di Fabrizio Lorusso
Anche se il Messico sembra essere in vacanza, non è così. Lontano dai grandi centri turistici all inclusive e dalla riviera maya, il paese non smette di protestare e di mostrare al mondo la sua vera faccia. Quella degli oltre 130 mila morti in 8 anni e della guerra alle droghe e ai narcos che s’è trasformata in una specie di guerra civile sanguinaria e in un conflitto contro la stessa società. Quella dei 27 mila desaparecidos che ormai superano le cifre delle sparizioni forzate dell’ultima dittatura argentina. Si moltiplicano e continuano le iniziative per i 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, un caso che ha fatto e continua a fare il giro del mondo per la sua crudeltà ed efferatezza, rese ancor più drammatiche dalla certezza che si tratti di un crimine di stato e non di un conflitto tra bande o un problema “politico” di indole locale e circoscritta.
Dall’inizio di ottobre gli eserciti guerriglieri dello stato messicano del Guerrero, in primo luogo l’EPR e l’ERPI, hanno emesso più di dieci comunicati che denunciano le implicazioni dell’esercito nella sparizione dei 43 studenti normalisti a Iguala lo scorso 26 settembre. I loro appelli sono passati quasi inosservati, anche se nelle scorse settimane sono state numerose le dichiarazioni dei genitori degli studenti e dei membri della UPOEG (Unione Popoli Originari Stato del Guerrero), di cui fanno parte anche alcuni familiari dei normalisti, che hanno indicato i militari, specialmente nel 27esimo battaglione che si trova a solo un chilometro e mezzo da dove sono stati sequestrati i ragazzi della scuola di Ayotzinapa, come possibili responsabili. In uno striscione o narcomanta, un metodo di comunicazione sui generis usato dai narcos o da altri ignoti “interlocutori” per mandare messaggi al governo, ai gruppi rivali o all’opinione pubblica, il 31 di ottobre erano stati denunciati due ufficiali di quel battaglione: si facevano addirittura i nomi del tenente Barbosa e del capitano Crespo. Firmato: il capo Gil, del cartello dei Guerreros Unidos.
All’inizio di dicembre i genitori dei ragazzi di Ayotzinapa hanno chiesto esplicitamente alle autorità e alla Procura Generale della Repubblica di investigare la presunta partecipazione delle forze armate nella strage e nella sparizione dei 43 ragazzi, il che significa rastrellare le caserme in cerca di prove e rompere il muro d’inaccessibilità e protezione di cui da sempre godono i militari, soprattutto nel Guerrero. Storicamente, infatti, hanno rappresentato “il potere forte” nelle regioni in cui operavano e operano i gruppi guerriglieri e sono stati i fautori e gli autori della politica repressiva della guerra sucia, la guerra sporca, che consisteva nella sistematica desaparicion degli avversari politici, nell’intimidazione delle basi d’appoggio e delle comunità indigene e contadine, nel controllo e occupazione militare dei territori e nella copertura delle autorità locali, come le polizie municipali e statali, che potevano agire indisturbate contro la popolazione. Questa situazione pare non essere cambiata anche se la guerra fredda è finita da un pezzo.
Frasi del ministro della marina
Il ministro della Marina messicana, Vidal Francisco Soberón, ha pronunciato una serie di frasi in difesa del governo e, allo stesso tempo, ha contribuito a sviare l’attenzione e a criminalizzare la protesta sociale: “Mi fa arrabbiare ancora di più che manipolino i genitori delle vittime, cioè che manipolino quelle persone, perché è questo ciò che stanno facendo, li stanno manipolando anche per non fargli riconoscere il governo o per continuare a far crescere questa cosa [le proteste]. E mi viene più rabbia pensando che questa gente che manipola i genitori non è interessata a loro, né ai ragazzi, non gli interessa, gli importa solamente di raggiungere i propri obiettivi, del gruppo o del partito”. Le dichiarazioni rilasciate in novembre dal presidente Peña, che ha parlato di “tentativi di destabilizzazione”, ricordando i discorsi del repressore Diaz Ordaz nel 1968, erano in assonanza perfetta con le frasi del ministro.
“Credo che sia perfettamente chiaro: sì ci sono dei gruppi e, nello specifico, gruppi e persone che sono quelli che si fanno vedere sempre affianco a loro, credo che non c’è bisogno di dirti esattamente chi sono, li vediamo in TV e c’è il loro nome lì, e questo gruppo che sta dappertutto, chiudendo strade e tutto il resto, cerca un altro tipo di cose, no? E sui partiti, non ho fatto riferimento a nessun partito…”, ha precisato Vidal, sostenendo l’idea, comune e per niente nuova, spesso usata per screditare i movimenti sociali, che coloro che protestano lo fanno sotto il controllo o la manipolazione di qualcun altro che utilizza il loro dolore per altri fini. Ecco un’altra maniera di distrarre l’attenzione dal problema: anche se decine di persone sono finite in prigione, in attesa di un processo, non ci sono ancora dei responsabili certi per la strage di Iguala e le desapariciones, e soprattutto le versioni della procura tendono a deviare l’attenzione e lo sguardo dei media dalla ricerca di altre piste, di altre possibili spiegazioni, che possono coinvolgere appieno i militari, la polizia federale e altri livello di governo che la procura cerca di proteggere.
Una delle madri ha risposto al ministro. “E’ una persona insensibile, generale di alto rango che ci si deve prendere cura di noi e ora ci sta chiedendo di dimenticare il caso. A questa persona non augurerei mai di avere un figlio desaparecido, mai, nemmeno per un minuto o un secondo, perché in quel caso saprà cosa si sente, qui nessuno è manipolato, io non avrò pace finché non rivedrò i miei due ragazzi a casa loro, insieme al loro cugino, dato che tutti e tre sono spariti, tutti e tre volevano studiate e i tre sono entrati a scuola insieme. L’unica cosa che ci sta manipolando è la sete di giustizia, il dolore”. La donna ha anche chiesto con forza che sia indagato il 27esimo battaglione che “non ha fatto niente dopo gli attacchi e nemmeno hanno aiutato a cercarli dopo la loro scomparsa”. Murillo Karam aveva detto “meno male che l’esercito non è intervenuto quella notte perché lo avrebbe fatto dal lato della polizia” e ora risulta che forse è intervenuto, e proprio dal lato della polizia.
In molte occasioni le forze armate hanno operato come agente antinsurrezionale con la “scusa” della lotta contro il comunismo o, attualmente, contro le droghe e i narcos. Basta ricordare la mattanza di contadini e presunti guerriglieri condotta dall’esercito aEl Charco nel 1998, quando Angel Aguirre, governatore del Guerrero che si è da poco dimesso in seguito ai fatti di Iguala, esercitava come governatore ad interim. E’ un dato di fatto che la militarizzazione promossa dall’ex presidente Felipe Calderón (2006-2012) e mantenuta da Peña ha accresciuto il protagonismo, il potere, le risorse e le competenze d’azione della marina e dell’esercito e ha peggiorato la di per sé precaria situazione dei diritti umani nel paese, come lo dimostrano i casi emblematici di Ernestina Ascencio, anziana indigena della città di Zongolica, probabilmente violentata e uccisa nel 2007 da un gruppo di soldati di cui non sono state chiarite le responsabilità, e di Tlatlaya, località nei dintorni di Città del Messico in cui il 30 giugno 2014 i militari hanno ammazzato 22 persone.
Di fatto, proprio nel Guerrero, il caso dell’attivista Rosendo Radilla Pacheco, arrestato il 25 agosto 1974 e “desaparecido” dopo essere stato condotto nella caserma di Atoyac, fu la causa della prima storica condanna della Corte Interamericana dei Diritti Umani contro lo stato messicano nel 2009. Il 28 novembre, in un’intervista alla rivista Variopinto (Link), iel Generale José Francisco Gallardo ha parlato di manovre dell’esercito e del suo coinvolgimento nella sparizione dei 43 normalisti, visto che “tutto questo show – prendere il sindaco, trovare un colpevole unico – è per non far puntare lo sguardo sull’esercito”, ha spiegato. E ha denunciato anche la crescente militarizzazione, in termini di formazione e azioni, dei corpi di polizia, tanto locali come statali e federali.
Nel sondaggio condotto recentemente dall’ex direttore del CISEN (Centro d’Investigazioni e Sicurezza Nazionale) Guillermo Valdés, il 25% degli intervistati attribuiscono la responsabilità della mattanza e per i desaparecidos di Iguala all’esercito ma anche a individui (ex governatore Aguirre, il presidente Peña, l’ex sindaco di Iguala Abarca e sua moglie Maria Pineda), a partiti politici (in primis il PRD, di centrosinistra, ma anche gli altri), al crimine organizzato (Guerreros Unidos) e alle forze di polizia. Questo mostra che l’idea di una collusione a più livelli tra varie istituzioni ha fatto breccia nella popolazione. Già nel 2011 HRW (Human Rights Watch) denunció la desaparición di sei persone in un club notturno di Iguala, alle 22:30 del primo marzo 2010: nonostante le registrazioni e le testimonianze dirette che accusavano l’esercito le ricerche della procura durarono poco e il caso passò nelle mani dei tribunali militari che lo insabbiarono.
Controllo sociale, protezione dell’economia e gli investimenti
Un paio di settimane fa Obama ha dichiarato di voler aiutare il Messico a portare a termine le ricerche sul caso Ayotzinapa. Il business della guerra è uno dei più redditizi per il “gran vicino” statunitense come lo dimostra l’implementazione del Plan Merida e l’introduzione in massa di armi in Messico, in modo lecito e non. Non c’è dubbio che tra i vari beneficiari della situazione attuale di guerra di bassa intensità e stato d’assedio in molte zone, dal Michoacan al Tamaulipas, al Chiapas e al Guerrero, ci siano anche i settori castrensi e non importa molto se le operazioni di controllo sociale si devono giustificare come operazioni contro il narcotraffico o presentare come piani di sicurezza per la protezione del turismo e dell’infrastruttura economica. L’importante è garantire la “pace” alle multinazionali minerarie. Di fatto, dopo l’estate, il presidente aveva annunciato proprio la creazione della gendarmeria nazionale per svolgere queste funzioni, per proteggere gli investimenti e i trasporti. L’idea lanciata in dicembre dal presidente per cui si dovrebbe creare un corridoio di sviluppo e delle zone economiche speciali per far crescere il Sud del Messico è piuttosto vecchia e riprende il Piano Puebla Panama dell’epoca di Vicente Fox (2000-2006), limitandolo solo al Messico meridionale, ora “protetto” da migliaia di poliziotti, gendarmi e militari. In questo contesto di conflitto sociale e per le risorse la presenza militare acquista nuove ragioni per essere rinforzata.
Il parlamento unito, tranne il PRD, ha approvato modifiche alla costituzione per permettere agli stati di legiferare sulla “libertà di movimento” delle persone per garantire questo diritto, il che significa che, sottilmente, i parlamentari stanno autorizzando azioni repressive delle polizie locali, statali e federale e dei governi degli stati e dei comuni contro chi scende in piazza a manifestare e, così facendo, impedisce a terzi di godere del “diritto alla libera circolazione”. E’ una violazione palese della libertà d’espressione e di altri articoli della stesa costituzione messicana, ma poco importa. Il segnale è chiaro.
Il governatore di Sinaloa, Mario Lopez, l’ha chiarito senza mezzi in termini in una scellerata dichiarazione in cui ha minacciato di far arrestare chiunque protesti per strade. Ma non c’è bisogno di manifestare per essere aggrediti, basta anche solo organizzare un concerto. E’ successo nella capitale del Guerrero, Chilpancingo, lo scorso 14 dicembre, alle cinque del mattino, quando militanti e cittadini si apprestavano a montare un palco per un concerto in favore dei genitori e del movimento per Ayotzinapa nella piazza centrale e sono stati attaccati da un gruppo di federali ubriachi. Un giornalista di Radio Regeneracion è finito all’ospedale e rischia di perdere un braccio. Il saldo è di 11 feriti, due gravi, e il concerto è stato sospeso. Nonostante la repressione, le iniziative continuano in tutto il mondo e in Messico. Il 17 dicembre c’è stata una spettacolare camminata, organizzata dagli abitanti della zona e dal collettivo dei Pedregales de Santa Domingo, nel quartiere popolare noto anche come SantOcho o Sant8, nella periferia sud della capitale. Qualche migliaio di persone ha percorso le strade delbarrio chiedendo la “restituzione in vita” degli studenti. Il corteo s’è ingrandito via via che si faceva sera e i lavoratori del rione tornavano a casa. Al comizio finale hanno parlato alcuni genitori degli studenti e rappresentanti della società civile del quartiere: il parroco, i commercianti, gli studenti della UNAM (Univ. Nacional Autonoma de Mexico) e i membri dei comitati dei Pedregales.
Ad ogni modo, così come l’ha espresso l’avvocato dei genitori di Ayotzinapa, Vidulfo Rosales, la paura dei movimenti sociali e, in generale, delle organizzazioni della società civile e per la difesa dei diritti umani è che, una volta che si saranno spenti i riflettori sul caso Ayotzinapa, non solo tutto torni come prima, ma che l’attacco governativo, mediatico e poliziesco contro chi protesta e manifesta diventi sempre più dura, esplicita e decisa, coi soliti metodi delle desapariciones forzadas e della fabbricazione di colpevoli. Per ora sono stati sventati o denunciati vari casi di abusi della polizia nei cortei e, in generale, contro gli attivisti e gli universitari, ma è da vedere se la “resistenza” potrà continuare efficacemente. Le vacanze di Natale, in questo senso, sono un toccasana per il governo che riesce a respirare e a distrarre l’attenzione soprattutto della classe media, proprio in un periodo in cui il movimento studentesco è più debole per la chiusura delle scuole a tutti i livelli. Intanto la capitale del Guerrero e Acapulco sono state invase da 2000 e 1500 poliziotti federali rispettivamente per “garantire sicurezza” ai turisti, secondo la versione ufficiale. In realtà si tratta d’indebolire la forte risposta sociale per la mattanza di Iguala e il sostegno crescente che i genitori di Ayotzinapa e il movimento stanno acquisendo all’estero.
Ombre e nuove rivelazioni
Oltre ai vari dubbi sollevati sulla versione ufficiale della notte di Iguala del procuratore, Jesus Murillo Karam, ci sono anche due reportage, dei giornalisti Anabel Hernandez e Steven Fisher sul settimanale Proceso, che propongono altre piste credibili. In sintesi i due reporter mostrano e intrecciano prove, nuove testimonianze, foto, video e dichiarazioni registrate dalla stessa procura secondo le quali si evidenziano le responsabilità della polizia federale, che avrebbe addirittura partecipato direttamente, e persino dell’esercito nella strage degli studenti, negli attacchi subiti per oltre tre ore nella notte del 26 e nella sparizione di 43 di loro. Inoltre Proceso denuncia le torture, risultanti da atti della procura e da dichiarazioni degli imputati, sofferte dai detenuti, accusati di aver ucciso i 43 studenti e di appartenere al cartello dei Guerreros Unidos, arrestati in ottobre e novembre, il che ne inficerebbe la credibilità e attendibilità come testimoni o presunti colpevoli. Infine Hernandez e Fisher denunciano il fatto che il procuratore non abbia ancora aperto delle indagini sulle forze armate e sul 27esimo battaglione a Iguala e che si difenda coprendo le responsabilità di esercito e federali per sostenere l’ipotesi che si tratti di un “caso locale”, circoscritto.
C’erano molte perplessità sulla storia ufficiale già prima della pubblicazione dei due reportage (il 21 e 14 dicembre): le piogge che sarebbero cadute su Iguala nella notte del 26 fanno pensare che sia stato impossibile brucare 43 corpi in quelle condizioni; ci sono segnalazioni di incendi in zone vicine ma non nella discarica di Cocula, dove i presunti narcos e il procuratore Murillo dicono che sarebbero stati cremati i ragazzi; l’atteggiamento ostile dei soldati nella notte del 26, raccontato dai sopravvissuti, e il loro non-intervento per evitare quanto stava accadendo; stesso discorso per la polizia federale, che seguiva le mosse degli studenti già dal pomeriggio ed era informata via radio degli spostamenti dei bus su cui viaggiavano; e infine la dichiarazione dei periti forensi argentini che hanno confermato l’identificazione dei resti di Alexander Mora, uno degli studenti scomparsi, che è arrivata un paio di settimane fa da un laboratorio a Innsbruck, ma hanno anche sollevato dubbi perché non è stato possibile certificare come e quando esattamente le borse coi resti calcinati e le ceneri sono state ritrovate. Si sospetta che siano stati gli uomini della procura a portare le borse e i resti a Cocula, prelevandoli da un altro luogo sconosciuto.
L’11 dicembre alcuni esperti della Universidad Nacional Autonoma de Mexico e della Univ. Autonoma Metropolitana (UAM) hanno smentito la versione della procura sostenendo che “è impossibile che i corpi siano stati bruciati a Cocula e l’autorità adesso he dei guai seri perché se non son stati bruciati a Cocula, allora dove? E chi è stato?”, ha spiegato Jorge Montemayor, ricercatore dell’Istituto di Fisica della UNAM. Secondo gli studiosi per incenerire 43 corpi, ci vogliono 33 tonnellate di tronchi da quattro pollici di diametro, equivalenti a due camion pieni di legname e 53 kg di gas per ogni corpo. Se, come sostengono i narcos rei confessi e la procura, il rogo è stato alimentato con delle gomme, secondo gli scienziati delle università ci sarebbero volute 995 gomme di automobili per farlo, per cui stimano che l’ipotesi ufficiale non “ha nessuna base nei fatti fisici o chimici naturali”. Nel mese di luglio 2013 il portale dello stato del Guerrero ha riportato la sparizione forzata di 17 studenti a Cocula e, secondo alcuni testimoni, c’è stato il coinvolgimento diretto della polizia municipale. Anche in questo caso l’esercito non è intervenuto.
Il 22 dicembre il National Security Archive degli Stati Uniti ha reso pubblici dei documenti della procura messicana secondo i quali almeno 17 poliziotti sarebbero stati coinvolti in una delle peggiori mattanze degli ultimi anni, quella di 193 migranti centroamericani a San Fernando, nello stato orientale del Tamaulipas, avvenuta probabilmente nel marzo 2011. Già nell’agosto 2010 altri 72 migranti furono uccisi nella stessa località, in quella che è tristemente nota come la “prima” mattanza di San Fernando. In entrambi i casi la colpa della strage venne attribuita ai membri del cartello degli Zetas, i narcos che dominano le regioni centro-orientali del paese e la zona del Golfo del Messico. Oggi la versione ufficiale viene messa in discussione ed emergono indizi sul coinvolgimento della polizia, come a Iguala il settembre scorso.
Tutto ciò apre spazi per interpretazioni diverse che non possono escludere, come fa la procura, il coinvolgimento di altri attori nella mattanza, tra cui anche il battaglione 27 dell’esercito che per anni ha operato come se niente fosse in una zona piena di cadaveri, fosse clandestine, coltivatori di oppio e marijuana e narcotrafficanti in guerra. “Ricordate che durante la guerra sporca se c’era qualcuno specializzato a far sparire le persone, era proprio l’esercito”, ha detto Omar Garcia, studente della normale di Ayotzinapa e rappresentante del comitato degli studenti della scuola. Indizi e denunce per aprire indagini sull’esercito e la polizia federale ce ne sono, ma nulla si muove e Murillo dice che sarebbe assurdo procedere.
Francisco Javier García, sindaco di Chilapa, Guerrero, ha dichiarato due settimane fa che malgrado la forte presenza delle forze federali, il crimine organizzato continuano ad agire indisturbato nel territorio del comune, all’ombra dell’esercito. Ed è solo un altro esempio, recente. Anche il sindaco di Iguala, Abarca, era un “esempio” di connivenza istituzionale con la criminalità e non è stato fermato. Nemmeno sua moglie, già segnalata alle autorità e sorella di vari narcotrafficanti, è stata fermata in anticipo. Erano invece amici dei comandanti del distretto militare e del 27esimo battaglione che partecipavano a tanti loro eventi.
Dal Chiapas zapatista: Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni
In questo dicembre, per le “vacanze” di Natale, l’ombra di Ayotzinapa aleggerà sulla classe politica e dirigente messicana, in attesa di capire se nel 2015 si privilegeranno le soluzioni fast track autoritarie con “mano dura” e i beceri tentativi di chiudere il caso e superarlo rapidamente, come successo finora, o le opzioni di riforma profonda del sistema e di cambiamento che propongono la società, raccolta intorno ai familiari delle vittime, e i movimenti. Dal Chiapas gli zapatisti e il CNI (Consiglio Nazionale Indigeno) hanno organizzato il primo Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni contro il Capitalismo e hanno deciso di cedere ai genitori di Ayotzinapa i loro spazi durante l’evento che è itinerante e dura dal 20 dicembre al 3 gennaio. Le carovane sono già partite e lalucha sigue. Il 31 dicembre e 1 gennaio l’evento sarà nel caracol di Oventik e poi a San Cristobal de las Casas per la chiusura. Ecco la video-notizia dell’inaugurazione del Festival nei dintorni di Città del Messico.