Rio+20, il nuovo summit delle Nazioni Unite sarà un campo di battaglia fondamentale: i killers dell'economia e le loro mani sul pianeta contro il pianeta delle genti. Qualcosa che non si può ignorare quando si parla di "uscire dalla crisi".
di Luca Tornatore
A giorni, dal 20 al 22 Giugno, si aprirà a Rio de Janeiro la conferenza ONU sullo sviluppo sostenibile, già ipotecata dall'opzione di cooperazione con le grandi corporations sul terreno della green economy, in una prospettiva che ignora del tutto le cause profonde della crisi ecologica e si appiattisce sull'ideologia della crescita economicaentro un tecno-paradigma di mercato.
Vent'anni fa, proprio a Rio, l'Earth Summit, al di là delle mancanze, dei difetti e delle insoddisfazioni, riuscì comunque a stabilire definitivamente che l'ecosistema – inteso come insieme della biodiversità e delle risorse necessarie alla vita – è “common concern of humankind”, per mezzo di trattati legalmente costrittivi.
“Concern” nel doppio senso inglese di “pre-occupazione” ed “interesse”, “common” perché come tale include tutti e ciascuno: un bene comune, nel lessico politico di oggi.
Quindi un terreno di conflitto, di riconquista, oltre che di coalizione.
Per due ordini di motivi.
In primo luogo perché la possibilità di accedere globalmente ad una vita piena e ricca di godimento (o anche semplicemente ad una vita) dipende dalla capacità dell'ecosistema di mantenere e rigenerare le condizioni necessarie alla vita stessa. E questa capacità è oggi gravemente compromessa, a causa della pressione antropica globale.
C'è quindi un legame diretto tra crisi ecologica, impatto del tecnomondo e imposizione della struttura del mercato capitalistico, con la sua razionalità di accumulazione senza limiti, come luogo obbligato di incontro dei bisogni e della loro soddisfazione.
Ne consegue che c'è anche un legame necessario tra l'uscita dalla crisi economico-finanziaria e l'uscita dalla crisi ecologica ed energetica.
In secondo luogo, perché il discorso sui “beni comuni”, sulle risorse naturali di cui stiamo parlando qui e che saranno oggetto delle discussioni a Rio+20 – il cibo, l'energia, l'acqua, la biodiversità, .. – non è perimetrabile solo nello spazio neutro della catalogazione scientifica.
Poiché l'accesso alla ”natura” è mediato da un'organizzazione sociale e tecnologica, il nostro discorso su di essa si deve incarnare nel suo rapporto vivo con l'umano.
Deve districarsi là dove la “natura” cessa di essere soggetto astratto e diviene invece relazione produttiva, organizzazione, là dove si traduce in risorse raffinate (cibo, energia, acqua potabile), nel lavoro per estrarle e distribuirle, nel lavoro per restituirle e re-istituirle intatte.
Dove, insomma entra in relazione diretta con il bios antropomorfo e sociale che “abita” la “natura” e dove, quindi, assume uno statuto giuridico ed è materia di conflitto.