ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERZIONE NAZIONALE.
MESSICO.
MESSICO.
Dicembre 2014.
Alle compagne e ai
compagni della Sexta nazionale e internazionale:
Al Congresso Nazionale Indigeno:
Ai familiari e compagni degli assassinati e desaparecidos di Ayotzinapa:
Sorelle e fratelli:
Ci sono molte cose
che vorremmo dirvi. Non le diremo tutte perché sappiamo che ora ci sono
questioni più urgenti e importanti per tutte, tutti e tuttei. Ma in ogni caso
sono molte cose ed è lunga la nostra presa di parola. Pertanto vi chiediamo
pazienza e una lettura attenta.
Noi, le e gli
zapasti, qui stiamo. E da qui guardiamo, ascoltiamo, leggiamo che la parola di
familiari e compagni degli assassini e scomparsi di Ayotzinapa inizia a restare
alle spalle e che ora, per una parte di quelli di là, è più importante…
la parola di altri e
altre dalle tribune;
la discussione se i
cortei e le manifestazioni appartengano a quelli di buone maniere o ai
maleducati;
la discussione su
quale tema è più menzionato a maggior velocità nelle reti sociali;
la discussione sulla
tattica e la strategia da seguire per “trascendere” il movimento.
E pensiamo che
continuano a mancare i 43 di Ayotzinapa, i 49 dell’asilo ABC, le decine di migliaia
di assassinate/i e scomparse/i nazionali e migranti, i prigionieri e gli
scomparsi politici.
E pensiamo che
continua a essere sequestrata la verità, continua a darsi per scomparsa la
giustizia.
E pensiamo anche che
bisogna rispettare la legittimità e autonomia del vostro movimento.
Le vostre voci, noi
zapatisti le abbiamo ascoltate a tu per tu. Migliaia di basi d’appoggio
zapatiste lo hanno fatto, e le vostre voci sono poi giunte a decine di migliaia
di indigeni. La vostra voce ha quindi parlato in tzeltal, in chol, in
tojolabal, in tzotzil, in zoque, in castigliano al nostro cuore collettivo.
Queste voci hanno
giudizio, sanno di che parlano, ed è il vostro cuore come il nostro quando
diviene dolore e rabbia. Conoscete la vostra strada e la percorrete.
Vi sapete voi. Ci
sapete a noi nella rabbia e nel dolore. Non abbiamo nulla da insegnarvi, noi.
Abbiamo tutto da imparare da voi.
Perciò ora, quando la
vostra voce vuol essere coperta, zittita, dimenticata o distorta, vi mandiamo
la nostra parola per abbracciarvi.
Perciò diciamo che la
prima cosa, la più importante e urgente, è ascoltare i familiari e compagni dei
desaparecidos e assassinati di Ayotzinapa. Sono queste voci ad aver toccato il
cuore di milioni di persone in Messico e nel mondo.
Sono queste voci che
ci hanno indicato il dolore e la rabbia, che hanno denunciato il crimine e
mostrato il criminale.
L’importanza di
queste voci è riconosciuta tanto dal governo, che cerca di delegittimarle,
quanto dagli avvoltoi, che cercano di distorcerle.
Cerchiamo di
restituire il loro luogo e la loro direzione a queste voci.
Queste voci hanno
resistito alla calunnia, hanno resistito al ricatto, hanno resistito alla
corruzione. Queste voci non si sono vendute, non si sono arrese, non hanno
zoppicato.
Queste voci sono
solidali. Abbiamo saputo, ad esempio, che quando si accumulavano giovani nelle
carceri, e quelli “di buone maniere” consigliavano a quelle voci di non
soffermarsi sugli arrestati, che la loro liberazione non era importante perché
tanto il governo stava “infiltrando” le mobilitazioni, le voci degne e ferme
dei familiari e compagni dei 43 hanno detto, parola più parola meno, che per
loro la questione della libertà dei detenuti era parte della lotta per la
ricomparsa dei desaparecidos. Ovvero, come si dice, queste voci non si sono
fatte ricattare né hanno acquistato la paccottiglia a buon mercato degli
“infiltrati”.
Certo, queste voci
hanno avuto la fortuna di trovare una popolazione ricettiva nella sua coppia di
base: la sazietà e l’empatia. La sazietà di fronte alle forme “classiche” del
Potere, e l’empatia tra chi soffre i suoi abusi e costumi.
Però questo si poteva
ritrovare già in calendari e geografie diverse. Ciò che pone Ayotzinapa sulla
mappa mondiale è la dignità dei familiari e compagni dei giovani assassinati e
desaparecidos. La loro tenace e intransigente insistenza nella ricerca di
verità e giustizia.
E nella vostra voce
si sono riconosciuti molte e molti in tutto il pianeta. Nelle vostre parole
hanno parlato altri dolori e altre rabbie.
E le vostre parole ci
sono giunte a ricordare molte cose. Ad esempio:
Che la polizia non
indaga su furti; la polizia sequestra, tortura, fa sparire e assassina persone
con o senza affiliazione politica.
Che le istituzioni
attuali non sono il luogo atto a dare risposte all'indignazione, le istituzioni
sono proprio ciò che provoca indignazione.
Che il sistema non ha
soluzioni al problema perché è esso stesso il problema.
Che, da tempo e in
molti luoghi:
- i governi non governano, simulano;
- i rappresentanti non rappresentano, soppiantano;
- i giudici non impartiscono giustizia, la vendono;
- i politici non fanno politica, fanno affari;
- le pubbliche forze dell’ordine non sono pubbliche e non impongono altro ordine che il terrore al servizio di chi paga di più;
- la legalità è il travestimento dell’illegittimità;
- gli analisti non analizzano, traslano le loro fobie e le loro preferenze sulla realtà;
- i critici non criticano, assumono e diffondono dogmi;
- gli informatori non informano, producono e distribuiscono parole d’ordine;
- i pensatori non pensano, si bevono le fesserie di moda;
- il crimine non si castiga, si premia;
- l’ignoranza non si combatte, si esalta;
- la povertà è la ricompensa per chi produce le ricchezze.
Perché risulta, amici
e nemici, che il capitalismo si nutre della guerra e della distruzione.
Perché è finita
l’epoca in cui i capitali avevano bisogno di pace e stabilità sociale.
Perché nella nuova
gerarchia dentro al capitale, la speculazione regna e comanda, e il suo è il
mondo della corruzione, dell’impunità e del crimine.
Perché risulta che
l’incubo di Ayotzinapa non è locale, né statale, né nazionale. E’ mondiale.
Perché risulta che
non si va soltanto contro giovani, né soltanto contro uomini. E’ una guerra con
molte guerre: la guerra contro il diverso, la guerra contro i popoli originari,
la guerra contro la gioventù, la guerra contro chi, con il suo lavoro, fa
andare avanti il mondo, la guerra contro le donne.
Perché risulta che il femminicidio è tanto annoso, quotidiano e ubiquo in
tutte le ideologie, che è già “morte per cause naturali” all'apertura delle
indagini.
Perché risulta che è
una guerra che ogni tanto prende nome in un calendario e in una geografia
qualsiasi: Erika Kassandra Bravo Caro: donna, giovane, lavoratrice, messicana,
19 anni, torturata, assassinata e scuoiata nel “pacificato” (secondo le
autorità civili, militari e mediatiche) stato messicano di Michoacán. “Un
crimine passionale”, diranno, come quando si dice “vittime collaterali”, come
quando si dice “un problema locale in un municipio del provinciale stato
messicano di… (metti il nome di qualsiasi entità federativa)”, come quando si
dice “è un fatto isolato, bisogna superarlo”.
Perché risulta che
Ayotzinapa ed Erika non sono l’eccezione, ma la riaffermazione della regola
nella guerra capitalista: distruggere il nemico.
Perché risulta che in
questa guerra il nemico siamo tutte, tutti, tutto.
Perché risulta che è
la guerra contro tutto, in tutte le sue forme e in ogni luogo.
Perché risulta che è
di questo che si tratta, di questo si è trattato sempre: di una guerra, ora
contro l’umanità.
In questa guerra,
quelli di sotto hanno trovato nei familiari e compagni degli assenti di
Ayotzinapa un eco amplificato della loro storia.
Non più soltanto nel
loro dolore e rabbia, ma soprattutto nel loro testardo impegno di trovare
giustizia.
E con la loro voce
sono terminate le menzogne del conformismo, del “sopportiamo tutto”, del “non
succede nulla”, de “il cambiamento è in se stessi”.
Tuttavia, nel mezzo
del dolore e della rabbia, di sopra volteggiano nuovamente gli avvoltoi,
sull’estesa macchia delle morti e sparizioni menzionate.
Perché laddove alcuni
contano le assenze ingiustificate, altri contano voti, vetri, incarichi,
nomine, intestazioni, marce, firme, likes, follows.
Ma non bisogna
lasciare che ciò che realmente conta e importa rimanga in subordine.
Noi, le e gli
zapatisti dell’EZLN, pensiamo che è talmente importante ottenere che riprendano
il loro posto le voci dei familiari e compagni degli assassinati e
desaparecidos di Ayotzinapa, che abbiamo deciso:
1. Di cedere il
nostro spazio al Primo Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro
il Capitalismo ai familiari e compagni dei Normalisti di Ayotzinapa assassinati
e desaparecidos. Pensiamo che nelle loro voci e nelle loro orecchie ci saranno
echi generosi verso e per tutte e tutti coloro che, essendo o non essendo
presenti, parteciperanno al Festival.
2. Per questo ci
siamo rivolgendo alle compagne e ai compagni del Congresso Nazionale Indigeno
nelle distinte sedi, alla Commissione Congiunta del CNI-Sexta per il Festival
Culturale, e a chi avrebbe appoggiato la nostra delegazione per ciò che
riguarda i trasporti, l’alloggio, l’alimentazione, la sicurezza e la salute,
per chieder loro di dedicare e applicare i loro sforzi ai familiari e compagni
dei Normalisti di Ayotzinapa che oggi mancano a tutte e tutti noi. Perciò
chiediamo che li seguano, ascoltino e gli parlino come fossero i 20 zapatisti,
10 donne e 10 uomini, che avrebbero formato la nostra delegazione.
3. Per questo
chiediamo, rispettosamente, ai familiari e compagni degli assenti di Ayotzinapa
che accettino il nostro invito e nominino, al loro interno, una delegazione di
20 persone, 10 donne e 10 uomini, e partecipino come invitati d’onore al
Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo che sarà
celebrato dal 21 dicembre 2014 al 3 gennaio 2015. Per noi zapatiste e zapatisti
è stato molto importante ascoltarvi direttamente. Crediamo che sarà molto ben
fatto che tutte le persone che assisteranno al festival abbiano lo stesso onore
che è stato concesso a noi. E crediamo anche che vi apporterà molto la
conoscenza di altre resistenze e ribellioni sorelle in Messico e nel mondo.
Potrete vedere allora quanto è grande ed esteso il “non siete soli”.
4. L’EZLN parteciperà
al Festival. Il nostro orecchio attento e rispettoso sarà lì come uno in più
tra le nostre compagne e i nostri compagni della Sexta. Non su palchi o in
luoghi speciali. Staremo come ombre, uniti a tutte e tutti, tra tutte e tutti,
dietro a tutte e tutti.
5. La nostra parola
per la condivisione è già in un video. Si è data indicazione a “Los Tercios
Compas” affinché lo facciano arrivare al momento opportuno nelle diverse sedi
del Festival e ai Media Liberi, Alternativi, Indipendenti, Autonomi o come si
chiamino, che sono della Sexta, affinché lo diffondiate, se lo considerate
pertinente, nei vostri tempi e modi.
6. Il 31 dicembre
2014 e nel giorno primo dell’anno 2015 sarà un onore per noi ricevere, nel
caracol di Oventik, come invitati speciali le donne e gli uomini che, con il
loro dolore e la loro rabbia, hanno inalberato in tutto il pianeta la bandiera
della dignità che siamo in basso a sinistra.
7. E non solo, ne
approfittiamo anche per invitare tutte, tutti e tuttei quelli della Sexta nazionale e
internazionale, incappucciati o no, a partecipare a questa grande condivisione,
a parlare delle loro storie e ad ascoltare l’altra, l’altro, l’altroa.
-*-
Dell’isteria come
metodo di analisi e linea di condotta.
Noi, le e gli
zapatisti, qui stiamo. Da qui vi guardiamo, ascoltiamo, leggiamo.
Nelle recenti
mobilitazioni per la verità e la giustizia per i normalisti di Ayotzinapa, si è
ripetuta la disputa per imporre il carattere delle mobilitazioni, ora arrivando
alla criminalizzazione di chi coincide con uno stereotipo collaudato: giovani,
con il volto coperto, vestiti di nero, e che sono o sembrano anarchici.
Insomma, sono di cattive maniere. E come tali devono essere espulsi, additati,
detenuti, catturati, consegnati alla polizia o alla giusta ira dei settori
progressisti.
A questo si è arrivati
con reazioni coincidenti o vicine all'isteria in alcuni casi, e alla
schizofrenia in altri, impedendo un’argomentazione ragionata e un dibattito
necessario.
Anche se abbiamo già
assistito in precedenza a tutto questo (nello sciopero della UNAM 1999-2000,
nel 2005-2006, nel 2010-2012), il rilancio di questo metodo di analisi e linea
di condotta della sinistra di buone maniere, permette alcune riflessioni:
I familiari e
compagni degli assassinati e desaparecidos di Ayotzinapa, come quelli di decine
di migliaia di desaparecidos e assassinati, non chiedono carità o condoglianze,
ma verità e giustizia.
Chi è che può
stabilire che queste domande, che sono le domande di qualsiasi essere umano in
qualsiasi parte del mondo, debbano esprimersi nella tale o talaltra forma? Chi
scrive il “manuale delle buone e cattive maniere” per esprimere il dolore, la
rabbia, la discordanza?
Ma va bene, si può e
si deve dibattere su come calza meglio la parola “compagn*”. Se con una voce
enfatica dall'alto di una tribuna o se con un vetro rotto. Se con un “Trending Topic” o se con una
camionetta della polizia in fiamme. Se con un blog o con un graffito. O magari
con tutte o magari con nessuna di queste cose, e ognuno a modo suo crea,
costruisce, mette in piedi il proprio modo di appoggiare una lotta.
Ma nemmeno chi ha
l’autorità morale e la statura umana per dire “così sì” o “così no”, ovvero i
familiari e compagni di quelli che mancano di Ayotzinapa, lo ha fatto.
Dunque, chi ha
assegnato gli incarichi di commissari del buon comportamento per l’appoggio e
la solidarietà? Da dove viene questo allegro additare gli uni o le altre come
“agenti del governo”, “infiltrati” e, orrore degli orrori, “anarchici”?
/ E’ ridicolo che si
argomenti “questi
non sono studenti, sono anarchisti”. Qualsiasi anarchico ha più bagaglio
culturale e conoscenze scientifiche e tecniche della media di chi, come
poliziotti del pensiero, li addita e ne chiede il rogo. Per non parlare di chi
fa motivo di vanto e orgoglio della stupidità e dell’illegalità come metodo
poliziesco (“piaccia o non piaccia”) nel governo di Città del Messico. /
Ma, certo, si può
inventare un fantoccio preconfezionato (una specie di anarcoinsurrezionalista
regione 4) e ridicolizzarlo assegnandogli un corpo teorico caricaturale, perché
possa essere spacciato senza inconvenienti in qualsiasi ministero pubblico
mediatico o giudiziario (certo, se è videoregistrata la sua detenzione,
altrimenti, tanto, chi ne sentirà la mancanza?). Dopotutto, l’informazione
“giornalistica” proviene da fonti affidabili: le delazioni e la polizia
politica.
Non è la stessa cosa
additare (chi addita accusa, giudica e condanna, e chiede che la polizia esegua
la sentenza), e dibattere. Perché per additare è necessario soltanto essere
alla moda (che è comodo, facile, e, ebbene sì, aumentano i “likes”
e i “follows“).
Per additare non è necessaria un’indagine argomentata, basta “postare” alcune
foto.
Così nascono i grandi
idilli tra i “leader d’opinione” e le masse dei “seguaci”: la fede cieca
sintetizzata in 140 caratteri.
Da “io ti seguo e tu mi segui” a “vissero
felici e contenti”, a “Non
mi ami perché non mi dai RT né Fav né like. Cambierò Sinsajo*”. (*uccello
mitologico inventato da Suzanne Collins, autrice di Hunger Games, che
in originale suona “Mockingjay”, N.d.T.).
Per dibattere bisogna
indagare (attenzione: al di là del fatto che ci siano differenti anarchismi;
attenzione reiterata: al di là che l’ “azione diretta” non è necessariamente
violenta), pensare, argomentare e, arghhh!, la cosa più pericolosa e difficile:
ragionare.
Dibattere è difficile
e scomodo. E ci sono conseguenze per chi dibatte (dico, oltre ai pollici versi,
i medi alzati e i “non
ti seguo più” a
cascata).
Nessun problema, poi
c’è gente che non percorre la vita cercando di rendere gradito, di conformare,
incassare, attrarre.
Dietro ogni essere
critico c’è una lunga lista di “seguaci” che disertano, traslocando dove non si
debba pensare e dove il RT non sia un autogol.
E quando il
giornalismo “prog”
supplisce alle funzioni del pubblico ministero e accusa, interroga, conclude e
condanna, sta additando o dibattendo?
O si tratta di
dibattere così? Gli anarchici nelle carceri perseguitati o esiliati, e le buone
coscienze negli editoriali, nei microfoni e nel cinguettare?
Ok, ok, ok. Ma almeno
siamo d’accordo sull'appoggiare i familiari e compagni degli assassinati e desaparecidos
di Ayotzinapa, o questo ormai non importa?
Nemmeno i bambini
nell’asilo ABC, i desaparecidos di Coahuila, i migranti ignorati, i “danni
collaterali” della guerra, le donne violentate e assassinate tutti i giorni a
tutte le ore in tutti i luoghi in tutte le ideologie?
Importano solo il
cambio di nome delle poltrone o il promuovere il lavoro nelle ditte di vetri,
cristalli e mensole?
Coloro che insistono
nella via elettorale come opzione unica ed escludente, non sono stati accusati
di essere “infiltrati”, “sbirri”, “provocatori” o “soldati di leva in abiti
civili”. Li si accusa come illusi, ingenui, stupidi, tonti, cercalavoro,
opportunisti, intolleranti, ambiziosi, avvoltoi, tiranni e despoti. Be’, anche
come fascisti. Ma non come “infiltrati”, sebbene più di uno quadri alla
perfezione con il profilo reale di agente governativo o poliziotto politico.
Sappiamo che gli uni
e gli altri sono grandi strateghi (basta vedere i risultati che hanno
ottenuto), pensano, propongono e impongono che “bisogna trascendere la
mobilitazione”.
Gli uni con marce ben vestite ed educate cercando di contenere e
arginare; gli altri con l’azione diretta, violenta ed escludente della rabbia.
Gli uni e gli altri
con l’anelito avanguardista, da élite esclusiva, di dirigere, egemonizzare e
omogeneizzare la diversità su modi, tempi e luoghi.
Dal “se rompi un vetro sei
infiltrato” al “se
non lo rompi… pure”.
Per gli uni e gli
altri ciò che conta è il centro geografico e ciò che in esso converge: il
potere politico, economico e mediatico.
Se non accade a Città
del Messico, non importa, non ha validità, non conta. Lo “storico” è loro
patrimonio esclusivo.
Non esistono per essi
mobilitazioni nel Guerrero, Oaxaca, Jalisco, Veracruz, Sonora, e altri angoli
del Messico e del mondo.
Ma poiché negli uni e
negli altri regna la pigrizia per l’analisi critica, non si rendono conto che
non è lì il centro del Potere.
Là sopra le cose sono
cambiate, e molto.
Finché si continuerà
ad abbandonare l’analisi seria e profonda del nuovo carattere del Potere,
seguendo a ruota i calendari di sopra (elettorali e istituzionali) da una data all'altra, o la pressione del “bisogna far qualcosa, qualsiasi cosa” anche se
inutile e sterile, si continueranno a reiterare gli stessi metodi di lotta, gli
stessi riflussi, le stesse sconfitte.
Verso un dibattito
serio:
Sulle azioni dirette
nel corso dei cortei di Città del Messico, l’8 e il 20 novembre e il 1 dicembre
2014, chissà non sia il caso di ricordare le seguenti parole di Miguel Amorós:
“In
tali eventi la sola presenza di cittadinisti e loro alleati basta per seminare
la confusione e convertire le migliore intenzioni radicali in puro attivismo,
integrato senza difficoltà nello spettacolo e pertanto manipolabile, come
argomento dei governanti per giustificare gli eccessi della forza pubblica o
come alibi dei cittadinisti per giustificare il fallimento delle loro
aspettative. L’attivismo -violento o solo ideologico- è il miglior rivelatore
dell’obsolescenza della rivolta al riflettere la povertà teorica e la debolezza
strategica dei nemici del capitale e dello Stato. Incalzati gli attivisti dalla
necessità di fare “qualcosa”, gli si puntano contro i cannoni, e cadono
pertanto nella trappola mediatica e spettacolare, che li taccia di teppisti e
provocatori. Il risultato non è utile che ai governi, ai partiti e agli
pseudomovimenti, spazzatura che esiste giusto per impedire la più remota
possibilità di una lotta autonoma o di un pensiero rivoluzionario”. Amorós, Miguel. “El
Ocaso de la Revuelta”, Ottobre 2001. In “Golpes y Contragolpes”, Pepitas de
calabaza ed. & Oxígeno dis. Spagna 2005.
Quel che segue:
requisiti per manifestare:
Per lui: tessera
elettorale o carta d’identità, comprovante il domicilio (se non ha casa di
proprietà, copia del contratto d’affitto; se ce l’ha ipotecata, che cosa ci fa
lei qui?), giacca e cravatta (no, smoking no, non bisogna ancora esagerare,
quello è per quando attraverseremo trionfanti, portati a spalla dalla
moltitudine, la sacra porta che gli incoscienti hanno preteso distruggere),
mani e facce pulite, senza tatuaggi visibili, senza piercing, senza pettinature
strampalate (strampalato: ciò che non appare nelle riviste di moda), scarpe
classiche (niente scarpe da tennis o stivali), firmare una contratto con il
quale ci si impegna a rispettare qualsiasi segno di autorità e/o di potere in
qualsiasi accezione, così come segnalare qualsiasi attitudine o intenzione di
separarsi da queste regole.
Per lei: la stessa
roba ma con vestito completo. Oh, mi dispiace, sì, bisogna pettinarsi.
Per luei: non ha i
requisiti per manifestare. Per cortesia proceda al water successivo.
Dell’avanguardia del
proletariato e di quelli di buone e cattive maniere:
Vi rendiamo noto,
perché crediamo non lo sappiate, che il Sindacato Messicano degli Elettricisti
(SME) ha negato, al CNI e all’EZLN, il prestito di una delle sue strutture per
la celebrazioni e le attività culturali, nel Distretto Federale, del Primo
Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo: “Dove
quelli di sopra distruggono, noi di sotto ricostruiamo”.
Prima della campagna
del “comportati bene e dì NO ai cappucci”, lo SME aveva concesso, generoso, uno
dei suoi locali per la festa culturale. Man mano che ha preso piede la campagna
del “non temere lo Stato, temi il differente”, sono apparsi i pretesti che preparavano
la strada: “è che ci sono le vacanze, non abbiamo chi possa seguire la cosa,
non passeremo il Natale così”.
Poi sono stati più
chiari e ci hanno detto: “che un settore dentro allo SME era contrario a ciò
che si facesse in solidarietà con altre lotte, che in assemblea si era
stabilita la necessità di finirla con la storia di stare con quelli di
Ayotzinapa, che non era possibile stare da un lato ai negoziati con il governo
e dall'altro con un movimento di giovani incazzati, incappucciati, che stavano facendo azioni come quella del Palazzo; e che avevano dovuto bloccare la storia
dell’arrivo di giovani che volevano fare sosta nell'impianto sportivo (si
riferisce al luogo, proprietà dello SME, che avrebbero prestato), quando
sarebbero arrivate le carovane, che poi voi (la Sexta e il CNI) e i vostri
incappucciati (nel ruolo degli incappucciati: l’EZLN) che volete fare il vostro
festival, che non si può, che cercatevi un altro posto, che sperano che li
capiamo”.
Hanno detto altre
cose, ma si riferiscono a questioni interne dello SME che non ci spetta
ripetere né diffondere.
E quindi? I compagni
del Congresso Nazionale Indigeno avevano proposto che fosse in un locale dello
SME come riconoscimento e saluto alla loro lotta e resistenza, e noi avevamo
appoggiato la loro proposta. E ancora da quelle parti c’è chi pensa che le
purghe esisteranno fino all'improbabile momento nel quale l’avanguardia
proletaria prenda il Potere.
E allora noi, le e
gli zapatisti, comprendiamo. Ma non capiamo. Non capiamo come è potuto accadere
che un movimento che ha sofferto una campagna con ogni sorta di calunnie,
menzogne e aggressioni (anche più di quella che ora subiscono giovani,
anarchici e non anarchici, incappucciati e non incappucciati, studenti e
studiosi) come lo SME, si è arreso alla moda di criminalizzare il diverso. Non
capiamo come possiate sottoscrivere la moda di turno e decidere di entrare
nella cerchia delle buone coscienze e dissociarvi da chi non solo vi
rispetta(va), ma per di più vi ammira(va). Questa dissociazione è parte dei
principi del nuovo partito politico che costruite? E’ parte della celebrazione
dei vostri 100 anni?
Sarebbe stato più
facile fare come fanno ora a Città del Messico, e mettere un cartello all'entrata che recitasse “Non sono ammessi gli incappucciati” e via. Non
saremmo entrati noi, certo, ma la vostra lotta si sarebbe vista vivificata con
tutti i colori che sono il colore della terra nel Congresso Nazionale Indigeno,
così come con la diversità di resistenze e ribellioni che, pur non tenendo
locali per feste culturali, fioriscono in vari angoli del Messico e del mondo.
Comunque, nelle
nostre limitate possibilità, continueremo ad appoggiare la vostra giusta lotta.
E, ovviamente, vi mandiamo l’invito al Festival.
Scegli la risposta
corretta:
“Vili
incappucciati” (o equivalenti con
nuovi sinonimi: “anarchici”, “infiltrati”, “provocatori”, “studenti”,
“giovani”). Lo ha detto, lo ha twittato, lo ha dichiarato, lo ha firmato, lo ha
cantato, lo ha dipinto, lo ha disegnato, lo ha pensato…
a)- un o un’articolista,
intellettuale, caricaturista, giornalista, commentatore dei media conservatori
prezzolati.
b)- un o un’articolista, intellettuale, caricaturista, giornalista, commentatore dei media progressisti prezzolati.
c)- una o un artista conservatore.
d)- una o un artista progressista.
e)- un generale dell’esercito federale.
f)- un leader della Patronal*. (*Confindustria,N.d.T.)
g)- un leader sindacale operaio dell’avanguardia del proletariato rivoluzionario.
h)- un leader di un partito politico allineato alla destra.
i)- un leader di un partito politico allineato ancora più a destra.
j)- un leader di un partito politico allineato… Va be’, per farla breve: un leader di un partito politico qualsiasi.
k)- Epi*(*think tank neoiberista statunitense, N.d.T).
l)- Enrique Krauze.
m)- tutti i precedenti.
b)- un o un’articolista, intellettuale, caricaturista, giornalista, commentatore dei media progressisti prezzolati.
c)- una o un artista conservatore.
d)- una o un artista progressista.
e)- un generale dell’esercito federale.
f)- un leader della Patronal*. (*Confindustria,N.d.T.)
g)- un leader sindacale operaio dell’avanguardia del proletariato rivoluzionario.
h)- un leader di un partito politico allineato alla destra.
i)- un leader di un partito politico allineato ancora più a destra.
j)- un leader di un partito politico allineato… Va be’, per farla breve: un leader di un partito politico qualsiasi.
k)- Epi*(*think tank neoiberista statunitense, N.d.T).
l)- Enrique Krauze.
m)- tutti i precedenti.
Risultato: Qualsiasi
lettera tu abbia selezionato è corretta. Se hai scelto l’ultima opzione, hai
non solo verificato, ma anche fatto un monitoraggio esaustivo delle reti
sociali e dei media prezzolati e liberi. Non sappiamo se esprimerti
felicitazioni o condoglianze. Il proverbio: al giorno d’oggi, se non sei ben
confuso è perché non sei bene informato.
Nel balcone delle
reti sociali:
Un tweet modello
della gente perbene dopo la marcia del 20 novembre 2014 a Città del Messico: “perché la polizia ha arrestato
arbitrariamente dei civili invece di arrestare gli anarchici?” Occhio:
si noti che solo gli anarchici si fa bene ad arrestarli arbitrariamente, visto
che non sono “civili”.
Un commento della
gente perbene dinanzi a una foto della polizia del Distretto Federale in
modalità “piacciaononpiaccia” mentre
picchia una famiglia nei dintorni dello Zócalo del DF il 20 novembre 2014: “Io li conosco e questi non
sono anarchici”. Occhio: se nessuno lo conosce ed è
anarchico, si merita quelle botte.
Un’argomentazione
della gente perbene all’inizio del movimento, o dopo, non importa: “Di sicuro questi ayotzinacos* (*crasi
tra Ayotzinapa e “naco”, termine utilizzato con significato analogo a paria,
tamarro o bifolco, N.d.T.) se la sono cercata, chi gli
dice di farsela con gli anarchici“. Occhio: no comment.
Il Dialogo
Impossibile:
“Che
significa che non capisci com'è questa storia degli incappucciati uguale
anarchici uguale infiltrati? Guarda, questa gente non vuole fare politica,
vuole solo fare disordine.
Questo vuol dire anarchismo: disordine. Il fatto di
coprirsi il volto è dovuto alla vigliaccheria. E il fatto degli infiltrati è
perché servono al governo. Che? Sì, anche gli zapatisti sono incappucciati ed
erano incappucciati quelli che si contrapposero a Ulises Ruiz a Oaxaca, e
alcuni di quelli che ora si mobilitano nel Guerrero e a Oaxaca. Ah, ma questi
non sono qui, nella nostra città (il “nostra” è stato sottolineato da uno
sguardo di avvertimento). Gli zapatisti, quelli di Oaxaca e quelli del Guerrero,
ebbene, sono piccoli indios di buon cuore.
Certo, senza alcuna direzione politica
chiara. E sono lontani, gli si può mandare aiuti umanitari che è come noi
chiamiamo il disfarci di ciò che non serve più o è divenuto inutile, o peggio
ancora, fuori moda. Ma questi fottuti anarchici sono qui, prendono le nostre
strade (si ripete lo sguardo minaccioso nel “nostre”) e, come dirti?, be’,
rovinano il paesaggio. Uno sta qui a sforzarsi di fare un bell’happening molto
stile retro, sixties, capisci?, molto pace e amore, dell’età dell’acquario,
fiori, canzoni, droghe leggere, smartdrinks, buone vibra insomma. Guarda, ho
un’applicazione nel mio cell che caccia luci con tonalità intonate a ciò che mi
metto. Eh? No, io non sfilo con un contingente, io cammino sul terrapieno,
salgo a… No, non è per vedere meglio il corteo, è perché le masse mi vedano
meglio. Guarda tipo, tipa o quello che sei, le manifestazioni qui devono essere
come andare al club, mi capisci? Si tratta non di protestare ma di vederci tra
noi, salutarci, e il giorno dopo confermare che siamo quelli che siamo, non
nella sezione società, ma nelle pagine nazionali. E poi, questi di Ayotzi… No,
ormai nessuno dice più Ayotzinapa, fa più fico dire “Ayotzi”. Be’, ti stavo
dicendo che Ayotzi ha una ripercussione internazionale ovvero ci dà un’aria
molto cosmopolita. Ma quale intellighentzia, quella è roba di destra. Noi, le
sinistre moderne, ci facciamo riconoscere in questi eventi. Alla prossima, se
non si ripresentano questi tamarri, stiamo vedendo di portare Mijares. Sì,
perché ci canti quella del “soldado de amor”. E per essere in tono, che venga
anche Arjona e irrompa con quella del “soldado raso”. Sì, sarà una figata con
tutti quanti che marciano al ritmo, mano nella mano con le guardie
presidenziali e i poliziotti. Magari meglio di notte, tiriamo fuori gli
accendini e muoviamo le braccia al ritmo di “soldado del amor, en esta guerra entre
tú y yo…” e con Arjona “voy marcando el paso, mientras sobrevivo. No tengo
coraje, me ganó el olvido”. Sì, stiamo già vedendo perché, alla prossima,
Eugenio Derbez sia l’oratore principale. Sarà geniale! Infiltreremo Televisa e
la faremo passare dalla nostra parte! Eh? No, ormai non chiederemo che rinunci
Peña… Ma perché ormai è passata la scadenza, ora dobbiamo prepararci per il
2018. Eh? Che importano le domande originali di quelli di là. Certo, poveretti,
ma perciò devono accettare la direzione di chi ne sa, cioè noi. Guarda, ciò di
cui ha bisogno questo paese non è una rivoluzione, ma un buon “Feat.” di massa
ossia noi nel ruolo principale e unico, e la plebe nei cori o come attrezzisti,
sì, la storia che vale la pena è un “selfie” con noi in primo piano e le masse
dietro e sotto, incipriate, che ci acclamano, e… sì, ho già pronte le parole
che dirò quando mi supplicherete di salire sul palco… Ehi! Aspetta! Perché ti
neghi al dialogo? Fottuto anarco! Mettiti un cappuccio, va’, che si vede da
lontano che sei un tamarro! Ah, ecco perché questo paese non va mai avanti! Ma
gli ho fatto la foto, ora la carico sul mio feis perché prendano nota di un
altro infiltrato, o era infiltrata? Va be’, non ci ho fatto caso, è che vestiva
proprio da robboso, proprio da cliché. Che pena Messico…”
Altre linee di
indagine:
1.-
Le tre parole che sono valse ad Abarca a stare sotto protezione nel
penitenziario dell’Altiplano, e la detenzione alla sua lady di ferro regione 4,
entrambi fuori dalla portata dei media: “sono stati i federali“. Dopo di che, non gli hanno
più chiesto nulla. Non perché non volessero sapere, ma perché lo sapevano già.
2.- Ora che là sopra
stanno seriamente contemplando la possibilità del “sollievo” a Los Pinos (da
cui la subitanea eloquenza dei titolari di marina ed esercito, e le caotiche
dissociazioni del potere mediatico), chi prima del 1 dicembre chiedeva la
rinuncia di Peña Nieto, ora tirerà fuori un documento che si chiami “La Difesa
delle Istituzioni e il Rigetto della Rinuncia Presidenziale. Versione giugno
1996, aggiornata al 2014-2015″?
Segnalare e fare i
delatori sul serio:
1.- L’analisi che
assegna la responsabilità della repressione alle azioni dirette violente di
gruppi “anarchici” dovrebbe essere conseguente e, nel caso del Messico, dare la
responsabilità della repressione anche a chi ha svelato lo scandalo della
cosiddetta “casa bianca” provocando la stizza della coppia presidenziale (che
poi però ha compensato assumendo le funzioni di Pubblico Ministero). Ma no, la
ripartizione delle colpe è anch’essa di classe. E sta a quelli di buone maniere
inalberare la campagna di criminalizzazione dei giovani poveri (secondo la
sequenza di equivalenze:
infiltrato=incappucciato=anarchico=giovane=povero),
che è la stessa che, a suo tempo, ha messo in moto il lungo incubo chiamato ora
“Ayotzinapa”.
2.- Secondo le ultime
cose che abbiamo visto, letto e ascoltato, gli infiltrati conclamati non si
coprono il volto. Infiltrati dal governo di Città del Messico (“la sinistra
istituzionale come alternativa”) e dai loro impiegati, sono stati filmati
mentre aggredivano manifestanti, facevano detenzioni arbitrarie e “seminavano”
cappucci tra gli aggrediti.
Orbene, seguendo il
metodo d’analisi consigliato dall'isteria e la logica impeccabile degli sbirri
del pensiero e del ben vestire, c’è da attendersi che tutte le persone che non
sfilino incappucciate siano potenziali “infiltrati” e debbano essere segnalate,
detenute e messe a disposizione dell’autorità “perché lascino manifestare gli
incappucciati secondo le loro richieste”. Così che ora, quando nei cortei
vedrete qualcuno di non incappucciato, dovreste additarlo ed espellerlo al coro
di “no alla violenza, no alla violenza”.
3.- Un po’ di
memoria: Quelli che ora criticano le azioni “violente” non sono contro il
patrimonio “storico”, commerciale e finanziario nelle manifestazioni per
Ayotzinapa nel DF, gli stessi che bloccarono banche, centri commerciali, occuparono
“storicamente a Reforma nel 2006 (In favore al mancato presidente López
Obrador, N.d.T.) e aggredirono le impiegate dall'uniforme arancione per il
fatto di essere “complici” della frode elettorale del 2012? Ah, sì, è che è più
grave una frode elettorale che 43 indigeni desaparecidos e decine di migliaia
di persone nella stessa situazione.
4.- Il clamore
dell’isterica campagna ha avuto eco e mietuto i suoi primi trionfi: alcuni
furbacchioni sono detenuti in una casetta, lontani dalla marcia, mentre raccoglievano
fondi di sostegno a proprio beneficio; vengono presi ed esibiti trionfalmente
nella “presa di Città del Messico” il 6 dicembre 2014. Poi, per la magia dei
media, si convertono in “infiltrati” nel corteo, e si segnala che tra di loro
ci sono almeno un poliziotto e un militare. Del presunto poliziotto, niente. Il
presunto militare: ha 17 anni e “ha confessato” che tra un mese sarebbe entrato nell'esercito. Nessuno si è preso il disturbo di ricordare che tutti i giovani
messicani, al compimento dei 18 anni, devono assolvere al Servizio Militare
Nazionale. In ogni caso, l’azione è stata applaudita. Si spera che l’isteria
come metodo di analisi e linea di condotta si esaurirà quando ci sarà un
linciaggio. Allora tutti si volgeranno altrove.
Il temuto svolgimento
in 6 tempi di una rinuncia (completare i nomi):
1.- Un partito in
crisi terminale. Card_ rinuncia al partito: “continuerò
come un cittadino di più”, dichiara.
2.- Dinanzi alla
crisi della politica partitica, inizia a essere incoraggiata l’ “opzione
cittadina”. Sulla stampa e nei circoli prog si inizia a parlare del sorgere del
“Card_ismo sociale”.
3.- Cresce il
movimento e si impone a tutti l’unità incondizionata attorno al “cittadino”
Card_.
4.- Lop_ si sottrae.
5.- Nuova frode
elettorale. Un gran concentramento nello Zócalo capitolino. Tra i manifestanti
si possono apprezzare cartelli che riproducono le ultime caricature dei
caricaturisti prog: “Quelli
di Ayotzinapa sono un’invenzione di Salinas” è il
comune denominatore. Giunto il suo turno alla tribuna, Ele_ menziona Lop_.
Bordata di fischi dalle masse. Il giorno dopo Ele_ chiarisce di aver menzionato
Lop_ senza malizia e che, sul piano personale, lo apprezza molto.
6.- Dopo il presidio
di rigore, Card_ annuncia che bisogna continuare la lotta… creando un nuovo
partito che contenda alle prossime elezioni. No, se vince non sarebbe andata
gente di Epi alla comunicazione sociale, né lo scemo del villaggio a fare il
portavoce presidenziale. O sì? Gulp.
La storia che non
conta per gli happening progressisti:
Sì, c’è chi ricorda
che il 6 dicembre di quest’anno si sono compiuti 100 anni dall'entrata degli
eserciti villisti e zapatisti a Città del Messico. Noi, in cambio, ricordiamo
lo zapatista gesto negativo e di disprezzo di fronte al trono presidenziale: “quando qualcuno di buono si
siede qui, diventa cattivo; quando è cattivo, diventa peggiore”,
dicono che disse il capo dell’Esercito Liberatore del Sud. E se non lo disse,
di sicuro lo pensò.
Consigli non
richiesti e che, ovviamente, nessuno seguirà:
1.- Basta cercare il
vostro Sinsajo. Lasciate
il treno della disillusione, lì la prossima stazione è “apatia e cinismo”. La
vostra destinazione finale: “la sconfitta”.
2.- Non fissatevi con
i trending topic o come si dice. Lo stesso con i tweet della gente “famosa”, dei “leader
d’opinione” o della gente che si presume “intelligente”. Cercate i tweet della
gente comune. Lì troverete veri gioielli letterari in miniatura e pensieri di
quelli che valgono la pena, cioè che obbligano a pensare. Lì non c’è tweet che sia piccolo.
I trending topic (i “temi del momento”) servono solo
come specchio deformante e sono ridicoli come un salone di masturbazione di
massa: alla fine terminano tutti insoddisfatti e abbattuti. E viene un momento
nel quale i tweet diventano un dialogo da film porno: “oh, sì, sì,così, non ti
fermare!”. O è un gran merito battere l’hashtag #WeLoveYourNewHairJustin
o quello di #Sammy?
3.- Dar valore a una
persona per il numero di seguaci e non per i suoi pensieri e azioni è ozioso e
inutile.
Se la merda avesse
feisbuc, avrebbe “likes” (e “licks”) di
centinaia di migliaia di mosche.
4.- In difesa delle
reti sociali, o meglio in difesa dell’uso delle reti sociali, pensiamo che
siano comunque un luogo di condivisione se si sceglie dove dirigere lo sguardo
e l’ascolto.
Ci sono grandi
scrittrici e scrittori, pensatrici e pensatori, analisti e critici, lottatori
sociali che non appaiono né appariranno sui grandi mezzi di comunicazione
prezzolati. E molti di essi, non perché non li si “scopra”, ma perché hanno
scelto un altro canale per esprimersi. Questo non va solo salutato con favore,
va alimentato.
5.- Ma, per grandi
che siano le possibilità delle reti sociali, lo sono anche i loro limiti. Oltre all'ovvio, cioè che non si possono twittare silenzi e sguardi, anche se è
gigantesco l’universo del loro daffare, continua a essere più grande l’universo
che resta escluso.
Le reti sociali non
servono a soppiantare la comunicazione basica (guardare, parlare, ascoltare,
toccare, odorare, gustare), ma a potenziarla.
“Se non è su twitter non esiste”, imita la caduca sentenza
“se non sei sui media non esisti”.
Anche se non lo
crederete, ci sono molti mondi fuori dallo spazio cibernetico. E vale la pena
di unirsi a loro.
Alla fine ci
ritroviamo sempre qui* (*Il titolo sarebbe: “Ahí nos estamos vimos viendo”,
ripresa testuale di un passo del comunicato del gennaio 2013 scritto da Marcos
come poscritto alla quinta parte di “Loro e noi”, N.d.T.):
Sì, ormai sappiamo
che siamo scomodi per gli uni e gli altri. Per alcuni siamo radicali, per altri
siamo riformisti.
Tutte e tutti, sopra
e sotto, dovrete ingoiare questo:
Qua sotto, ogni volta siamo di più a
impegnarci a lottare senza supplicare perdono per essere ciò che siamo e senza
chiedere il permesso di esserlo.
Ecco.
Dalle
montagne del Sudest Messicano.
Subcomandante
Insurgente Moisés.
Messico, 12 dicembre 2014. Nell'anno 20 dall'inizio della guerra contro
l’oblio.
Nota: Monitoraggio
dei media prezzolati, dei media liberi, autonomi, indipendenti, alternativi o
come si chiamino, e di reti sociali, così come l’apporto disinteressato di
sarcasmo, divano psicanalitico gratuito, tips
di ricerca, consigli inutili, camicie di forza di 140 caratteri in
alcune parti e altri effetti speciali: contributo de “Los Tercios Compas” che,
come dice il nome, non sono media, né liberi, né autonomi, né alternativi, ma
sono compagni. Copyrights annullati
a causa dell’uso di cappuccio. Si può citare, recitare e riciclare indicando la
fonte come “infiltrata”. Si autorizza la riproduzione totale o parziale di
fronte alla torma con uniforme e senza uniforme, sia che si trovi dietro
un’arma, uno scudo, una camera, un microfono, uno smartphone, un tablet, o
nello spazio cibernetico.
In fede: “Winter is coming, perciò non dimenticate le coperte” (uno degli Stark nella prossima stagione di Game of Thrones. Anticipazione a cura de “Los Tercios Compas”. Nah, non c’è di che).
Traduzione
a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano