Il 28 marzo scorso, Juan Francisco Sicilia, assieme ad altre sei persone, è stato ucciso da una ancor non indentificata banda di narcos messicani. Il figlio del poeta e giornalista Javier Sicilia [1] avrebbe fatto parte di un gruppo di persone che aveva poche ore prima denunciato “anonimamente” un crimine. Il fatto di per sé triste ma pur sempre parte della tragica quotidianità messicana ha però scatenato una reazione a catena che oggi vede il padre, Javier Sicilia, in prima linea nel reclamo sociale contro governo e narcos colpevoli di tanta violenza e sofferenza inferte al tessuto sociale messicano.
Collaboratore de La Jornada e del settimanale Proceso, Javier Sicilia ha preso la parola pubblicamente il giorno dopo l’omicidio del figlio. La tragedia non è riuscita a farlo tacere, piuttosto ne ha ravvivato l’indignazione. Con lo slogan ormai diffusissimo “Ne abbiamo i coglioni pieni” (¡Estamos hasta la madre!), Sicilia ha attaccato frontalmente la classe politica messicana al cui vertice si trova il primo (ma non unico) responsabile di questa situazione: il presidente della Repubblica. Nel corso delle ultime quattro settimane, Javier Sicilia ne ha avuto per tutti: classe politica, appunto, ma pure forze armate, colpevoli di non servire il paese ma gli interessi di pochi; polizia, corrotta e collusa con i delinquenti; giudici e procuratori, incapaci di trovare e punire i colpevoli; governatori locali, colpevoli pure loro di collusione ed apatia; e gli stessi narcos, colpevoli di non rispettare la vita umana, di “aver perso addirittura qualsiasi codice d’onore”.
L’intensa campagna mediatica e di protesta nelle strade e nelle piazze sinora ha raccolto molte adesioni di diversi settori sociali. La proposta di Sicilia e della Red por la Paz y la Justicia che lo accompagna è chiara: basta violenza, vogliamo un Messico in pace; nuovo patto nazionale prima che tutto “vada a puttane”; mobilitazione generale contro le politiche del governo; restituzione alla memoria collettiva delle identità dei 40 mila morti. È in questo contesto dunque, che Javier Sicilia ha convocato per il prossimo 5 maggio una carovana che partirà da Cuernavaca, cittadina a un centinaio di chilometri da Città del Messico. La carovana, cui poco a poco giungono adesioni, partirà alla volta della capitale del paese dove conta di giungere domenica 8 maggio in una lunga manifestazione che attraverserà le vie della città per giungere infine alla piazza centrale, lo zócalo.
Tra le adesioni d’eccezione quella resa pubblica il 28 aprile scorso dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che rompe così un lungo silenzio “politico”. Il comunicato di adesione alle giornate di protesta così come la lettera pubblica inviata dal SCI Marcos al poeta Javier Sicilia parlano chiaro: l’EZ aderisce alla mobilitazione. Lo farà a suo modo e con i mezzi a sua disposizione, ma invita tutti gli aderenti alla Otra campaña a mobilitarsi.
RASSEGNA STAMPA Da La Jornada:
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[1] Javier Sicilia nato a Città del Messico nel 1956, è poeta, saggista, novellista e giornalista.Collabora con diversi periodici come La Jornada e Proceso. E’ stato fondatore e direttore di El Telar, coordinatore di vari seminari letterali, sceneggiatore di cinema e televisione, capo redattore della rivista Poesia, membro del Consiglio di redazione de Los Universitarios e Cartapacios, membro del Sistema Nacional de Creadores de Arte dal 1995, professore di letteratura, estetica e sceneggiatura all’Università La Salle di Cuernavaca e direttore della rivista Ixtus.
Ha ereditato la sua vocazione per la letteratura e la poesia dal padre. La suapoesa iene definita come legata al cattolicesimo e alla mistica cristiana, Nel corso della su attività ha conosciuto il filosofo austriaco Ivan Illich e si è adoperato per promuovere il suo pensiero nel mondo intellettuale messicano.
Nel 29 gli è stato dato il premio Aguascalientes, uno dei premi importanti della poesia messicana.
Impegnato nella difesa dei diritti umani e contro le gerachie cattoliche, ha accompagnato le rivendicazioni degli indigeni zapatisti in Chiapas.
Il 28 marzo del 2011 è suo figlio è stato assassinato dal crimine organizzato insieme ad altri sei giovani. Dopo la tragica vicenda ha iniziato ha capeggiare le proteste a Cuernavaca, allargatasi alle altre città del Messico contro la violenza provocata dalla guerra al narcotraffico.
Le sue ragioni sono racchiuse nella LETTERA APERTA DI JAVIER SICILIA AI POLITICI E AI CRIMINALI