4 giorni di riot nel North Belfast
Raggiungere Belfast da Londra fa effetto. Dalla metropoli che sembra capace di assimilare tutto, soprattutte le forme di vita anti-sistema, alla capitale dell'Irlanda del Nord spesso in prima pagina dei quotidiani fino a 15 anni fa e ora scomparsa dai media mainstream internazionali.
Un tempo, un ragazzino a digiuno di geografia, poteva confondere Belfast con Beirut. E non solo per assonanza di consonanti e vocali. Certo, i motivi del conflitto erano (sono) molto diversi, ma le immagini che giravano il mondo mostravano gli stessi segni devastanti della guerra.
Belfast oggi. Sembra un passato lontanissimo quello dei Troubles, il periodo, decennio '70, dei grandi riot e della guerriglia dei repubblicani dell'IRA (divisa in Official e Provisional, quest'ultima molto attiva e con forte radicamento sociale). E, ovviamente, dell'occupazione militare della Gran Bretagna e delle violenze dei gruppi paramilitari unionisti (UVF e molti altri dei cosiddetti 'lealisti').
Oggi è in vigore un cessate il fuoco da parte delle organizzazioni repubblicane e lealiste successivo all'accordo di Belfast (Good Friday Agreement) del 1998 che ha portato anche al decommissioning da parte di (quasi) tutti i gruppi armati.
A sentire qualche nordirlandese, più che contenti della situazione che si è creata dopo il 1998, i repubblicani sembrano ora solo stanchi e disillusi. Coloro che hanno attraversato anni di scontri violentissimi di piazza, di esplosioni, di sangue dicono di volere solo la "pace", perlomeno a parole, ben condite da una buona stout al pub.
Come in un paesino al Nord dell'Ulster, Cushendall, abitato da cattolici e da sempre rifugio di repubblicani radicali, sprofondato nel torpore. Lavoro, quel che si può. Poi birra, musica e chiacchiere rumorose al pub. Poco altro. In provincia è difficile anche trovare una bandiera irlandese, figurarsi i simboli delle organizzazioni radicali.
E la parata degli Orange1 che prima del 1998 scatenava regolarmente scontri, ora te la trovi perfino nel book turistico all'Ufficio informazioni in centro a Belfast.
Per i media il processo di pace tra unionisti (sostenitori della Gran Bretagna) e indipendentisti (irlandesi) sembra a buon punto. Il Sinn Fein, storico partito indipendentista, firmatario degli accordi del 1998, "co-governa" il paese dal Parlamento di Stormont: insieme, un capo militare dell'IRA, politici del Sinn Fein e conservatori protestanti. La virulenza irlandese sembra un ricordo e, raramente, affiora solo nelle discussioni al pub. La diaspora degli irriducibili ha prodotto micro organizzazioni (Real IRA e Continuity IRA e forse un'altra, nuova) lontane anni luce da ciò che fu Provisional IRA nei '70. Stessa cosa per i dissidenti del partito Sinn Fein, Repubblican Sinn Fein, 32Csm, Irish Repubblican Socialist Party, Repubblican Network for unity, Irish Repubblican Prisoners of war association.
I murales aggressivi che segnavano il territorio sono meta di turismo o vengono coperti con altri che inneggiano alla pace. Con tanto di finanziamento pubblico.
Anche la tradizionale messa ai margini dei cattolici in tutti gli ambiti della vita del paese sembra un brutto ricordo del passato. O almeno questo è quello che si legge sui giornali: hanno scritto così tanto sulla necessità-efficacia di questi accordi che anche alcuni irlandesi, adulti, delle 6 contee hanno probabilmente cominciato a crederci.
Poi si avvicina il 12 luglio di quest'anno. È prevista come sempre la parata degli Orange a Belfast e come sempre attraverserà anche un quartiere a prevalenza cattolica, quello di Ardoyne. In quel giorno arriviamo a Belfast e giriamo per l'Irlanda del Nord - nei paesi a maggioranza protestante è tutto un susseguirsi di union jacks (la bandiera del Regno Unito), bandiere dell'Inghilterra e degli Orange - e i cattolici, a quel che ci dicono, evitano in quel giorno di avventurarsi in quei luoghi. Il giorno prima della marcia unionista scoppiano scontri violenti a Belfast, soprattutto tra repubblicani e polizia. Anche il giorno della marcia ci sono scontri, iniziati quando la polizia prova a spostare fisicamente un gruppo di attivisti del G.A.R.C. (Greater Ardoyne Residents Collective) che stanno bloccando pacificamente la strada da dove doveva passare la parata lealista. Poi continuano nei due giorni successivi. Auto bruciate, molotov, sassi, barricate e anche qualche colpo d'arma da fuoco, i rioters. Pallottole di gomma, gas, cannoni ad acqua, la polizia. Decine di poliziotti feriti. Per quattro giorni Ardyone sembra in pieni Troubles.
Nei giornali locali come il Belfast Telegraph: cronaca, qualche commento stupito, molta disapprovazione e le immancabili dichiarazioni della PSNI (la polizia nordirlandese nata nel 1998, nome cambiato, ma sempre la stessa per i repubblicani) che afferma che arriverà presto agli arresti dei responsabili grazie ai molti video.
I rioters sono soprattutto giovani irlandesi, la maggior parte dei quali non ha nè visto, nè tantomeno ha partecipato ai Troubles. Giovani e giovanissimi capaci di liberare una rabbia esplosiva.
I discorsi sulle motivazioni del riot più duro degli ultimi anni, paradossalmente, accomunano istituzioni (media, politici) e cittadini cattolici, anche ex militanti repubblicani, di una certa età, diciamo dai quarant'anni in su.
I giovani rioters sono bulli, disadattati. Giovani sotto l'effetto della droga e dell'acol che vivono il riot come un videogame.
La gente qui non li capisce e non li segue, ormai vuole solo la pace, questo ci conferma anche Arthur, ingrigito cattolico repubblicano, tra un paio di birre in una calorosa accoglienza in un pub a Falls Road (la strada simbolo dei cattolici di West Belfast).
Ma come si vive, da irlandese (ma forse anche da protestante), nelle 6 contee dell'Ulster, ancora parte della Gran Bretagna nonostante l'accordo del 1998?
L'eccezionalità delle leggi speciali d'emergenza è diventata la normalità. Gli apparati di sicurezza sono ancora quelli. E, seppur ridotta, la condizione di inferiorità degli irlandesi rispetto ai protestanti non è venuta meno. Il wallpeace, il muro della pace, a dispetto di quanto si dice, è ancora lì che incombe, minaccioso, a separare aree repubblicane da quelle unioniste, entrambe misere e disperate. Non molto diverso da quello costruito dagli israeliani in Palestina. Non è davvero credibile, come sembrano convinti moltissimi commentatori, che il riaccendersi dei fuochi sia semplicemente dovuto al fatto che il Sinn Fein non ha ancora ottenuto una legge sull'uso della lingua gaelica. Che, a parte il suo limitatissimo uso propagandistico (o turistico), nessuno parla più.
Ciò che il dominio inglese ha prodotto, dalla politica delle plantations2 ad oggi, sono antagonismi tra le due comunità che difficilmente si possono risolvere sotto il prepotente controllo di Sua Maestà. L'isola dominante è probabilmente stanca di tenersi questa fettina di Irlanda che ormai la sta solo gravando di costi. Ma non può permettersi di lasciarla. Chi fino ad oggi, nel Nord Irlanda, si è sentito, ed effettivamente è stato, classe dominante, non vuole mollare lo scettro.
Oltre agli strascichi della storia, anche nel Nord Irlanda è venuta a maturazione una crisi globale i cui effetti solo parzialmente hanno risparmiato l'area. Il resto dell'isola è letteralmente sprofondato, con un governo che, terrorizzato, ha, prima ancora della Grecia, imposto ai propri cittadini sacrifici pesantissimi. A Dublino basta semplicemente guardarsi attorno camminando in centro: moltissime attività chiuse, tant* giovani a chiedere l'elemosina per strada... (mentre giriamo la città, il contrasto con l'immagine di una Dublino in pieno sviluppo che ci dà la guida che abbiamo in mano, una Lonely Planet di soli quattro anni fa, è impressionante)
Alcune zone delle 6 contee dell'Ulster, grazie al limitato salvagente inglese, in parte sono state risparmiate. Belfast centro appare poco segnata. Negozi eleganti, pub vivaci, iniziative culturali.
La Belfast dei quartieri è un altro discorso: misere casette, squallore. Da entrambo le parti (cattolici e protestanti). E la disoccupazione che inesorabilmente sale3.
L'intreccio tra effetti della crisi, disillusione rispetto ad accordi di pace che stanno cambiando troppo poco, le tradizionali organizzazioni, politiche e militari, completamente assorbite nel gioco istituzionale e separate dalla gente dei quartieri, tutto ciò può aver concorso alla maturazione della rabbia liberata in queste giornate di luglio. E se gli adulti sono stanchi e preferiscono stare in disparte, i giovanissimi invece no. "Young people in this area have nowhere to go, nothing to do and that's society's fault", afferma in un'intervista al Telegraph l'ex-IRA Martin Og Meehan.
Una lotta con tratti no future forse, soprattutto perché non sembra avere chiaro per cosa si lotta (per l'unità con l'Irlanda? certo... ma essere senza casa e lavoro di qua o di là non fa ormai molta differenza).
Ma questo appare essere un aspetto comune ad altre drammatiche lunghe situazioni di conflitto.
Note:
1. Orange Order. Organizzazione protestante e unionista, fedele alla Gran Bretagna. È l'organizzatrice di The twelfth, la parata in cui gli unionisti festeggiano la vittoria della battaglia del fiume Boyne avvenuta il 12 luglio 1690, che garantì la superiorità dei protestanti nell'Ulster.
2. Plantations. Si chiama così, piantagioni. È la politica di colonizzazione dell'Irlanda del Nord operata dalla Gran Bretagna. In questo modo ha determinato un ribaltamento delle percentuali nell'area. L'Ulster è diventata un'area a maggioranza protestante.
3. Si prevedono 70000 richieste di assegni di disoccupazione per il 2012. Belfast Telegraph -b 15 luglio 2010.
Un tempo, un ragazzino a digiuno di geografia, poteva confondere Belfast con Beirut. E non solo per assonanza di consonanti e vocali. Certo, i motivi del conflitto erano (sono) molto diversi, ma le immagini che giravano il mondo mostravano gli stessi segni devastanti della guerra.
Belfast oggi. Sembra un passato lontanissimo quello dei Troubles, il periodo, decennio '70, dei grandi riot e della guerriglia dei repubblicani dell'IRA (divisa in Official e Provisional, quest'ultima molto attiva e con forte radicamento sociale). E, ovviamente, dell'occupazione militare della Gran Bretagna e delle violenze dei gruppi paramilitari unionisti (UVF e molti altri dei cosiddetti 'lealisti').
Oggi è in vigore un cessate il fuoco da parte delle organizzazioni repubblicane e lealiste successivo all'accordo di Belfast (Good Friday Agreement) del 1998 che ha portato anche al decommissioning da parte di (quasi) tutti i gruppi armati.
A sentire qualche nordirlandese, più che contenti della situazione che si è creata dopo il 1998, i repubblicani sembrano ora solo stanchi e disillusi. Coloro che hanno attraversato anni di scontri violentissimi di piazza, di esplosioni, di sangue dicono di volere solo la "pace", perlomeno a parole, ben condite da una buona stout al pub.
Come in un paesino al Nord dell'Ulster, Cushendall, abitato da cattolici e da sempre rifugio di repubblicani radicali, sprofondato nel torpore. Lavoro, quel che si può. Poi birra, musica e chiacchiere rumorose al pub. Poco altro. In provincia è difficile anche trovare una bandiera irlandese, figurarsi i simboli delle organizzazioni radicali.
E la parata degli Orange1 che prima del 1998 scatenava regolarmente scontri, ora te la trovi perfino nel book turistico all'Ufficio informazioni in centro a Belfast.
Per i media il processo di pace tra unionisti (sostenitori della Gran Bretagna) e indipendentisti (irlandesi) sembra a buon punto. Il Sinn Fein, storico partito indipendentista, firmatario degli accordi del 1998, "co-governa" il paese dal Parlamento di Stormont: insieme, un capo militare dell'IRA, politici del Sinn Fein e conservatori protestanti. La virulenza irlandese sembra un ricordo e, raramente, affiora solo nelle discussioni al pub. La diaspora degli irriducibili ha prodotto micro organizzazioni (Real IRA e Continuity IRA e forse un'altra, nuova) lontane anni luce da ciò che fu Provisional IRA nei '70. Stessa cosa per i dissidenti del partito Sinn Fein, Repubblican Sinn Fein, 32Csm, Irish Repubblican Socialist Party, Repubblican Network for unity, Irish Repubblican Prisoners of war association.
I murales aggressivi che segnavano il territorio sono meta di turismo o vengono coperti con altri che inneggiano alla pace. Con tanto di finanziamento pubblico.
Anche la tradizionale messa ai margini dei cattolici in tutti gli ambiti della vita del paese sembra un brutto ricordo del passato. O almeno questo è quello che si legge sui giornali: hanno scritto così tanto sulla necessità-efficacia di questi accordi che anche alcuni irlandesi, adulti, delle 6 contee hanno probabilmente cominciato a crederci.
Poi si avvicina il 12 luglio di quest'anno. È prevista come sempre la parata degli Orange a Belfast e come sempre attraverserà anche un quartiere a prevalenza cattolica, quello di Ardoyne. In quel giorno arriviamo a Belfast e giriamo per l'Irlanda del Nord - nei paesi a maggioranza protestante è tutto un susseguirsi di union jacks (la bandiera del Regno Unito), bandiere dell'Inghilterra e degli Orange - e i cattolici, a quel che ci dicono, evitano in quel giorno di avventurarsi in quei luoghi. Il giorno prima della marcia unionista scoppiano scontri violenti a Belfast, soprattutto tra repubblicani e polizia. Anche il giorno della marcia ci sono scontri, iniziati quando la polizia prova a spostare fisicamente un gruppo di attivisti del G.A.R.C. (Greater Ardoyne Residents Collective) che stanno bloccando pacificamente la strada da dove doveva passare la parata lealista. Poi continuano nei due giorni successivi. Auto bruciate, molotov, sassi, barricate e anche qualche colpo d'arma da fuoco, i rioters. Pallottole di gomma, gas, cannoni ad acqua, la polizia. Decine di poliziotti feriti. Per quattro giorni Ardyone sembra in pieni Troubles.
Nei giornali locali come il Belfast Telegraph: cronaca, qualche commento stupito, molta disapprovazione e le immancabili dichiarazioni della PSNI (la polizia nordirlandese nata nel 1998, nome cambiato, ma sempre la stessa per i repubblicani) che afferma che arriverà presto agli arresti dei responsabili grazie ai molti video.
I rioters sono soprattutto giovani irlandesi, la maggior parte dei quali non ha nè visto, nè tantomeno ha partecipato ai Troubles. Giovani e giovanissimi capaci di liberare una rabbia esplosiva.
I discorsi sulle motivazioni del riot più duro degli ultimi anni, paradossalmente, accomunano istituzioni (media, politici) e cittadini cattolici, anche ex militanti repubblicani, di una certa età, diciamo dai quarant'anni in su.
I giovani rioters sono bulli, disadattati. Giovani sotto l'effetto della droga e dell'acol che vivono il riot come un videogame.
La gente qui non li capisce e non li segue, ormai vuole solo la pace, questo ci conferma anche Arthur, ingrigito cattolico repubblicano, tra un paio di birre in una calorosa accoglienza in un pub a Falls Road (la strada simbolo dei cattolici di West Belfast).
Ma come si vive, da irlandese (ma forse anche da protestante), nelle 6 contee dell'Ulster, ancora parte della Gran Bretagna nonostante l'accordo del 1998?
L'eccezionalità delle leggi speciali d'emergenza è diventata la normalità. Gli apparati di sicurezza sono ancora quelli. E, seppur ridotta, la condizione di inferiorità degli irlandesi rispetto ai protestanti non è venuta meno. Il wallpeace, il muro della pace, a dispetto di quanto si dice, è ancora lì che incombe, minaccioso, a separare aree repubblicane da quelle unioniste, entrambe misere e disperate. Non molto diverso da quello costruito dagli israeliani in Palestina. Non è davvero credibile, come sembrano convinti moltissimi commentatori, che il riaccendersi dei fuochi sia semplicemente dovuto al fatto che il Sinn Fein non ha ancora ottenuto una legge sull'uso della lingua gaelica. Che, a parte il suo limitatissimo uso propagandistico (o turistico), nessuno parla più.
Ciò che il dominio inglese ha prodotto, dalla politica delle plantations2 ad oggi, sono antagonismi tra le due comunità che difficilmente si possono risolvere sotto il prepotente controllo di Sua Maestà. L'isola dominante è probabilmente stanca di tenersi questa fettina di Irlanda che ormai la sta solo gravando di costi. Ma non può permettersi di lasciarla. Chi fino ad oggi, nel Nord Irlanda, si è sentito, ed effettivamente è stato, classe dominante, non vuole mollare lo scettro.
Oltre agli strascichi della storia, anche nel Nord Irlanda è venuta a maturazione una crisi globale i cui effetti solo parzialmente hanno risparmiato l'area. Il resto dell'isola è letteralmente sprofondato, con un governo che, terrorizzato, ha, prima ancora della Grecia, imposto ai propri cittadini sacrifici pesantissimi. A Dublino basta semplicemente guardarsi attorno camminando in centro: moltissime attività chiuse, tant* giovani a chiedere l'elemosina per strada... (mentre giriamo la città, il contrasto con l'immagine di una Dublino in pieno sviluppo che ci dà la guida che abbiamo in mano, una Lonely Planet di soli quattro anni fa, è impressionante)
Alcune zone delle 6 contee dell'Ulster, grazie al limitato salvagente inglese, in parte sono state risparmiate. Belfast centro appare poco segnata. Negozi eleganti, pub vivaci, iniziative culturali.
La Belfast dei quartieri è un altro discorso: misere casette, squallore. Da entrambo le parti (cattolici e protestanti). E la disoccupazione che inesorabilmente sale3.
L'intreccio tra effetti della crisi, disillusione rispetto ad accordi di pace che stanno cambiando troppo poco, le tradizionali organizzazioni, politiche e militari, completamente assorbite nel gioco istituzionale e separate dalla gente dei quartieri, tutto ciò può aver concorso alla maturazione della rabbia liberata in queste giornate di luglio. E se gli adulti sono stanchi e preferiscono stare in disparte, i giovanissimi invece no. "Young people in this area have nowhere to go, nothing to do and that's society's fault", afferma in un'intervista al Telegraph l'ex-IRA Martin Og Meehan.
Una lotta con tratti no future forse, soprattutto perché non sembra avere chiaro per cosa si lotta (per l'unità con l'Irlanda? certo... ma essere senza casa e lavoro di qua o di là non fa ormai molta differenza).
Ma questo appare essere un aspetto comune ad altre drammatiche lunghe situazioni di conflitto.
Note:
1. Orange Order. Organizzazione protestante e unionista, fedele alla Gran Bretagna. È l'organizzatrice di The twelfth, la parata in cui gli unionisti festeggiano la vittoria della battaglia del fiume Boyne avvenuta il 12 luglio 1690, che garantì la superiorità dei protestanti nell'Ulster.
2. Plantations. Si chiama così, piantagioni. È la politica di colonizzazione dell'Irlanda del Nord operata dalla Gran Bretagna. In questo modo ha determinato un ribaltamento delle percentuali nell'area. L'Ulster è diventata un'area a maggioranza protestante.
3. Si prevedono 70000 richieste di assegni di disoccupazione per il 2012. Belfast Telegraph -b 15 luglio 2010.