Honduras laboratorio per la nuova politica nordamericana nel continente

di Giorgio Trucchi
Indipendentemente da ciò che accadrà durante le prossime  settimane e fino al 27 di gennaio, data in cui Porfirio Lobo  Sosa, vincitore delle discusse elezioni in Honduras,  prenderà possesso di una carica che fino a questo momento quasi  nessun paese riconosce, risulta sempre più evidente che quanto successo lo  scorso 28 giugno segnerà un significativo passo indietro per  il consolidamento della democrazia nel continente latinoamericano. 
 All'interno di questo contesto non si possono non prendere in  considerazione le evidenti responsabilità del nuovo governo nordamericano e  della sua offensiva per riposizionarsi all'interno del continente. 
Con il colpo di Stato in 
Honduras, i poteri  forti di questo paese che, insieme agli apparati repressivi e ai suoi  alleati internazionali controllano l'economia e la politica honduregna,  sono riusciti a frenare un processo emancipativo nel quale per la prima  volta nella storia dell'
Honduras,le forze  vive del paese stavano collaborando con il potere Esecutivo per immaginare e  programmare un futuro diverso, proiettandosi verso un progetto di Assemblea  Nazionale Costituente includente e marcatamente  popolare.
Parallelamente, l'
Honduras  aveva iniziato un percorso per rafforzare l'unità centroamericana e  latinoamericana, aderendo al Sistema d'integrazione centroamericano,  
Sica, a Petrocaribe e all'
Alba. 
Sicuramente troppo per le forze retrograde del paese e del  continente che vedevano minacciati i loro interessi storici e lo 
status  quo mantenuto per decadi grazie alla violenza e alla repressione di  apparati militari al servizio dei gruppi di potere e dei loro alleati  internazionali.
In questo contesto non devono quindi  sorprendere, ma sicuramente sì indignare, le recenti dichiarazioni della  titolare della politica estera del governo nordamericano, 
Hillary  Clinton, durante la sua relazione sui rapporti tra gli 
Stati  Uniti e l'
America Latina.
"Ci  preoccupano i leader che vengono eletti in modo libero e legittimo, ma che  poi iniziano a scalfire l'ordine costituzionale e democratico dopo essere  stato scelti, il settore privato, il diritto dei cittadini a vivere liberi  dalla persecuzione, repressione e di potere partecipare liberamente  all'interno delle loro società", ha detto 
Clinton volgendo il  dito accusatore contro il 
Venezuela, il  
Nicaragua e, pur senza menzionarli, tutti quei governi che non  seguono fedelmente i "consigli" di Washington.
Sarebbe  interessante potere domandare alla signora 
Clinton ed al  fiammante Premio Nobel per la Pace, che cosa si è voluto dire con queste parole.  O per caso non si sono accorti che in 
Honduras c'è stato  un colpo di Stato e che il Presidente legittimo di questo paese continua a  rimanere rinchiuso in un'ambasciata, subendo una costante  persecuzione?
"Ciò che mi preoccupa è capire come  riprendere la strada giusta (per chi?), in cui si riconosca che la democrazia  non è un tema di singoli leader, ma di esistenza di istituzioni forti", ha  sentenziato 
Clinton nel suo discorso.
Come  classificherebbe l'amministrazione 
Obama, che immediatamente ha  riconosciuto la legittimità di un processo elettorale spurio, senza osservatori,  svolto in un clima di repressione, paura e violenza, in un contesto di rottura  costituzionale della quale è stato parte lo stesso Tribunale supremo elettorale,  lo stato di terrore in cui vive buona parte della popolazione honduregna che non  riconosce l'attuale governo di fatto e che non ha voluto essere complice di  questa farsa elettorale, che aveva l'unico obiettivo di legittimare e  stabilizzare il colpo di Stato?
Sull'
Honduras, la titolare del Dipartimento di Stato  ha detto che il suo paese ha lavorato in funzione di "un avvicinamento  pragmatico, di principi, multilaterale, che si prefiggeva la ricostruzione della  democrazia". Di sicuro nessuno l'ha notato e l'unico risultato cercato ed  ottenuto con questo "avvicinamento pragmatico" è stato l'annichilamento  di tutti i processi di trasformazione avviati ed i risultati raggiunti  negli ultimi anni, posizionando strategicamente le proprie pedine, prima su  tutte il presidente del 
Costa Rica, 
Oscar  Arias, per prendere il controllo della situazione a scapito degli  sforzi fatti dal primo momento dalla 
Oea, 
Onu,  i paesi del 
Sica, dell'
Alba e dalle altre  istanze del continente latinoamericano.
Per completare la  farsa montata dal governo di fatto, ora gli 
Stati Uniti stanno  chiedendo che venga messo in pratica il fumoso Accordo Tegucigalpa-San José,  installando un governo di unità e riconciliazione che non prevede la presenza di  
Manuel Zelaya e nemmeno quella dei suoi ministri e  consulenti, la maggior parte dei quali costretti a vivere in esilio. Allo stesso  tempo, il governo di fatto di 
Roberto Micheletti ha inviato al  Congresso Nazionale un disegno di legge di amnistia, per "ripulire" l'immagine  di chi ha violato sistematicamente i diritti umani durante gli ultimi cinque  mesi.
Una nuova pantomima che si  prefigge l'obiettivo di legittimare in modo definitivo il colpo di  stato, e che pretende di creare un precedente che sia esempio per il resto del  continente. Un manuale del perfetto colpo di Stato stile "ventunesimo  secolo", che invia un messaggio molto chiaro su quale sarà la politica  dell'amministrazione 
Obama per l'
America  Centrale e per il 
Sud America.
Non una guerra aperta e diretta come in 
Iraq ed  
Afghanistan, e nemmeno attraverso minacce come la riattivazione  dopo 50 anni della famigerata IV Flotta nell'
Oceano Atlantico e  nei 
Caraibi, l'installazione delle basi militari in  
Colombia o con parole dirette come quelle che 
Hillary  Clinton ha rivolto contro chi oserà iniziare o mantenere relazioni  d'amicizia con l'
Iran. In questo caso si tratta di una  guerra subdola, di "bassa intensità", muovendo i fili più infimi della  diplomazia e delle catene di agenzie preparate per infiltrare paesi, governi,  processi elettorali e movimenti.
Una "guerra necessaria e  giustificabile", direbbe il presidente  
Obama.
La Resistenza: un bastione necessario Se c'è una cosa che i poteri forti e gli stessi  
Stati Uniti non avevano calcolato è stata sicuramente la grande  capacità di reazione e resistenza del popolo honduregno.
Dopo il 27 di gennaio, l'
Honduras dovrà necessariamente  voltare pagina, entrando in una nuova tappa della sua tormentata storia.  Concluso il periodo presidenziale di 
Manuel Zelaya, sarà il  turno di 
Porfirio Lobo. 
Un  governo molto debole, in mezzo ad una violenta crisi economica, con uno  scarso riconoscimento a livello internazionale e ostaggio dei principali autori  del golpe del 28 giugno, 
Stati Uniti inclusi. Proprio in  questi giorni 
Lobo sta disperatamente cercando di convincere  
Roberto Micheletti - e più di lui chi davvero manovra i fili  dietro il Presidente fantoccio - ad abbandonare la carica prima del suo  insediamento. Spera così di essere un po' più presentabile agli occhi della  comunità internazionale.
Di fronte a questo scenario, quella che è  stata la Resistenza contro il colpo di Stato, oggi convertitasi nel Fronte  nazionale di resistenza popolare, 
Fnrp, dovrà prepararsi per  entrare in questa nuova tappa della lotta e le difficoltà sono già evidenti. La  costante e selettiva repressione denunciata a livello internazionale dalle  organizzazioni dei diritti umani è un chiaro segnale di quanto i settori  retrogradi tradizionali temano questo processo.
Lo  scorso 4 e 5 dicembre 2009, delegati e delegate di organizzazioni provenienti da  tutto il paese hanno iniziato una storica seconda fase della lotta, per  rafforzare il processo organizzativo in vista della creazione di una forza  politica alternativa ai partiti tradizionali, capace di condurre il paese verso  una Assemblea Costituente.
Durante queste due  giornate di lavoro sono state create varie commissioni e gruppi tematici che  hanno iniziato a preparare il lavoro per i prossimi mesi. Al termine  dell'attività, il dirigente sindacale e coordinatore del Blocco Popolare,  
Juan Barahona ha spiegato che "la prima fase della lotta è  finita ed ora dobbiamo lavorare su un progetto ideologico e politico, affinché  tutti i settori organizzati conoscano a fondo la strada da percorrere  insieme.
Dobbiamo conoscere a fondo questo percorso ed  abbiamo bisogno di una metodologia che ci permetta di arrivare a tutti i settori  che si sono schierati contro il colpo di Stato. Una strategia come quella della  lumaca (caracol), dal basso verso l'alto, e creare un movimento che faccia  tremare i settori golpisti. Dobbiamo approfondire questa nuova strategia - ha  continuato 
Barahona - e proporci di prendere il potere  pacificamente prima o durante il prossimo processo elettorale. 
Per fare ciò dobbiamo lavorare e con molto impegno. Non possiamo  dormire sugli allori, ma al contrario dobbiamo mettere questo progetto al primo  posto delle nostre priorità", ha concluso.
Una nuova tappa  della lotta del popolo honduregno è iniziata.