Dove inizia l'Europa? In luoghi diversi: oltre il controllo documenti di uno scalo aereo, superate le recinzioni di un porto, dopo una frontiera terrestre con un paese dal passato sovietico. Cos'è l'Europa? Tante cose. Una meta per le vacanze, comodamente raggiungibile e relativamente tranquilla. Un luogo in cui investire, dove la proprietà è al sicuro e la concorrenza garantita. Per qualcuno è così.
Per altri, invece, “Europa” significa speranza di una vita migliore. Speranza di trovare un lavoro dignitoso, di poter godere di alcuni diritti, di non rischiare continuamente la pelle a causa di una guerra. Un sogno che spesso assomiglia a un'illusione e facilmente si trasforma in un incubo. Soprattutto per quei migranti che tentano di raggiungerla senza documenti. Sono solo una parte degli “irregolari” che vivono e lavorano nel vecchio continente: la clandestinità è una condizione prodotta soprattutto dalle frontiere di status, più che da quelle geografiche e politiche. È dimostrato statisticamente che la maggior parte dei clandestini diventano tali alla scadenza di un visto turistico, perdendo il lavoro, per un mancato rinnovo del permesso di soggiorno.
Chi non può acquistare un visto e un biglietto aereo, però, deve tentare la fortuna affrontando viaggi avventurosi, che per i moderni nomadi aeroportuali hanno un sapore d'altri tempi. Nessuna illusione romantica: in questi viaggi la gente muore, perde familiari e amici, subisce stupri, violenze, furti. Ma la speranza e la necessità sfidano i rischi, senza paracadute e senza assicurazione.
Fino a pochi anni fa, le rotte tracciate da questi migranti seguivano percorsi differenti. L'Europa aveva diverse porte d'ingresso, situate nei paesi della cintura mediterranea. Dal Marocco si poteva raggiungere la Spagna in patera; dalla Tunisia e dalla Libia ci si imbarcava per l'Italia, incrociando le dita e sperando nella clemenza del mare; dalla Turchia si raggiungevano le isole greche che ne lambiscono la costa o si attraversava il fiume che disegna il profilo orientale della penisola ellenica. Poi sono arrivate le navi militari di Frontex e gli accordi bilaterali con i dittatori del Nordafrica. Le navi hanno iniziato a respingere le imbarcazioni di fortuna dirette verso l'Andalusia, nel mediterraneo occidentale, e quelle che puntavano verso le isole greche, in quello orientale. Gli accordi hanno riempito di soldi le casse di Ben Alì e soprattutto di Gheddafi, delegando a chi non ha l'impiccio di dover rispettare i diritti fondamentali degli esseri umani la deterrenza dei flussi migratori. Oltre ai pattugliamenti congiunti delle coste, ai rimpatri, ai respingimenti collettivi (illegali nonostante questi accordi!), nella grande Jamahiriya sono spuntati i centri di detenzione per migranti: a Kufra, a Qatrun, a Ghat e in altre città libiche. Questi luoghi di morte e miseria, dove la vita umana non ha più alcun valore, hanno la targa italiana.
A parte contingenze molto particolari, come la “primavera araba”, e qualche barca che occasionalmente riesce a partire, è un dato di fatto che i governi europei sono riusciti ad interrompere i flussi che attraversavano le coste nordafricane. Ma una diga può bloccare un fiume, non il mare. I movimenti migratori odierni nascono da dinamiche strutturali, prodotte dal saccheggio capitalista di alcune parti del mondo, e dai desideri soggettivi di milioni di individui: nessuno può arrestarli. Quello che si è determinato, piuttosto, è una deviazione di questi flussi. Quando è diventato troppo complicato e rischioso tentare di attraversare il Mediterraneo, i migranti hanno semplicemente cambiato rotta, aprendo una nuova crepa nel muro che circonda la fortezza. Questa crepa si chiama Evros: il fiume che separa la Grecia dalla Turchia, l'Europa (ma la Grecia è ancora Europa?) dal Medio Oriente.
La porta d'ingresso situata sul confine greco-turco ha una caratteristica peculiare: costituisce il punto di incontro di diversi flussi migratori, di quelli asiatici e di quelli africani. Se i primi sono orientati verso quella frontiera da ragioni geografiche, gli altri vi sono deviati politicamente. Per i ragazzi che partono dal Senegal, dal Mali, dalla Costa d'Avorio, dal Burkina Faso, ma anche per i somali, i sudanesi, gli eritrei, e per i marocchini, gli algerini, gli egiziani, la Turchia è molto facile da raggiungere. Spesso ci vanno in aereo, con tanto di visto. Dopo Istanbul, basta attraversare Evros e il gioco è fatto. Molto più semplice che sfidare il deserto, i centri di detenzione libici, il Mediterraneo e/o le navi di Frontex.
A chi credesse davvero che le istituzioni europee e le politiche comunitarie garantiscano “uno spazio di giustizia, libertà e sicurezza”, dovrebbe sembrare assurdo, o quantomeno paradossale, che i paesi mediterranei, quelli più poveri e in crisi, svolgano il ruolo di filtro dei flussi migratori diretti verso Germania, Inghilterra, Norvegia, Francia, Olanda... Ma che dire di fronte al fatto che il tappo della bottiglia è oggi la Grecia?
La Grecia che da 8 anni non regolarizza un migrante economico. La Grecia che diventa il primo e l'ultimo paese in cui i migranti possono chiedere asilo, a causa del regolamento Dublino II. La Grecia che riconosce questo status solo al 6% dei richiedenti, al termine di procedure che durano anni e che alla fine non garantiscono alcun diritto, se non quello di andare da un'altra parte. La Grecia depredata dalle politiche della Troika e messa in ginocchio da quel neoliberalismo che si spaccia per teoria economica ed è invece un crimine contro l'umanità. La Grecia controllata attraverso il ricatto del debito. La Grecia in cui è nato un partito nazista che neanche gli anni bui della storia europea avevano prodotto a queste latitudini. Questa Grecia è oggi la Lampedusa d'Europa. Il luogo in cui si continuano ad ammassare le vite e i desideri delle centinaia di migliaia di persone che sfidano Frontex, gli accordi bilaterali, la clandestinità, le polizie europee, alla ricerca di una vita migliore. E che spesso si trovano intrappolati in un paese sull'orlo di una crisi di nervi.
La Grecia è formalmente nell'Unione, provvisoriamente nell'euro, ma ormai fuori dall'Europa, se con questa parola ci riferiamo a un insieme di paesi costruiti intorno a una certa tradizione democratica e alla garanzia dei diritti fondamentali. A meno che l'Europa non sia un posto dove i nazisti possono uccidere coperti dalla polizia. Dove le forze dell'ordine pestano a sangue i migranti in maniera sistemica, per scoraggiarne l'arrivo e la permanenza. Dove chi non è in regola con i documenti (o con l'assicurazione sanitaria) rischia di essere lasciato morire in ospedale. Forse non è questa l'Europa che conosciamo, ma potrebbe essere l'Europa che qualcuno sta progettando per noi.
Vedremo in questi mesi se la Grecia rimarrà un esperimento politico, economico e sociale che a un certo punto dovrà essere operato come una cisti infiammata, per proteggere il corpo che l'ha prodotta e infettata. O se, al contrario, quest'esperimento verrà tradotto ed esportato, e diventerà il destino degli altri paesi della cintura mediterranea.
Di sicuro, in questo momento di crisi profonda, che da economica è diventata sociale e umanitaria, l'insostenibilità delle politiche migratorie europee contribuisce a trasformare questo paese in una polveriera sociale. Quando le condizioni materiali di ampi strati della popolazione vengono rapidamente depredate, lo straniero è il nemico più facile cui addossare tutte le colpe. Tanti migranti senza lavoro, senza soldi, senza diritti, costituiscono un capitale politico prezioso per chi pensa di uscire a destra dalla crisi. Ne è testimonianza la deriva securitaria e sciovinista del dibattito politico, che coinvolge tutto l'arco parlamentare: dai socialisti del Pasok, ai nazisti di Alba Dorata, passando per i fascisti di Nea Demokratia, con la sola eccezione di Syriza. È questa deviazione dell'ordine del discorso in chiave xenofoba a legittimare la polizia a massacrare i migranti con i bastoni e con i taser (manganelli che danno l'elettroshock) a Evros, Atene, Patrasso. A permettere ai nazisti di attaccare impunemente, a suon di spranghe e coltelli, in tutta la penisola. A convincere i dottori a non curare gli stranieri negli ospedali, o a non farli nemmeno entrare. L'odio più becero è stato sdoganato e i migranti sono al centro di un terribile e pericolosissimo processo di disumanizzazione.
Di fronte a una situazione simile, tutti movimenti europei sono chiamati ad agire. Per solidarietà, ma anche per dignità: perché neanche in tempo di crisi i diritti degli uni escludono quelli degli altri. Fino a quando i migranti saranno confinati, sfruttati, discriminati, tutti saremo meno liberi. Finché in uno stato ci saranno i nazisti nelle strade e in parlamento, ognuno di noi sarà in pericolo. Fino a quando le decisioni sulle nostre vite verranno prese dai “tecnici”, tutti quanti avremo di fronte un futuro di miseria e sfruttamento.
È adesso il momento di fermare i respingimenti verso la Grecia. Di cancellare il regolamento di Dublino II. Di chiedere l'istituzione di meccanismi di regolarizzazione permanenti. Di gridare che esiste un'Europa che crede nei diritti di tutti. E che quest'Europa odia il razzismo, il fascismo, il neoliberalismo... ed è pronta a combatterli.
Giansandro Merli
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