All’evidenza della crisi ambientale planetaria la risposta dei Governi sarà di ignorarla per continuare con questo modello di sviluppo
“Meno ghiaccio in
Artico: le navi cambiano rotta e risparmiano” titolava “Il
Sole 24ore” domenica 2/12/2012 nella prima pagina del
supplemento “Nòva24”. Con un certo compiacimento
l’articolista raccontava che, a causa del maggior scioglimento dei
ghiacci del Nord, dovuto all’aumento del riscaldamento del pianeta,
le rotte delle navi a Nord-Est restano aperte più a lungo che in
passato. Il risparmio per compagnie come la greca Dynagas,
che gestisce le rotte di carghi con gas naturale liquefatto per conto
di Gazprom dalla Norvegia al Giappone, è pari al 40% del
tragitto consueto. Questa “soddisfacente” notizia era conclusa
così: “Ogni viaggio sarà un caso a parte, ma il risparmio è
considerevole e la di gas dall’Artico cresce più del
livello dei mari per lo sciogliersi dei ghiacci polari, stimato
proprio questa settimana in 11 millimetri. Un’enormità se pensiamo
che l’acqua ricopre il 70% del pianeta”.
Questa notiziola dà la
misura di cosa ci si può aspettare dall’ennesimo Vertice sul clima
che si sta tenendo in questi giorni a Doha, nel Qatar: nulla di
concreto se non una schermaglia tra Nazioni il cui unico interesse
sarà, come lo è stato nei precedenti vertici, quello di trovare un
compromesso che consenta a tutti di poter continuare, imperterriti,
con questo modello di sviluppo, dissipando risorse naturali e
alterando l’ecosistema terrestre nel nome del profitto. Almeno sino
a quando l’irreversibilità dei cambiamenti climatici porrà tutti
di fronte ai suoi effetti più catastrofici.
La fantascienza inglese
degli anni 60 – appunto definita catastrofistica – aveva da tempo
prefigurato questo tipo di rischi per un pianeta sotto stress
ambientale com’è il nostro oggi. Basti ricordare gli splendidi
romanzi di James Ballard dedicati proprio alle peggiori
conseguenze possibili per l’uomo determinate da radicali
cambiamenti climatici: “Vento dal nulla”, “Deserto
d’acqua”, “Terra bruciata” e “Foresta di
cristallo”. In questi romanzi Ballard immaginava come potesse
essere l’esistenza umana di fronte a cambiamenti radicali quali
venti fortissimi persistenti; un aumento eccessivo della temperatura
e l’estensione di processi di desertificazione sui continenti;
forte siccità e incendi dovunque; ghiaccio nelle foreste. Ogni
romanzi tocca una di queste catastrofi.
Altrettanto realistico è
il romanzo di T. Coraghessan Boyle, “Amico della terra”,
pubblicato in Italia nel 2001, nel quale l’autore descrive la vita
di una famiglia di ecologisti militanti in una America del 2025
scossa da improvvisi e violenti cambiamenti climatici – anche qui
tempeste di vento fortissime e aumenti vertiginosi della temperatura
– che costringono gli umani ad una esistenza difficile e precaria
in balia delle forze naturali del pianeta.
Aderente alla realtà che
stiamo vivendo è anche “Il quinto giorno” di Frank
Schatzing che descrive cosa potrebbe accadere ai nostri fondali
marini e alla sua fauna – o meglio cosa probabilmente sta avvenendo
già ora – sottoposti allo stress dello sfruttamento intensivo
delle risorse contenutevi e all’utilizzo dissennato degli stessi
come ricettacolo dei peggiori e più pericolosi prodotti di scarto
delle produzioni industriali mondiali.
Letture che non sono più
semplicemente fiction e i dati forniti da innumerevoli studi
resi noti in occasione del Vertice Onu sui Cambiamenti Climatici di
Doha lo stanno a dimostrare. L’ultimo rapporto pubblicato a luglio
dal Joint Research Centre della Commissione Europea e
dell’Agenzia per l’ambiente olandese, “Trends in global CO2
emissions”, confessa che, nonostante la bassa crescita dovuta
alla crisi economica e per effetto di sforzi non certo vigorosi dei
paesi industrializzati, le emissioni di CO2 sono cresciute su
scala globale anche nel 2011 con un netto + 2,7%. Nell’ultimo
bollettino della World Meteorological Organization si attesta
che, tra il 1999 e il 2011, si è avuto un incremento del 30%
dell’influenza della CO2 antropica nell’atmosfera. La stessa
Banca Mondiale, nel rapporto “Turn Down the Heat”, si dice
preoccupata della prospettiva ormai concreta di un pianeta
avviato, nei prossimi anni, ad un aumento della temperatura di 4 °C,
che condanna le prossime generazioni a ondate di calore estreme,
scorte alimentari in forte calo, perdita di ecosistemi e
biodiversità, aumento del livello dei mari incompatibile con la
vita.
Secondo i dati
dell’Agenzia Onu per l’ambiente Unep, dal 2000 ad oggi le
emissioni sono aumentate del 20% anziché ridursi del 14% come
era necessario. A questo ritmo le emissioni di gas serra raggiungeranno i 58 miliardi di tonnellate nel 2020, superando
la soglia di 44 miliardi di tonnellate, ritenuta dagli esperti quella
limite per contenere il riscaldamento globale terrestre sotto i 2 °C.
L’indifferenza che dimostrano i Governi mondiali a questo problema
non è scalfita nemmeno dai costi economici che i cambiamenti
climatici determinano, stimati in un abbassamento del Pil mondiale
dell’1,6%, pari a 1200 miliardi di dollari, con trend di aumento
del 3,2% entro il 2030 e del 10% entro il 2100. Per loro si tratta
solo di costi necessari per mantenere l’attuale sistema di
sviluppo. Incredibile? No, è il capitalismo bellezza!
Anche l’acqua è a
rischio. Il quarto rapporto dell’Onu “World Water Development
Report” stima che un miliardo di persone hanno attualmente
difficoltà di accesso a questa risorsa – solo nell’Africa
sub-sahariana il 40% della popolazione. La difficoltà di accesso
all’acqua influirà anche nella produzione alimentare: entro il
2030, sempre secondo il rapporto Onu, Asia e Africa meridionale
saranno le regioni più vulnerabili per la scarsità di cibo.
L’Europa centrale e meridionale, invece, sopporteranno un
significativo stress idrico.
La terra scotterà di
più nel prossimo futuro. Gianfranco Bologna, Direttore
Scientifico del WWF, spiega come le 34 tonnellate di emissioni
prodotte nel 2011, il 3% in più rispetto al 2010, siano legate
esclusivamente alle attività dell’uomo e che “se i
trend attuali di emissioni dovessero continuare così come sta
avvenendo oggi, le emissioni cumulative causerebbero il sorpasso di
questo limite [1.000 – 1.500 tonnellate di emissioni cumulative
di CO2] entro i prossimi decenni”.
Per dare un’idea di
quanto i cambiamenti climatici influiranno sulle nostre abitudini di
vita, basti pensare che l’attuale maggior riscaldamento globale sta
mettendo a rischio in Canada lo stesso hockey su ghiaccio
all’aperto. Luoghi di culto di questo sport come il Rideau Canal
a Ottawa dovranno presto essere abbandonati a favore di luoghi al
coperto con ghiaccio artificiale. La rivista Envitonmental
Research Letters ha recentemente pubblicato uno studio che
attesta come gli inverni nelle regioni centrali e meridionali del
Canada siano sempre più miti e di minor durata, impendendo alle
temperature di scendere al punto da trasformare le gelate di acqua in
ghiaccio. I cambiamenti climatici in corso provocheranno, quindi,
sempre più frequentemente disastri ambientali e conseguenti fenomeni
di depauperamento delle vitali risorse naturali dell’ecosistema
terrestre.
“Se non invertirà
la tendenza in corso” hanno dichiarato gli scienziati dell’Onu
che studiano i cambiamenti climatici “ci aspettano inondazioni,
cicloni, tifoni, ondate di calore e siccità”, ricordando come
ormai tali fenomeni colpiscano un po’ dovunque nel pianeta: dalle
inondazioni italiane a quelle thailandesi, dalle emergenze siccità e
carestia che stanno devastando il Corno d’Africa all’emergenza
ciclone di New York e della costa occidentale degli USA e così via.
Il Vertice di Doha
si trova davanti questa situazione e vi si arriva con politiche
nazionali che nulla hanno fatto per rispettare l’impegno assunto
nel Vertice tenutosi nel 2011 a Durban di mantenere il riscaldamento
climatico entro i 2 °C. Un impegno frutto di un difficile
compromesso al ribasso, assunto con un documento esclusivamente di
intenti per poter garantire alle nazioni in forte crescita economica,
come Brasile, Cina, India e alle vecchie potenze mondiali, come USA e
Russia, nonché a nazioni fortemente industrializzate come il
Giappone o a quelle interessate all’estrazione di risorse fossili,
di continuare a mantenere i propri trend di sfruttamento delle
risorse e di produzione industriale inquinante, sostanzialmente
inalterati.
A Doha, in questi giorni,
i rappresentanti del BASIC – Brasile, Sud Africa, India e
Cina – sono determinati a fare fronte comune per non accettare
alcun vincolo ambientale che ne imbrigli la crescita. Nuova Zelanda e
Canada vi arrivano dopo aver persino ritirato la loro firma dal primo
accordo sul Clima, antecedente al compromesso di Durban. Il Giappone
non nasconde la propria contrarietà ad un possibile Kyoto-bis
e gli USA, già assenti alla ratifica del primo trattato, sembrano
decisi a non sottoscrivere impegni vincolanti. La Russia continua ad
eludere il problema. Solo l’Europa, con le sue tante contraddizioni
interne – si pensi alla posizione pro carbone della Polonia e degli
Stati dell’ex blocco socialista – e l’Australia sembrano
d’accordo per sottoscrivere qualche impegno volto almeno ad
attenuare le cause che stanno determinando i cambiamenti climatici.
Un quadro sconfortante
che ben fotografa il disinteresse dei Governi al cuore del problema
posto dall’emergenza climatica e ambientale in cui siamo immersi:
l’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo e dei trend
di crescita industriale.
D’altra parte se i due
ultimi Vertici sul Clima si sono tenuti a Durban e a Doha, il primo
in Sud Africa, paese capitalistico emergente che non intende
rinuciare in nessun modo alla crescita economico-industriale in corso
e il secondo, in Qatar, uno dei massimi produttori di petrolio e tra
i capofila degli Stati che non intendono rinunciare al potere
conferitogli dalla presenza di risorse fossili nel proprio
sottosuolo, una ragione ci sarà pure. Ed è quella che il modello di
sviluppo capitalistico globalizzato e l’ideologia dominante
neoliberista non vanno messe in discussione da nessuna questione
ambientale, sia che si tratti di politiche di attenuazione degli
effetti negativi sul Clima e l’ambiente, sia, tanto meno, che si
tratti di cambiamenti radicali del sistema economico e produttivo
dominante.
Nell’agenda politica
degli Stati la questione ambientale è precipitata all’ultimo
posto; anche dove sono presenti partiti Verdi, ormai imbrigliati
nella matassa delle compatibilità delle politiche ambientali e della
green economy con il sistema produttivo, economico e
finanziario capitalistico. E la crisi finanziaria ed economica
mondiale rende ancora più evidente questa situazione,
marginalizzando qualsiasi politica o azione che ponga la necessità
di limiti a questo tipo di sviluppo o promuova modelli di produzione,
di consumo e di vita diversi da quelli dissipativi dominanti, ponendo
vincoli alla produzione e allo sfruttamento delle risorse naturali a
favore dell’ambiente e della salute.
La tanto sbandierata
green economy, che sembrava dovesse essere il motore della
ripresa targata Obama, si è presto arenata di fronte alla forza e ai
condizionamenti dei poteri basati sul possesso dei giacimenti di
risorse fossili. Segnali diversi non se ne vedono nel resto del mondo
e in Italia, prima si è cercato di frenarla con provvedimenti
fiscali e tagli ai finanziamenti, poi di “inquinarla”
ulteriormente con le manovre dei Ministri Passera e Clini volte a
rendere strategico il recupero energetico attraverso
l’incenerimento dei rifiuti, favorendo gli inceneritori e,
soprattutto, i cementieri, consentendo persino di produrre cemento
con i rifiuti speciali. L’importanza assegnata dagli ultimi Governi
al carbone è un ulteriore segnale che questo ceto politico non
intende affatto dare credito ai rischi ambientali evidenziati dagli
studi internazionali sui cambiamenti climatici.
L’indifferenza per le
condizioni ambientali del nostro territorio è evidente nella
mancanza di accenni a tale proposito del Primo Ministro Monti; nella
pervicacia con cui insiste insieme al Ministro Passera per
rilanciare, di fatto, tutte le Grandi Opere berlusconiane a partire
dalla Torino-Lione; nell’atteggiamento assunto da Clini e ora da
tutto il Governo sulla questione Ilva e dai pochi contraddittori
provvedimenti legislativi in materia ambientale assunti. Ecco allora
che situazioni come quelle determinatesi a causa delle recenti
perturbazioni metereologiche, dove si è evidenziato agli occhi di
tutti che la vera emergenza nel nostro Paese è quella del dissesto
idrogeologico, le risposte che ci si attenderebbe – un grande piano
di opere di messa in sicurezza del territorio, di riordino dei fiumi,
di razionalizzazione edilizia – non vengono neanche menzionate.
Legambiente, in
uno specifico dossier sull’argomento – “I costi del rischio
idrogeologico. Emergenza e prevenzione” – ci informano di
come, negli ultimi 60 anni, ogni anno almeno 4 regioni sono state
colpite da eventi metereologici che hanno causato frane e alluvioni,
spesso con conseguenze catastrofiche e come, negli ultimi 10 anni, la
frequenza di questi eventi è ulteriormente aumentata, con il
raddoppio ogni anno delle regioni colpite. Il momento – la crisi
economica e l’alto tasso di disoccupazione – sembrerebbe propizio
a “svoltare” decisamente pagina nel quadro delle priorità da
assegnare alle opere pubbliche necessarie, modulando verso interventi
utili per il territorio importanti settori industriali come, ad
esempio, quello edilizio. Invece nulla di tutto questo viene fatto.
Ma se il Governo dei “Tecnici” dimostra in tutti i sensi la sua
anima neoliberista non è che dai partiti del centro sinistra e dalle
grandi organizzazioni sindacali arrivino segnali migliori. Durante le
Primarie del Centro Sinistra Bersani ha parlato soprattutto di
lavoro e di crescita mentre le questioni ambientali sono state tutte
ricondotte ad un accenno alla green economy.. Da Renzi il
nulla assoluto mentre da Vendola qualche accenno in più
all’ambiente è arrivato ma solo ancorandolo alla questione del
lavoro, senza per altro neppure accennare a quale tipo di lavoro e a
quale modello di sviluppo. Di diverso modello di sviluppo non ha mai
accennato neanche la Fiom . Eppure, di fronte al caso Ilva,
alla crisi Fiat e alla chiusura delle miniere in Sardegna ci si
dovrebbe porre la questione di cosa, come e per quale scopo produrre
oltrechè la questione della salute e della sostenibilità
ambientale. Poteva essere finalmente il momento di un ravvedimento,
seppur tardivo, da un modello di sviluppo energivoro, dissipativo
delle risorse, inquinante per porsi il problema di come collocarsi di
fronte alla crisi ambientale avanzante. Invece nulla di tutto ciò.
A Doha si dovrebbe
parlare di risparmio energetico, di fonti rinnovabili, di nuove
infrastrutture legate a queste, di decarbonizzazione e piani di
riduzione drastica delle emissioni in atmosfera, di difesa delle
risorse naturali – in primo luogo dell’acqua – di biodiversità
e agricoltura sostenibile.
Non sarà così. Le
ricette per uscire dalla crisi dettate dal sistema finanziario e
bancario e dal neoliberalismo imperante vanno assolutamente in senso
contrario e il silenzio assegnato da tutti i media al Vertice di Doha
sta a dimostrare la residualità della questione ambientale e
climatica nelle agende politiche nazionali e internazionali.
Purtroppo anche per i
movimenti la questione ambientale sembra essere scesa nelle priorità,
compressi come sono dalla drammaticità della crisi, dall’erosione
dei diritti e dall’aggressività del Potere. Le giornate di Seattle
e Genova con al centro dello scontro la critica radicale alla
globalizzazione neoliberista e le questioni ambientali sono lontane
ma i nodi sono rimasti, anzi si sono ulteriormente aggrovigliati.
Rimettere al centro del dibattito e dell’agire nella crisi questi
temi diventa più che urgente, assolutamente necessario. In Italia
poi è da colmare un vuoto e risanare i guasti lasciati da un
ambientalismo timido e, spesso, troppo condizionato dai compromessi e
dalle compatibilità con il sistema dominante.
Percorso di
lettura:
Sul tema ci sono
tantissimi saggi e contributi che forniscono dati e analisi sulla
condizione del Pianeta. Ho preferito fornire un piccolo percorso di
lettura che, insieme alla godibilità delle storie, in qualche modo
approcci al problema. Per questo consiglio:
James Ballard
“Vento dal nulla”
Mondadori, Collana Urania n.288, 1961
“Deserto d’acqua”
Mondadori, Collana Urania n.311, 1962, con il titolo “Il mondo
sommerso” Editore Feltrinelli, 2005
“Terra bruciata”
Mondadori, Collana Urania n.417, 1964
“Foresta di
cristallo” Editore Dalai, 1999
I quattro romanzi sono
stati editi insieme in un volume unico Mondadori “I Massimi della
Fantascienza”, 1986
T. Coraghessan Boyle
“Amico della terra”
Einaudi, 2001
Frank Schatzing
“Il quinto giorno”
Editrice Nord, 2005, Edizioni TEA, 2007
Per finire, sulle guerre
per le risorse (petrolio) invito a leggere con questa chiave il
bellissimo ciclo di Frank Herbert “Dune” (6 volumi
editi dalla Editrice Nord e ora riediti da Fanucci Editore) e di Alan
D. Altieri “Kondor” Editrice TEA.