di David Lifodi
“Abbiamo dimostrato di saper amministrare le fabbriche meglio dei padroni” ripetono con orgoglio i lavoratori delle empresas recuperadas in tutta l’America Latina. In principio fu l’argentina Gipmetal di Avellaneda: chiusa nel 2000 in piena crisi economica di quella che un tempo era considerata la Svizzera del Sudamerica: gli operai la occuparono creando una cooperativa e al suo interno nacque il Movimiento Nacional de Fábricas Recuperadas. La fabbrica, che produceva tubi di rame, è addirittura cresciuta, sono stati assunti altri operai e lo stipendio non è da disprezzare. Poi vennero i documentari di Naomi Klein e Pino Solanas (“The Take” e “La dignidad de los nadies”) e il movimento da argentino divenne continentale.
In Brasile la lotta per il recupero delle fabbriche è salita agli onori della cronaca grazie alle storie di Cipla, Ellen Metalurgica e Flaskô che producono rispettivamente pompe per l’estrazione del greggio, pezzi di ricambio per la costruzione dei filtri dell’acqua ed imballaggi di plastica industriale. E ancora potremmo parlare di casi simili in Venezuela e Messico.
Tutte le storie hanno però un denominatore comune: ricatti ad opera di affaristi senza scrupoli, scelte economiche fatte passare come necessarie per il buon andamento delle fabbriche ed il benessere dei lavoratori, la presenza di leaders sindacali filopadronali. Vi ricorda qualcosa? Torino, Mirafiori? Certo, ma anche Città del Messico, San Paolo, Buenos Aires, storie di sindacati gialli contrapposte alla dignità operaia. Neuquén, nord della Patagonia, Argentina: la Zanon è divenuta un simbolo grazie al documentario di Naomi Klein. Dal 2002 la fabbrica, che produce ceramiche e piastrelle, è sin patrones y bajo el control obrero. Ai cronisti di movimento, ai giornalisti specializzati in imprese&finanza e ai militanti sociali ripetono che hanno ottimi riscontri a livello economico: ciò significa che gli operai sanno gestire le fabbriche e non c’è bisogno che il padrone (o l’amministratore delegato, come si usa dire oggi) lo faccia per loro. La storia della Zanon è comune ad altre. In breve: la famiglia che dirige la fabbrica, di origine veneta, ad un certo punto non paga gli stipendi ed improvvisamente chiude. Dopo occupazioni e sgomberi gli operai rientrano in fabbrica e cominciano a lavorare come prima, anzi, meglio di prima: si parte con l’autogestione.
In Argentina il Movimiento Nacional de Fábricas Recuperadas raggruppa circa ottanta fabbriche sparse per il paese e la legge varata sotto la presidenza di Nestor Kirchner (recentemente scomparso) prevede che i dipendenti riuniti in cooperativa possano riscattare le aziende e continuare con l’autogestione, anche se non tutte hanno aderito all’Mnfrt. La stessa Zanon, ad esempio, ritiene necessaria l’abolizione della proprietà privata poiché sarebbe alto il rischio di riproporre un sistema simile a quello capitalista. Aldilà di queste differenze (comunque significative e da cui è nato all’interno della stessa sinistra argentina un dibattito assai partecipato), tutte le decisioni vengono prese in assemblea. Lo spiegano bene spiegano i portavoce del Frente de empresas tomadas e em co-gestão (Freteco, il corrispondente brasiliano dell’Mnfrt), nonostante boicottaggi, intimidazioni e minacce di ogni tipo ad opera dei proprietari delle fabbriche in collaborazione con i sindacati a loro legati. La storia delle fabbriche recuperate brasiliane è addirittura antecedente a quelle argentine: risale al 1991 il primo recupero di un’impresa grazie agli operai. Si trattava delle “Calzature Makerli”, nella cintura industriale di San Paolo. Periodi di ferie obbligatori come anticamera del licenziamento anticipato, padroni in fuga con i macchinari, provocazioni dei capetti legati all’industriale di turno. Eppure gli operai spesso sono stati più forti di tutto questo: dai barattolisti di Città del Messico in giro sui mezzi pubblici a raccogliere soldi da devolvere in un fondo comune per uno sciopero al lavoro politico territoriale condotto dagli operai fino alle mobilitazioni che hanno evitato la messa all’asta di macchinari e strumenti di lavoro. In alcuni casi un’accorta gestione finanziaria è riuscita ad estinguere i debiti contratti con i padroni fino a potersi permettere, passo dopo passo, anche il versamento dei salari arretrati. Il caso della Zanon, adesso denominata Fasinpat (Fábrica Sin Patrones) è emblematico: all’inizio gli acquirenti erano soltanto militanti di sinistra desiderosi di sostenere per quanto potevano una lotta operaia, con il tempo il mercato dei clienti si è allargato anche a coloro che ritenevano “la fabbrica sotto il controllo operaio” uno slogan obsoleto. La risposta? Il numero dei lavoratori è raddoppiato e sono sommersi dagli ordini da smaltire.
Qui da noi persiste il mantra delle newco, ma cosa ne dite di empresas recuperada bajo el control obrero? Sicuramente suona meglio….
(tratto da:http://danielebarbieri.wordpress.com/2011/01/26/metal-hurlant-2-fabricas-sin-patrones-%E2%80%93-di-david-lifodi/)