Maestro di zona della Escuelita Zapatista, José Luis è stato vittima di un attacco da arte di elementi della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos (CIOAC) storica, e non di uno scontro con questa organizzazione, come sostenevano le prime versioni. E non è vero neppure che lui ed i suoi compagni fossero armati. Da più di 20 anni gli zapatisti non imbracciano un fucile. Sono un esercito e le sue comunità hanno organizzazione e disciplina.
Non sfoderano armi, e non perché non ne abbiano, bensì perché – come dicono gli intellettuali John Berger, Immanuel Wallerstein e Pablo González Casanova, e molti altri che sono solidali con loro – si sono impegnati con una profonda volontà politico-etica a non permettere lo scontro tra indigeni.
Abitante dell’emblematico caracol di La Realidad, per anni la comunità più assediata dall’Esercito, dai piani contrainsurgentes, dalla stampa e dai visitatori nazionali ed internazionali, non si sottraeva mai ad un lavoro o una commissione, come quella di essere nominato Votán della prima generazione della Escuelita Zapatista.
José Luis si trovava all’interno del caracol quando i suoi compagni hanno subito l’imboscata dei paramilitari della CIOAC, del PVEM e del PAN. Sentendo il frastuono delle aggressioni all’ingresso della comunità, era uscito di corsa insieme ad altri zapatisti per andare in aiuto dei suoi compagni, ma non sono riusciti a raggiungerli perché sono stati attaccati con armi da fuoco nel mezzo del villaggio ed è lì dove è caduto il nostro compagno, ha comunicato la giunta di buon governo della zona.
Riguardo alla sua partecipazione alla escuelita l’estate scorsa, Galeano aveva detto: “Loro – riferendosi agli alunni – pensavano che gli zapatisti stavano sulle montagne, così dicevano, non pensavano che gli zapatisti sono fatti di carne e ossa e che siamo esseri umani come loro, che viviamo nelle comunità e che siamo organizzati. Per questo credo che la escuelita per me sia un mezzo per comunicare, per conoscere altre persone delle città, del nostro paese e del mondo”.
La testimonianza è stata pubblicata sul primo numero della rivista Rebeldía Zapatista, e diffusa dal Centro de Medios Libres de Chiapas dopo la sua morte.
(Traduzione “Maribe” – Bergamo)