nell'”Accordo dei Popoli”, che facciamo nostro, dandogli il nostro volto e la nostra voce sulla nostra terra.
Andare a Cancun significa riconoscere di esserci già, significa raccogliere ogni storia di conflitto e di costruzione del comune della propria terra, potenziandole in una costruzione corale.
Cancun è già qui ed ora: Cancun è nella crisi che tutte e tutti viviamo ogni giorno, è su ogni tetto battuto dal sole, in ogni falda e corso d'acqua.
Cancun è nelle lotte per riprendersi la terra, per bandire gli ogm verso la sovranità alimentare e un'agricoltura di prossimità.
Cancun è nelle lotte per le bonifiche dei veleni e per esigere che il debito climatico ed ecologico sia ripagato ovunque.
Cancun è nella lotta per liberare l'acqua da chi la vuole trasformarla in una merce in mano a monopoli privati o pubblici.
Cancun è nelle mobilitazioni per dire no al nucleare e perché l'energia diffusa non sia una proprietà – né pubblica né privata –, ma un comune a cui attingere e di cui aver cura, al riparo dalle logiche di sfruttamento e produzione.
Cancun è nella consapevolezza che volere reddito, affermare che la crisi non la vogliamo pagare noi significa interrogarsi fino in fondo su come si lavora e cosa si produce.
Cancun è già nelle lotte sociali per la costruzione del comune, per la sottrazione della vita alla logica dell'accumulazione e del profitto.
L'orizzonte di Cancun non è solo contestare la governance, ma è il confluire delle radici
profonde di una nuova pratica globale in cui la vita si sottrae al capitalismo, gridando forte,
con tutta la dignità della Madre Terra, giù le mani dalla vita di tutti e di ciascuno.
L'orizzonte di Cancun non è solo contestare la governance, ma è il confluire delle radici profonde di una nuova pratica globale in cui la vita si sottrae al capitalismo, gridando forte, con tutta la dignità della Madre Terra, giù le mani dalla vita di tutti e di ciascuno

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!