di Astrit Dakli
Elezioni paradossali quelle che si svolgono oggi in Russia. Il risultato è dato per scontato da tutti Vladimir Putin tornerà al Cremlino dopo quattro anni di assenza, probabilmente senza nemmeno dover affrontare il ballottaggio.
Quattro anni dopo è ancora un trionfo annunciato.
Ma il popolo vuole riforme e welfare – ma i significati che ognuno attribuisce a questo sono profondamente diversi.
Per molti oppositori che negli ultimi tre mesi hanno fatto notizia scendendo in piazza a decine di migliaia con la richiesta-slogan di «elezioni pulite» e poi, più esplicitamente, di «Russia senza Putin», sarà la definitiva conferma della irriformabilità del sistema e dunque della necessità di portare la lotta su un piano diverso e più efficace –senza peraltro che una strategia in questo senso sia stata in qualche modo delineata. Non a caso hanno già prenotato per domani gli spazi per le manifestazioni di protesta contro quella che considerano a priori una vittoria truccata (ci sarà una nuova catena umana tutt’intorno al centro della capitale), ma non sembra che nessuno dei numerosi leader riuniti in questi mesi dall’entusiasmo dei «nastri bianchi» indignati sappia bene cosa fare in seguito, se non genericamente continuare a protestare.
Per la maggioranza dei russi, al contrario, sarà un evento tranquillizzante: dopo mesi di incertezza e confusione, un punto fermo per ricominciare a lavorare nella stabilità e nell’ordine che, bene o male,hanno caratterizzato gli ultimi dodici anni dopo il terribile decennio elsiniano.
I sondaggi, anche i più indipendenti dal potere, concordano nel segnalare che in gran parte del paese il consenso nei confronti di Putin è andato crescendo in questi mesi in parallelo con il montare della protesta a Mosca, San Pietroburgo e poche altre grandi città.
Le pur pacifiche e ordinate proteste della giovane middle class urbana potrebbero finire per togliere voti agli altri candidati ammessi in gara - il comunista Zyuganov, il populista Zhirinovskij, il socialdemocratico Mironov e il liberale Prokhorov, spingendo molti cittadini a riversare le loro preferenze su Putin. L’esito scontato del voto soddisfa anche il mondo del business, interno e internazionale, sempre favorevole alla continuità e timoroso di salti nel buio: tanto più in questo caso, visto che gli anni del tandem Putin-Medvedev sono stati favolosamente propizi per gli affari. I mercati, insomma,votano Putin a dispetto di quelli che sono gli auspici dei governi occidentali, Usa in testa.
Quello che dovrebbe essere più preoccupato, a partire da stasera, è probabilmente proprio Putin, che si ritroverà sì vincitore, ma in una Russia che non è più la stessa, lui stesso cambiato e con grandissime difficoltà davanti a sé. Per la prima volta nella sua ormai lunga carriera politica, Putin ha dovuto impegnarsi in una vera campagna elettorale,non tanto contro i suoi avversari sulla scheda ma contro la tumultuosa opposizione che lo accusa di distruggere la democrazia. Ha dovuto assumere inediti impegni di trasparenza e di pulizia nelle elezionie nella gestione della cosa pubblica: consentire grandi manifestazioni contro di lui, installare in tutti i seggi della Russia un sistema di videocamere che teoricamente dovrebbero consentire a ogni cittadino di monitorare la regolarità delle operazioni di voto in ogni seggio (un sistema che non risolverà niente ma che comunque vedrà oggi centinaia di migliaia di cittadini tentar di controllare i seggi).
Ha dovuto accettare l’idea di riforme istituzionali vere, come l’elezione diretta dei governatori regionali. Ben più importante, il candidato Putin ha dovuto promettere mari emonti, andando probabilmente molto al di là di quelle che sono le reali possibilità dello stato russo.
Aumento di salari e pensioni, mantenimento dell’età pensionabile a 55 e 60 anni, miglioramenti decisivi nel sistema scolastico e in quello sanitario, nei trasporti, per la casa; e ancora, posti di lavoro e progressi nell’industria di stato e in particolare in quella militare, apertura ulteriore agli investimenti esteri...
Insomma di tutto. I suoi stessi uomini ammettono che non sarà facile mantenere promesse fatte calcolando un prezzo del petrolio altissimo (la base, insieme al gas, delle entrate statali), sopra i 150 dollari al barile, per i prossimi tre-quattro anni.
E se non ci riuscirà? Ormai i trucchi e le «risorse amministrative» non solo non bastano più per vince-re le elezioni ma rischiano anche di far esplodere di rabbia il paese.
Il partito, Russia Unita, dopo il disastro elettorale di dicembre, malamente coperto da brogli e mano-vre, è ormai in sfacelo e molto probabilmente dopo le elezioni verrà azzerato nel tentativo di ricostruire qualcosa ex novo. Gli alleati, a partire dal presidente uscente Medvedev, stanno tutti prendendo le distanze e tirandosi da parte, in attesa di vedere come va. Vladimir Vladimirovic, questa volta, rischia di veder messe le sue capacità, pur grandi, davvero a dura prova.