La manifestazione sportiva che precede il mondiale di calcio sudafricano denuncia le vere dinamiche sociali e politiche di un continente ricco di contraddizioni e di conflitti dimenticati e nascosti.
di Ivan GroznyComunque la si voglia vedere, lo sport rimane sempre affidabile specchio dei nostri tempi. Incredibile elemento di coinvolgimento sociale, volano di emozioni, è anche un grande evidenziatore di contraddizioni, sociali soprattutto.
In questi giorni si sta svolgendo l’attesissima rassegna continentale dove si affrontano le migliori selezioni nazionali africane.
Paesi ospitanti Angola e Cabinda. Questo è un particolare che fino a poco fa era sconosciuto ai più, ma che da qualche giorno è balzato alle cronache internazionali per i tragici fatti che hanno coinvolto la selezione calcistica del Togo. Un bagno di sangue che poteva avere ancora più gravi conseguenze, che ha lasciato a terra tre uomini della delegazioni e feritogravemente almeno il doppio. Una pioggia di fuoco ha investito i due pullman che avevano appena raggiunto la Cabina, enclave all’interno della Repubblica del Congo.
Resta da chiedersi il perché di tanta ferocia, e soprattutto, capire cosa accade in questo pezzo di mondo che sembra non avere pace. Da qui si potrebbe pericolosamente imboccare la strada delle congetture, delle facili conclusioni. Ma il rischio è come sempre alto, perché in un mondo dove è continuo il richiamo all’allarme, diventa poi difficile fare delle distinzioni . Soprattutto perché questo è l’anno dei Campionati del Mondo di calcio, che per la prima volta nella storia si svolgeranno nel continente africano. In Sudafrica.
Diventa facile per molti puntare il dito sull’instabilità politica, sul rischio di organizzare manifestazioni di tale portata in certe aree del mondo.
Certo, lasciare che il torneo cominci e tutto si svolga come nulla fosse, non è la scelta che avremmo sostenuto, ma come ragiona il governo mondiale del calcio non è una scoperta di oggi.
E’ più onesto invece dire che quanto è accaduto è assolutamente drammatico, che gli atleti del Togo stavano raggiungendo la sede delle loro partite in pullman, e non in aereo, per risparmiare le spese, visto che queste sono a loro carico. E che non tutti i giocatori di queste nazionali sono fortunatamente accasati a club europei, con stipendi certi e abbondanti. Per la maggiore parte di questi calciatori la rassegna continentale diventa la grande occasione per cercare di mettersi in mostra, per trovare fortuna. L’unica stella di questa nazionale è infatti Adebayor, attaccante che da anni milita nella ricca Premier League inglese.
Ma è un’eccezione. E che lui, come Drogba o Eto’o, tanto per citare i più famosi, ci tengono particolarmente a questo evento, perché, a loro detta, è il modo di restituire qualcosa alla loro gente. Ci piace pensare a questo come un aspetto sincero. Abbiamo voglia di crederci. Ma sappiamo anche che i governi sfruttano i loro eventuali successi, e sappiamo quanto bravi sono a farlo. E questo a ogni latitudine, a dire la verità.
Non era un agguato preparato, quello che hanno subito i giocatori del Togo. Non è Al Qaeda quella che si
sono trovati di fronte. E neppure un reparto militare di contractors professionisti. Neppure gli assalitori sembra sapessero con certezza chi stessero assalendo. E mai avrebbero sperato in tanta visibilità. Amara ma doverosa puntualizzazione.
Resta il fatto che in Cabinda è da anni che si lotta per il predominio sul petrolio che giace nel suo sottosuolo. Nigeria e Angola detengono la leadership dell’estrazione dell’oro nero nel continente africano. Spalleggiate dalle solite multinazionali del settore e dalla nostra Eni, che è pure presente in Cabinda. Area, che seppure piccola, si capisce di importanza, come si suol dire in questi casi, strategica. E il tutto con buona pace delle energie alternative e dell’impatto climatico, naturalmente.
Certo, la mossa dell’Angola, di annettersi questo territorio con il pretesto della manifestazione, è un dubbio che è lecito porci. Bisogna ricordare che l’occupazione portoghese è terminata l’altro ieri (1975), e che da quando esiste, il governo angolano ha sempre avuto mire su questo protettorato, ma pensare sempre e solo a questo continente solamente come un luogo depredato e da depredare pare alquanto ingiusto.
E’ certo vero che in questi anni abbiamo avuto modo, da Italia ’90 in poi, di capire che questi grandi eventi non hanno mai ricaduta positiva sui paesi ospitanti. Lo abbiamo visto con le Olimpiadi di Atene, con Torino e anche con Pechino. Le speculazioni che si innescano sono devastanti per il territorio e per le persone che li vivono. Ma detto questo, quello che può succedere in Sudafrica a giugno è qualcosa che dal punto di vista sociale ci deve interessare. Se è vero che in quella parte di Africa, (e non ci si riferisce solo al paese organizzatore, ma anche a quelli che confinano con esso), non ci sono guerre in corso, i conflitti sociali sono invece più che presenti. E la partita è apertissima. I cambiamenti, gli interventi verso le fasce più povere sono attesi e sembrano non essere più rinviabili. La disparità che c’è tra chi vive nelle towmship e chi invece alloggia nei palazzi delle metropoli è ancora troppo grande.
Nel 1978, in Argentina, in occasione dei Mondiali di calcio, le donne di Placa de Mayo si fecero conoscere al mondo proprio perché i giornalisti presenti da tutto il mondo non poterono ignorarle. La loro determinazione e il loro coraggio.
Chi lo sa cosa può succedere in Sudafrica.