Partendo dalla constatazione - e relativa ipotesi interpretativa - che le sollevazioni nel Nord Africa giunte a un primo punto fermo sono state animate e sostanzialmente decise da una coalizione impropria fra giovani e militari, si può capire meglio perché in Libia il meccanismo si è inceppato. Sia in Tunisia che in Egitto la «piazza» ha avuto il suo epicentro nella capitale e la buona coesione nazionale e sociale ha conferito di per sé alla protesta della gioventù di Tunisi e del Cairo una rappresentanza generale. In Libia si è mossa prima Bengasi mentre Tripoli sembra ancora in mano agli uomini e alle forze di Gheddafi. La rivolta rischia di essere percepita o di diventare la «rivolta della Cirenaica» e non della Libia. In Libia l'esercito non ha la stessa funzione di surroga a livello istituzionale per la mancanza di una tradizione statale garantita o impersonata dalle forze armate. Comunque, a differenza degli eserciti tunisino ed egiziano che si sono dissociati appena possibile dal leader in disgrazia, l'esercito libico, il cui reclutamento ha seguito criteri in parte di tipo clanico, si è diviso. Lo stesso ethos della resistenza all'occupazione italiana si ispira a una guerriglia di «irregolari», concentrata una volta di più fra la gente e nel paesaggio della Cirenaica. Anche in Algeria la legittimazione del potere è derivata da una guerra di liberazione ma, al di là della dimensione nazionale della mobilitazione guidata dal Fln, al vertice si è imposta l'ossatura dello Stato maggiore che non aveva partecipato in quanto tale al maquis e che si era appunto preparato nelle basi arretrate in Marocco e Tunisia a essere l'esercito dell'Algeria indipendente.
La situazione di stallo che si è venuta a creare si presta a tutte le possibili soluzioni. La rivolta può trasformarsi in una guerra civile e la guerra civile sarebbe destinata a consolidare e inasprire le differenze non solo fra Cirenaica e Tripolitania ma anche fra le diverse componenti che si usa definire tribù sino alla paventata «somalizzazione». Il prolungamento della crisi, intanto, ha sicuramente intensificato le interferenze delle potenze, che, se non sono mancate a Tunisi e al Cairo, là sono servite ad accelerare una conclusione nel senso della stabilizzazione togliendo ogni spazio residuo a Ben Ali e Mubarak. Almeno formalmente, nelle «successioni» a Tunisi e al Cairo i militari e i civili sul posto hanno mantenuto la gestione e le responsabilità continuando, soprattutto a Tunisi, una dinamica di contestazione che dà l'impressione di un processo in divenire in cui l'alto e il basso non hanno cessato di confrontarsi. Le sanzioni decretate dall'Onu all'unanimità contro Gheddafi e, con effetti più dirompenti perché già si profilano opinioni contrastanti, eventuali interventi militari variamente motivati a fini «umanitari» tolgono la neutralità ai fattori esterni.
Già la no-fly zone di cui si parla con eccessiva leggerezza in Italia è un'operazione pesante che, ancorché dall'aria, può riguardare gli spostamenti per terra come la concentrazione di forze o gli apparati della contraerea. Né l'Italia né l'Europa hanno i mezzi adatti e si dovrebbe ricorrere come minimo alla Nato. Sarebbe un epilogo ben miserevole per le «primavere» appena incominciate.
Tratto da: Il Manifesto