Sulla guerra della Turchia contro le forze progressiste in Siria e la necessità di solidarietà internazionale.
Un colloquio con Feleknas Uca. Feleknas Uca è deputata del Halklarin Demokratik Partisi (Partito Democratico dei Popoli, HDP). Il suo distretto elettorale è la città di Amed (Diyarbakir). Contro di lei e altri deputati attualmente è In corso un procedimento di revoca dell’immunità per presunta propaganda per il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) vietato.
Appena una settimana fa i militari turchi e le truppe di combattimento islamiste sue alleate sono entrate in Siria. L’operazione »Scudo dell’Eufrate« avrebbe come obiettivo di cacciare “gruppi terroristici« e di fermare »una nuova ondata di profughi” hanno dichiarato i media statali. Come valuta il modo di procedere dello Stato turco negli ultimi giorni?
Il governo turco dice che nella Siria del nord combatterà IS. Ma perché ha aspettato tre anni a farlo? I curdi in questo periodo hanno combattuto contro IS con le armi più semplici. Hanno liberato migliaia di civili e molte e molti combattenti nel farlo hanno perso la vita. Solo quando dopo settimane di combattimenti a Kobane erano rimasti da liberare solo uno o due tratti di strada, l’attuale coalizione ha iniziato a procedere contro IS. Poi i combattenti delle FDS, della coalizione di forze curde e arabe, per 72 giorni hanno combattuto per Manbij e alla fine hanno liberato la città. Ora la Turchia entra a Jarablus e poche ore dopo ha in mano la città – senza avere combattuto affatto contro IS. Nella immagini e nei video nei Social Media si possono vedere le truppe che stanno dalla parte turca: alcuni portano T-Shirt nere con la scritta di IS, altri mostrano l’indice destro, il saluto jihadista. Questo insospettisce.
Perché la Turchia entra proprio adesso?
Chiaro è: IS non è l’obiettivo dell’ingresso. Manbij è stata liberata e le FDS si accingono a liberare il resto della regione da IS. Ora si procede contro questo. Con il suo ingresso la Turchia vuole impedire un’unione dei cantoni liberi di Afrin e Kobane. Quindi in primo luogo è la rivoluzione del Rojava che qui è sotto attacco. Perché i curdi nel frattempo sono considerati portatori di speranza del Medio Oriente la Turchia combatte il sistema confederale e democratico dei curdi in Siria. Con l’ingresso però si vuole distrarre anche da altri sviluppi politici. Tre ore prima dell’attentato contro un matrimonio curdo a Gaziantep il 20 agosto il PKK ha pubblicato in Turchia una dichiarazione sulla soluzione della questione curda. Una dichiarazione storica che doveva portare avanti il processo di pace. Anche in occasione dell’attentato di Ankara in ottobre prima c’era stata una dichiarazione della KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan), nella quale veniva prospettata una tregua. Se il governo turco volesse, potrebbe indurre una soluzione pacifica in Turchia. Ma di questo non si parla. Invece occupa un altro Paese. La Turchia quindi non vuole una soluzione, ma un inasprimento del conflitto. Purtroppo con questo ha successo: Non passa giorno in cui non perdono la vita delle persone.
Intorno al governo turco sembra crearsi una nuova intesa anticurda che va dal governo di Assad in Siria, passando per l’Iran fino alla Russia, ma comprende appunto anche gli USA e il governo tedesco. Che ruolo svolgono?
L’attacco lede la sovranità dello Stato siriano, ma gli Stati europei, la Russia, gli USA e la NATO tacciono in proposito. Oggi la Turchia può permettersi quasi tutto senza che le venga chiesto conto. Nel Parlamento turco il golpe militare non era all'ordine del giorno, come HDP non siamo stati messi a conoscenza. L’ingresso in Siria ha anche l’obiettivo di continuare a modificare la composizione demografica delle regioni curde e di disperdere la popolazione. Il governo turco ha imposto coprifuoco e assediato in modo mirato le città al confine con il Rojava – Silopi, Cizre, Nusaybin e altre – e costretto le persone del luogo alla fuga per distruggere i legami tra curdi sui due lati del confine. Questo modo di procedere, di disperdere i curdi nella regione, non è nuovo. Nel 1923 l’accordo di Losanna ha diviso il Kurdistan in quattro parti. I Paesi occidentali ne erano partecipi. Questi 100 anni dopo gli Stati occidentali e la Russia vogliono tracciare nuovo confini nel Vicino Oriente e dividere tra loro il territorio. Questo naturalmente ha anche motivi economici, Il Kurdistan è molto ricco di riserve di petrolio. Ma ci sono ancora altri nuovi indirizzi strategici che si vanno abbozzando. Secondo me ora la Turchia – al di fuori della NATO e dell’UE – svilupperà una nuova direzione politica con Assad e la Russia. Contemporaneamente vengono intensificati i contatti con il Qatar e l’Arabia Saudita, stati che hanno sostenuto IS, anche economicamente.
Il precedente alleato USA si è schierato dalla parte del governo turco e ha esortato le Unità di Difesa del Popolo curde a ritirarsi e con questo di lasciare nuovamente il territorio appena liberato. Come vede la situazione attuale per le forze nel Rojava?
Fino a una settimana fa i curdi erano eroi: sono gli unici che hanno combattuto in modo continuativo contro IS. Ora sono stati spinti all’angolo e devono ritirarsi oltre l’Eufrate. Questo non è accettabile. I curdi devono confrontarsi con questo rapidamente e trovare una nuova strategia.
La Turchia attacca il progetto Rojava e cresce anche il pericolo di nuovi interventi militari nell'entroterra turco. Come agisce lo Stato turco nel Kurdistan del nord, per esempio qui ad Amed, come si chiama in curdo la città di Diyarbakir?
A Sur, nel centro di Amed, sono finite le violenze militari, ma controlli di polizia, carri armati e ranger della polizia sono onnipresenti nelle strade. I coprifuoco attualmente non vengono proclamati ufficialmente, ma ancora non viene nessuno nelle parti distrutte della città. Quasi tutti gli accessi sono sbarrati da muri di cemento.
Anche altri ambiti della vita sociale sono limitati. Sospettati attualmente per via dello stato di emergenza possono essere fermati senza accusa fino a 30 giorni. Il 16 agosto Özgür Gündem, un quotidiano curdo, è stato vietato – per la 51° volta nella sua storia. Anche l’unico quotidiano in lingua curda Azadiya Welat ora viene colpito dalla repressione: Una perquisizione negli uffici di Diyarbakir si è conclusa con il fatto che la polizia ha messo in carcerazione preventiva 27 persone. Alcuni giorni fa ad Amed abbiamo fatto una conferenza stampa pubblica sulla situazione sanitaria dei profughi. A loro negli ospedali turchi vengono in parte rifiutati trattamenti salvavita perché preferiscono le tendopoli amministrate dai curdi ai campi profughi statali. Per via dello stato di emergenza la conferenza stampa ha potuto svolgersi solo in un luogo chiuso. Davanti all’edificio nel quale si svolgeva l’appuntamento, non erano posizionate solo centinaia di poliziotti, ma anche idranti. Le repressioni ad Amed sono in linea con le violenze contro l’HDP e i suoi iscritti, la revoca dell’immunità dei parlamentari, gli arresti di giornalisti e accademici che si pronunciano per la pace e così via. L’attuale repressione ora deve distruggere il resto di opinione pubblica, mettere paura alla gente e impedire che si sollevi. Ma è anche segno del fatto che le strutture democratiche nel Rojava mettono la Turchia sotto pressione. Finora ogni volta che i curdi mettono a segno un colpo contro IS la repressione da parte turca aumenta.
Cosa può fare la sinistra europea?
La domanda che devono porsi le forze di sinistra è semplice: da che parte sto, cosa sostengo? Gli Stati europei fino ad ora hanno piantato in asso la gente del Rojava, in particolare nella battaglia per Kobane. Sono stata a Kobane solo poco fa e ho visto con i miei occhi come la Turchia cerca di impedire la ricostruzione. È stata distrutta un’intera città e ora non si lasciano entrare gli aiuti: niente materiali per costruzioni, niente generi di aiuto. Alla gente di Kobane la Turchia nega gli aiuti medici, mentre negli ospedali statali – a Reyhanli, Sanliurfa o Gaziantep – vengono curati miliziani feriti di IS. Ma se si sparerà sugli insediamenti nel Rojava, allora i curdi si difenderanno. L’attacco alla rivoluzione del Rojava è contro tutti i curdi in tutto il mondo, anche contro quelli in Germania. Nessuno di loro starà a guardare in silenzio. La sinistra europea deve prefiggersi il compito di posizionarsi con più forza contro il regime di Erdogan e di sostenere i curdi nella difesa delle loro strutture democratiche.
Intervista: Johanna Bröse e Hannah Schultes, Diyarbakir