Intervista a Sean O'Driscoll, giornalista del quotidiano di Dubai 7days, sulla libertà d'informazione negli Emirati Arabi Uniti
Uno degli aspetti meno indagati degli Emirati Arabi Uniti è quello della libertà di espressione. Il clima è molto particolare, nel senso che la percezione di libertà è totale. Una presenza discreta delle forze dell'ordine e una totale libertà di movimento, configgono con una realtà sociale fatta di sfruttamento del lavoro, prostituzione e traffici illeciti internazionali. Di tutto questo, però, nei giornali di Dubai e dintorni non c'è traccia. I quotidiani sono tanti: Gulf News, Khaleej Times, The National per citare i più diffusi, in lingua inglese. Tutti estremamente cauti nel riportare i fatti più sgradevoli di una società che sembra pensata per rassicurare, divertire e incitare all'investimento e alla spesa. Con un rispetto verso le famiglie regnanti nei sette emirati che sfiora la piaggeria. Tra loro si fa largo un free-press: 7days. Anche questo in lingua inglese, si caratterizza per un minimo di inchieste più spinose, seppur diluite tra articoli di un peso specifico non indimenticabile. Della situazione dei media negli Emirati ne abbiamo parlato con Sean O'Driscoll, giornalista irlandese trapiantato a Dubai, un passato tra Associated Press e Irish Times, firma di punta del giornale.
Come è la situazione dei media nel Paese?
La carta stampata, come i media in generale, negli Emirati Arabi Uniti sono sottoposti a un controllo molto rigido da parte del governo. La maggior parte delle testate sono, almeno in parte, di proprietà di esponenti dell'esecutivo. Anche i giornali indipendenti, che sono molto rari, devono avere comunque uno sponsor locale, come è richiesto a ogni azienda negli Emirati, e questo è un altro canale di controllo da parte dello Stato. Se si confronta la situazione con altri paesi del Golfo, però, alcuni giornali, anche se non si può certo parlare di stampa libera, di anno in anno riescono a guadagnarsi un po' più di spazio, un po' più di libertà.
In che modo il governo controlla l'informazione?
Nella maggior parte dei casi si tratta di una sorta di autocensura da parte dei media stessi. E' come se ci fosse una linea oltre la quale è pericoloso andare, anche se la linea non è chiara, non è ben definita. Negli ultimi anni la linea arretra sempre di più, si può scrivere più liberamente, andare più a fondo nelle questioni che riguardano la città e il Paese. Ma non sai mai fino a che punto puoi spingerti, fino a che punto puoi addentrarti nelle questioni che riguardano lo Stato, lo sceicco, e questo i giornali lo sanno, lo tengono sempre ben presente. Qualche miglioramento comunque c'è stato, se si scrive qualcosa di critico verso il governo, si rischia al massimo la chiusura del giornale e non più l'arresto dei giornalisti come avveniva fino a non molto tempo fa.
Quindi qualcosa è migliorato negli ultimi anni?
Sono state varate nuove leggi a tutela della libertà d'informazione, ma sono molto contraddittorie: da una parte queste norme costringono i media entro certi limiti, dall'altra aboliscono l'arresto dei giornalisti che criticano il governo. Se si confronta la situazione con l'Italia o con l'Occidente in generale, è evidente che qui i media sono strettamente controllati, ma bisogna ragionare a un micro livello: ogni anno si guadagna qualche millimetro di libertà. Se si guarda da una prospettiva occidentale, è chiaro che la situazione appare terribile.
Anche tu sei stato costretto in qualche occasione a fermarti, a non scrivere tutto?
Un esempio recente. Abbiamo scritto di prostituzione, un grosso "elefante in camera", come si dice in inglese, e cioè qualcosa di molto visibile, sotto gli occhi di tutti, ma di cui non si può dire nulla. Se vai in qualsiasi bar a Dubai è difficile bere tranquillamente un drink, perché devi tenere gli occhi bassi, ti muovi davvero tra una prostituta e l'altra. Se ne parli, però, sono guai. Una volta abbiamo aperto il giornale con una statistica sulle malattie sessuali tra le prostitute e abbiamo avuto dei grossi problemi per quell'articolo. Abbiamo cercato di allargare il discorso sulla prostituzione in tutto il mondo, di dosare bene ogni singola parola, ma non è servito: di prostituzione non si può parlare in prima pagina. Eppure qui è un problema enorme: ragazze che arrivano dalla Russia, dall'Armenia, dall'Azerbaijan, vivono in condizioni difficilissime. E' così frustrante vedere queste ragazze, le loro condizioni di vita, e non poterne scrivere, non poter denunciare la situazione.
Come fate a trattare certi argomenti?
Siamo "autorizzati" a trattare i casi più eclatanti, parlando solo dei fatti, come ad esempio la recente storia di una donna armena arrestata e condannata a tredici anni di carcere per avere fatto arrivare illegalmente a Dubai alcune ragazze e averle costrette a prostituirsi. Ci è stato permesso di raccontare questa storia e di intervistare le persone coinvolte, ma quando provi ad emanciparti dalla versione ufficiale delle forze dell'ordine e ad andare per strada, a parlare con le persone, a fare qualcosa di autonomo, di separato, ecco che arrivano i problemi. Abbiamo avuto guai anche con la Dubai media free zone, che dovrebbe essere più aperta, e invece sono stati davvero rigidi verso di noi quando abbiamo raccontato di una storia di prostituzione. Se segui quello che fa la polizia tutto bene, appena ti allontani da quello che è ufficiale, tutto si complica.
Quali sono gli altri temi "proibiti"?
Anche se ti occupi ti cultura o di economia puoi avere dei problemi. Ad esempio i problemi economici di Dubai. Tutto quello che danneggia l'immagine del Paese non è gradito, è un'ossessione per loro. Recentemente abbiamo scritto dei titoli spazzatura in borsa a Dubai, ma questo argomento è inaccettabile per il potere.
Una volta abbiamo avuto problemi anche a scrivere di un libro comico su come diventare prostitute, e siamo stati accusati di voler insinuare che le donne emiratine, le donne musulmane sono puttane. Sapevano bene che non era quello che volevamo dire, ma ci hanno richiamati ugualmente, solo per intimidirci. Tutto quello che può mettere in cattiva luce Dubai, che si tratti di economia o cultura, può metterti nei pasticci, per questo alla fine ci si auto censura.
Tu vivi qui da oltre un anno ormai, cosa pensi del modello economici di Dubai?
Da un lato mi piace molto: penso ci sia qualcosa di davvero visionario in chi ha pensato questa città. In pochi anni il petrolio finirà e pensare a una città come questa, che vive di servizi è stato molto intelligente. Se si paragonano ad altri paesi del Medio Oriente, gli Emirati stanno andando bene, ma penso che tutto quello che sta dietro, che ha permesso a Dubai di diventare quello che è, manca completamente di trasparenza. Le persone comprano appartamenti che non esistono, a Dubai in particolare c'è una situazione da selvaggio west, nulla è regolato: è proprio di questa settimana la notizia di un carico di diamanti e oro a Dubai, provenienti dalle zone di conflitto dell'Africa, e poi c'è la questione del riciclaggio di soldi sporchi. Quello che voglio dire è che il modello economico ha di sicuro successo, nel senso che funziona, ma sotto la superficie ci sono soldi sporchi.
Hai scritto del riciclaggio di soldi?
Sì, cito un esempio recente, che riguarda anche l'Italia: attraverso un salone di bellezza del nord Italia venivano fatti arrivare soldi a Dubai, frutto di spaccio di eroina. La polizia italiana ha parlato di quattro milioni di dollari al giorno. I soldi venivano poi "lavati" attraverso l'enorme commercio di oro e diamanti che c'è a Dubai. Sono andato a parlare con uno dei negozianti che si presume siano coinvolti, ma la persone che era lì mi ha detto di essere solo un impiegato, di non sapere nulla di quello che di fatto è uno dei più grandi riciclaggi di denaro del mondo. Io non gli ho creduto, ma questo è indicativo di come funziona il sistema qui: quando cammini nel grande suq dell'oro di Dubai tutto sembra perfetto, pulito, meraviglioso, e così non ti fermi a pensare che cosa ci possa essere dietro la superficie.
Cosa ne pensi, invece, di un altro aspetto di questo sistema, e cioè dei lavoratori migranti che costruiscono la città?
Questo è davvero un problema enorme, non facile da risolvere. Penso che non possano bastare nemmeno leggi chiare sul lavoro, ma che sia necessario introdurre il sistema delle rappresentanze sindacali, perché è impossibile che riesca a fare qualcosa il singolo lavoratore. Senza sindacati non riesco a immaginare progressi o una soluzione. Oggi ho accompagnato dal dottore una ragazza filippina, che fa la domestica ed è stata violentemente picchiata dal suo datore di lavoro: voleva costringerla a prostituirsi. Poi ci sono tutti i lavoratori che provengono dall'India o dal Bangladesh e che lavorano nell'edilizia. A loro, prima di partire, viene promesso un ottimo stipendio, ma poi arrivano a Dubai, gli viene confiscato il passaporto per due anni, gli stipendi che ricevono sono bassissimi, a volte non vengono neppure pagati. Arrivano qui pensando di poter mandare a casa un sacco di soldi alle loro famiglie, e si trovano a non saper cosa fare, senza nessuno a cui rivolgersi o a cui chiedere aiuto. Penso che dovrebbero esserci regole molto rigide sulle società di reclutamento che operano in Cina, in India, alle quali si appoggiano anche le grandi compagnie per avere la manodopera. Ma questo non succede.
Che cosa puoi scrivere di questo?
Ancora una volta, il punto è che non sei mai sicuro fin dove puoi spingerti, dove è la linea oltre la quale non puoi andare. Recentemente mi sono occupato di una protesta tra i lavoratori cinesi, fuori dalla città, nella free zone. Si sono rifiutati di andare a lavorare perché non ricevevano lo stipendio da mesi. Erano impiegati da un appaltatore in una grossa compagnia statale che sta costruendo alberghi accanto al grattacielo più alto del mondo. Erano arrivati al punto che non potevano andare avanti, senza stipendio. Sono andato lì e il supervisore del campo mi ha detto di essere stupito che fossi l'unico giornalista e lo ero anche io perché la situazione era davvero grave, sembrava una guerra: finestre rotte, porte sfondate, cattivo odore. I supervisori cinesi si erano barricati in ufficio e i lavoratori hanno sfondato le porte e li hanno costretti ad inginocchiarsi e a togliersi le cravatte. Una scena davvero drammatica, perché i supervisori non avevano alcuna colpa se l'azienda non pagava i lavoratori, anche loro erano solo impiegati. C'è stato molto dibattito tra i media sul modo di trattare questa notizia: qualcuno sosteneva di pubblicare tutto e dare massimo risalto, qualcuno di mantenere un profilo più basso. Se pubblichi fotografie, parli delle società nell'orbita di proprietà di personaggi al governo cominciano i problemi. Alla fine, l'essenza del problema, è che certe volte è possibile entrare nei campi dove vivono i lavoratori e scrivere delle difficoltà dei lavoratori migranti, ma se cominci a creare dei rapporti con i lavoratori, a parlare delle aziende, cominciano i guai.
Come è la situazione sul web? C'è più dibattito, più partecipazione, più libertà?
I siti che parlano di sesso o di tematiche come l'omosessualità, ma anche quelli che parlano di Israele, sono bloccati. Non si aprono, sono censurati, e anche certi blog lo sono. Ma se si leggono i siti online dei giornali, i forum sui temi principali, si trovano davvero i commenti più interessanti sugli Emirati. Non c'è censura e la gente si esprime liberamente. Questo accade perché non ci sono le risorse per controllare tutto, ogni singolo commento su ogni sito internet. La comunità che partecipa a questi forum è davvero vivace.
Qualche esempio dei temi più discussi?
Ha acceso un grande dibattito la vicenda della ragazza filippina che ho già citato, picchiata dalla famiglia per cui lavorava come domestica. Ho letto commenti davvero interessanti, anche di altre domestiche filippine che raccontavano la propria esperienza. E' molto difficile raccogliere testimonianze dirette sulla carta stampata, perché le persone hanno paura, e quando vedi le persone comuni che intervengono su questi temi è davvero molto interessante, è un bel segnale.
Cosa pensi della comunità degli stranieri occidentali, i cosiddetti expat, che vivono qui: sono attenti a questi problemi, hanno qualche influenza per poter cambiare la situazione?
In molti sono sensibili ai problemi sociali di Dubai. Molti giornalisti vengono qui dall'Europa e poi scrivono solo degli expat interessati alle macchine, ai night club, agli abiti alla moda. Io non penso che questa immagine sia corretta. La maggior parte degli occidentali vengono qui per avere un lavoro migliore, in particolare in questo ultimo anno di recessione globale. Molti di loro fanno fatica a vivere qui, ad adattarsi a un sistema così diverso da quello europeo, un sistema in cui mancano i diritti. Penso ci sia uno stereotipo sugli expat, lo spero almeno.
Sei ottimista per il futuro, qualcosa sta cambiando?
Io penso che le cose cambieranno, ma lentamente. Un esempio recente è il video, che ha fatto il giro del mondo, di un fratello dello sceicco che tortura un uomo. Non è stato chiaro come sia andata, ma è stato comunque un punto di rottura, perché molti emiratini si sono vergognati per il loro Paese. Gli emiratini vogliono davvero essere internazionali, non vogliono assomigliare all'Iran o all'Arabia Saudita, vogliono apparire progressisti. Il vero problema è che qui vogliono i lati postivi della globalizzazione, vogliono gli Starbucks, abiti firmati, ma non vogliono le conseguenza, che sono il rispetto dei diritti umani, gli standard di trasparenza internazionali. Comunque ora sanno che per rimanere nel sistema economico mondiale devono rispettare certi parametri.