Intorno alla guerra in Afghanistan
Dietro le dimissioni, dovute alla pubblicazione sul magazine RollingStone di dure critiche all'amministrazione, di Stanley Mc Chrystal, comandante delle truppe Usa in Afghanistan, si intravede la difficoltà di Obama a gestire la situazione afghana.
Ora a guidare le truppe sarà David Petraus, che però fino ad ora era diretto superiore di Mc Chrystal. Una sorte di nomina che fa retrocedere Petraus, uomo di cui si parla da tempo come probabile candidato futuro alla Casa Bianca.
Ma al di la delle "grandi manovre" resta l'impressione che il vero problema sia la reale difficoltà dell'operazione Afghanistan e il suo riverbero, in una fase già calante, della presidenza Obama.
A SEGUIRE LA RASSEGNA DELLA STAMPA INTERNAZIONALE
Time - Obama cambia generali
Politico - Strategia in Afghanistan
The Nation - E' ora di cambiare in Afghanistan
Da Il Manifesto Marco D'Eramo
La vicenda ha avuto la sua genesi Ora è ufficiale: lo Stato maggiore americano è più diviso dello spogliatoio della nazionale francese ai mondiali di calcio. Il reportage di RollingStone (uscirà a fine settimana) sul generale Stanley McChrystal, comandante in capo delle forze interalleate in Afghanistan, ha rivelato alla luce del giorno quel che faceva capolino già da mesi, e cioè che la guerra non è combattuta solo sul campo a Kandahar, ma anche sulle rive del Potomac, all'interno del Pentagono, tra generali, e dentro la Casa bianca. Non a caso per McChrystal il vero nemico sono «gli imbranati della Casa bianca». McChrystal ce l'ha con l'inviato speciale della Casa bianca, Richard Holbrooke, con il vicepresidente John Biden, e persino con il presidente Barack Obama che considera «un incompetente»; ma tratta ancora peggio gli ex generali di cui Obama si è attorniato: ce l'ha a morte con Karl Eikenberry, ora ambasciatore in Afghanistan, che aveva occupato lo stesso posto di McChrystal dal 2005 al 2007 come comandante in capo sul terreno; definisce un «clown» il consigliere per la sicurezza nazionale James Jones che pure era comandante in capo dei marine.
E McChrystal non è un ingenuo, non è il rude militare imbranato con la stampa. Gli insulti non gli escono per sbaglio: il direttore di RollingStone dice che il generale ha approvato l'articolo dopo averlo visionato. Quest'uscita somiglia quindi più a una prova di forza, o a una trappola, che a una gaffe. Ieri la Casa bianca ha convocato McChrystal a Washington, ma si trova in un dilemma insolubile. Per non perdere la faccia, Obama deve licenziarlo; ma se lo licenzia si addossa la responsabilità del fallimento dell'offensiva in Afghanistan che ricadrebbe tutta sulle sue spalle: era infatti su richiesta di McChrystal che l'inverno scorso Obama ha triplicato il corpo di spedizione da 30.000 a più di 100.000 uomini. Licenziare il comandante nel bel mezzo di un'offensiva fornirebbe ai militari il vecchio alibi vietnamita per un'eventuale sconfitta: «costretti a salire sul ring con un braccio legato dietro la schiena.
Per di più, il grande protettore di McChrystal è il suo diretto superiore, quel generale David Petraeus cui è attribuito il successo del «surge» in Iraq, e di cui McChrystal era il capo delle operazioni speciali proprio in Iraq. Petraeus è un possibile candidato presidenziale per i repubblicani e ha un alleato all'interno dell'Amministrazione, il ministro della Difesa Robert Gates. E i particolari cominciano ad andare al loro posto se si pensa che uno dei maggiori dissidi tra McChrystal e la Casa bianca riguarda il premier afghano Hamid Karzai. Da un anno attorno a Karzai si assiste a un balletto che rasenta la farsa. Durante le ultime elezioni afghane l'inviato speciale Holbrooke e l'ambasciatore Eikenberry spararono a zero sui brogli di Karzai, fornirono alla stampa documenti sul coinvolgimento del fratello di Karzai, Ahmed Wali, nel traffico di eroina. Ma Karzai non si fece intimidire: ad aprile minacciò di unirsi ai taleban se gli occidentali non la smettevano con le loro pressioni. Così, dopo i ceffoni, a maggio la Casa bianca lo ospitò con tutti gli onori in una visita di due giorni. Non solo, ma quando all'inizio di giugno si è tenuta a Kabul la Conferenza della pace (attaccata a colpi di mortai dai taleban), Karzai ha licenziato il capo dei servizi segreti Murella Saleh (già aiutante del comandante Massud) e il ministro degli interni Hanif Otmar, ambedue molto vicini agli Stati uniti, perché si rifiutavano d'incolpare gli americani per questi attacchi.Ma in fin dei conti Karzai è solo un Gauleiter: non dovrebbe avere la forza di resistere, anzi di ricattare i suoi padroni. Ma la forza gliela dà proprio Macchiereste che si è scontrato con Eikenberry proprio su Karzai che il generale considera il più affidabile alleato e con cui ha rapporti strettissimi: ormai lo ha incontrato più di 50 volte (e lo vede ogni domenica). Non stupisce che ieri Karzai abbia difeso a spada tratta il generale.Dal canto suo Eikenberry sabota sistematicamente le iniziative civili di Macchiereste nell'ambito della «conquista dei cuori e delle menti», per esempio ha impedito che l'esercito comprasse generatori e nafta per la città di Kandahar.La partita è complicata da due altri fattori. Il primo è che sono gli Stati uniti a finanziare indirettamente i taleban, come aveva rivelato mesi fa un articolo di The Nation, allora tradotto dal manifesto, e ieri confermato da un rapporto del Congresso: per consentire il passaggio dei convogli di approvvigionamento, il comando Usa paga i capi clan che controllano i territori attraversati dai convogli e una buona parte di questo denaro finisce ai taleban che in cambio di soldi accettano magnanimi di non attaccare i convogli nemici. Il secondo fattore è il Pakistan. Un recente rapporto della London School of Economics (Lse) mostra che i legami tra taleban e servizi segreti pakistani (Isi, Inter-service intelligence) sono persino più stretti di quanto si sapesse: secondo la Lse infatti, ufficiali dell'Isi partecipano addirittura alle riunioni del consiglio supremo dei taleban, cioè fanno parte del loro comando. Ecco perché, quando Karzai ha minacciato di unirsi ai taleban, ha fatto (fino ad allora inaudite) aperture al Pakistan, e ha voluto estromettere il suo ex capo dei servizi segreti Saleh dalla Commissione che stabilisce quali taleban possono essere cancellati dalla lista nera di terroristi.È in questo clima di spaventosa faida interna ai vertici, che gli Usa hanno lanciato l'offensiva estiva nel sudest dell'Afghanistan. Tanto che la città di Marja, la cui ripresa di controllo era stata annunciata con gran fanfara, è ora definita «un'ulcera aperta» da McChrystal che non vuole nemmeno più parlare di «offensiva».Per i taleban sono ottime notizie: a loro basta resistere, e aspettare che prima o poi gli americani si stanchino e se ne vadano. Ma in realtà fanno di più: giugno è il mese in cui sono morti più soldati della coalizione dall'inizio della guerra nel 2001. I soldati continuano a morire senza sapere perché, senza che nessuno possa spiegargli in che cosa consisterebbe mai vincere in Afghanistan.
Ora a guidare le truppe sarà David Petraus, che però fino ad ora era diretto superiore di Mc Chrystal. Una sorte di nomina che fa retrocedere Petraus, uomo di cui si parla da tempo come probabile candidato futuro alla Casa Bianca.
Ma al di la delle "grandi manovre" resta l'impressione che il vero problema sia la reale difficoltà dell'operazione Afghanistan e il suo riverbero, in una fase già calante, della presidenza Obama.
A SEGUIRE LA RASSEGNA DELLA STAMPA INTERNAZIONALE
Time - Obama cambia generali
Politico - Strategia in Afghanistan
The Nation - E' ora di cambiare in Afghanistan
Da Il Manifesto Marco D'Eramo
La vicenda ha avuto la sua genesi Ora è ufficiale: lo Stato maggiore americano è più diviso dello spogliatoio della nazionale francese ai mondiali di calcio. Il reportage di RollingStone (uscirà a fine settimana) sul generale Stanley McChrystal, comandante in capo delle forze interalleate in Afghanistan, ha rivelato alla luce del giorno quel che faceva capolino già da mesi, e cioè che la guerra non è combattuta solo sul campo a Kandahar, ma anche sulle rive del Potomac, all'interno del Pentagono, tra generali, e dentro la Casa bianca. Non a caso per McChrystal il vero nemico sono «gli imbranati della Casa bianca». McChrystal ce l'ha con l'inviato speciale della Casa bianca, Richard Holbrooke, con il vicepresidente John Biden, e persino con il presidente Barack Obama che considera «un incompetente»; ma tratta ancora peggio gli ex generali di cui Obama si è attorniato: ce l'ha a morte con Karl Eikenberry, ora ambasciatore in Afghanistan, che aveva occupato lo stesso posto di McChrystal dal 2005 al 2007 come comandante in capo sul terreno; definisce un «clown» il consigliere per la sicurezza nazionale James Jones che pure era comandante in capo dei marine.
E McChrystal non è un ingenuo, non è il rude militare imbranato con la stampa. Gli insulti non gli escono per sbaglio: il direttore di RollingStone dice che il generale ha approvato l'articolo dopo averlo visionato. Quest'uscita somiglia quindi più a una prova di forza, o a una trappola, che a una gaffe. Ieri la Casa bianca ha convocato McChrystal a Washington, ma si trova in un dilemma insolubile. Per non perdere la faccia, Obama deve licenziarlo; ma se lo licenzia si addossa la responsabilità del fallimento dell'offensiva in Afghanistan che ricadrebbe tutta sulle sue spalle: era infatti su richiesta di McChrystal che l'inverno scorso Obama ha triplicato il corpo di spedizione da 30.000 a più di 100.000 uomini. Licenziare il comandante nel bel mezzo di un'offensiva fornirebbe ai militari il vecchio alibi vietnamita per un'eventuale sconfitta: «costretti a salire sul ring con un braccio legato dietro la schiena.
Per di più, il grande protettore di McChrystal è il suo diretto superiore, quel generale David Petraeus cui è attribuito il successo del «surge» in Iraq, e di cui McChrystal era il capo delle operazioni speciali proprio in Iraq. Petraeus è un possibile candidato presidenziale per i repubblicani e ha un alleato all'interno dell'Amministrazione, il ministro della Difesa Robert Gates. E i particolari cominciano ad andare al loro posto se si pensa che uno dei maggiori dissidi tra McChrystal e la Casa bianca riguarda il premier afghano Hamid Karzai. Da un anno attorno a Karzai si assiste a un balletto che rasenta la farsa. Durante le ultime elezioni afghane l'inviato speciale Holbrooke e l'ambasciatore Eikenberry spararono a zero sui brogli di Karzai, fornirono alla stampa documenti sul coinvolgimento del fratello di Karzai, Ahmed Wali, nel traffico di eroina. Ma Karzai non si fece intimidire: ad aprile minacciò di unirsi ai taleban se gli occidentali non la smettevano con le loro pressioni. Così, dopo i ceffoni, a maggio la Casa bianca lo ospitò con tutti gli onori in una visita di due giorni. Non solo, ma quando all'inizio di giugno si è tenuta a Kabul la Conferenza della pace (attaccata a colpi di mortai dai taleban), Karzai ha licenziato il capo dei servizi segreti Murella Saleh (già aiutante del comandante Massud) e il ministro degli interni Hanif Otmar, ambedue molto vicini agli Stati uniti, perché si rifiutavano d'incolpare gli americani per questi attacchi.Ma in fin dei conti Karzai è solo un Gauleiter: non dovrebbe avere la forza di resistere, anzi di ricattare i suoi padroni. Ma la forza gliela dà proprio Macchiereste che si è scontrato con Eikenberry proprio su Karzai che il generale considera il più affidabile alleato e con cui ha rapporti strettissimi: ormai lo ha incontrato più di 50 volte (e lo vede ogni domenica). Non stupisce che ieri Karzai abbia difeso a spada tratta il generale.Dal canto suo Eikenberry sabota sistematicamente le iniziative civili di Macchiereste nell'ambito della «conquista dei cuori e delle menti», per esempio ha impedito che l'esercito comprasse generatori e nafta per la città di Kandahar.La partita è complicata da due altri fattori. Il primo è che sono gli Stati uniti a finanziare indirettamente i taleban, come aveva rivelato mesi fa un articolo di The Nation, allora tradotto dal manifesto, e ieri confermato da un rapporto del Congresso: per consentire il passaggio dei convogli di approvvigionamento, il comando Usa paga i capi clan che controllano i territori attraversati dai convogli e una buona parte di questo denaro finisce ai taleban che in cambio di soldi accettano magnanimi di non attaccare i convogli nemici. Il secondo fattore è il Pakistan. Un recente rapporto della London School of Economics (Lse) mostra che i legami tra taleban e servizi segreti pakistani (Isi, Inter-service intelligence) sono persino più stretti di quanto si sapesse: secondo la Lse infatti, ufficiali dell'Isi partecipano addirittura alle riunioni del consiglio supremo dei taleban, cioè fanno parte del loro comando. Ecco perché, quando Karzai ha minacciato di unirsi ai taleban, ha fatto (fino ad allora inaudite) aperture al Pakistan, e ha voluto estromettere il suo ex capo dei servizi segreti Saleh dalla Commissione che stabilisce quali taleban possono essere cancellati dalla lista nera di terroristi.È in questo clima di spaventosa faida interna ai vertici, che gli Usa hanno lanciato l'offensiva estiva nel sudest dell'Afghanistan. Tanto che la città di Marja, la cui ripresa di controllo era stata annunciata con gran fanfara, è ora definita «un'ulcera aperta» da McChrystal che non vuole nemmeno più parlare di «offensiva».Per i taleban sono ottime notizie: a loro basta resistere, e aspettare che prima o poi gli americani si stanchino e se ne vadano. Ma in realtà fanno di più: giugno è il mese in cui sono morti più soldati della coalizione dall'inizio della guerra nel 2001. I soldati continuano a morire senza sapere perché, senza che nessuno possa spiegargli in che cosa consisterebbe mai vincere in Afghanistan.