«Que se cinghen todos»: così ha risposto una ragazza alla domanda su cosa pensa della Cop 16; un pensiero comune, a Cancun: tra i tassisti, per esempio, che ti dicono che quello montato al Mool Palace – la sede del vertice sul clima – è un circo che non serve a niente; o, addirittura, che è pericoloso, perché quel che si discute là dentro non è un cambiamento capace di tutelare l'ambiente e la nostra vita, bensì uno spazio nel quale alcuni vorrebbero costruire gli strumenti per creare nuovi business.
In un contesto di generalizzata sfiducia verso il Cop 16 – anche molti delegati ufficiali sono usciti esprimendo la propria indignazione – proseguono gli incontri e i meeting organizzati dal movimento messicano; un movimento a più anime, che si confronta all'interno dell'Acampamiento de La Via Campesina e nello Spazio Messicano di Dialogo Climatico, ma che domani dovrebbe incontrarsi nello stesso luogo per ascoltare il presidente boliviano Evo Morales, annunciato in arrivo tra i campesinos e gli indigeni e qui idenficato come il portavoce dell'Accordo dei Popoli di Cochabamba all'interno del Cop 16.
Nel frattempo, nel quartiere hotelero di Cancun – come sempre blindato, in una città presidiata da 30 mila agenti delle forze di polizia – arrivano i ministri, mentre tra i capi di stato e di governo c'è stato un generalizzato forfait; di fronte al fallimento annunciato del vertice, molti protagonisti della politica internazionale hanno deciso di cancellare dalla propria agenda la triste città affacciata sul Golfo del Messico. Tra gli arrivati, anche il ministro italiano Prestigiacomo – che interverrà domattina – la quale naturalmente si è guardata bene dall'uscire dalle stanze dell'hotel nel quale è ospitata con tutto il codazzo della diplomazia tricolore.
Il Segretario dell'Onu Ban Ki Mun – che ieri aveva richiamato tutti a uno sforzo per trovare soluzioni – oggi ha presentato il rapporto sulla finanza annunciando un nuovo fondo sul clima. Intanto, gli statunitensi sono sempre più in difficoltà a causa delle mosse cinesi – appoggiate subito da Cina, Brasile, Sud Africa e altri paesi – mentre l'accordo di Kyoto rischia di essere affondato dalla posizione assunta nei giorni scorsi dal Giappone e che continua a essere molto dibattuta.
Questa mattina, invece, la concessionaria locale della Fiat è stata oggetto di un'azione comunicativa da parte della delegazione italiana di Rigas, che ha esposto due striscioni ricordando che, come in Messico, anche in Italia le trabajadoras e i trabajadores si vedono i salari abbassati e i diritti negati da chi – e in questo caso parliamo di Marchionne – vorrebbe costruire un modello fondato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura.
Ma anche Marchionne ha poco da sorridere; perché a farsi avanti a tutto campo – ormai non più semplicemente all'orizzonte – è la Cina. Lo racconta una bella rivista, China Today, una rivista politica cinese stampata su carta patinata e in lingua inglese e distribuita gratuitamente a Cancun, tra i 18 mila delegati ufficiali.
La rivista racconta che nel paese dei dragoni di grandi comparti industriali in cui lavorano decine di migliaia di lavoratori della compagnia Yingli – sponsor ufficiale dei mondiali di calcio in Sudafrica - con turni lavorativi di 12 ore e sette giorni su sette e in cui la lavorazione del silicio (lavorazione energivora ed idrovora) avviene nella totale deregulation di qualsiasi parametro di limite di emissione e di sicurezza del lavoro.
Nei Paesi dell’Unione Europea le normative in materia ambientale applicabili a questo tipo di lavorazione tendono a minimizzare l’acqua utilizzata e le emissioni del processo produttivo.
In Cina la situazione è alquanto differente. Per produrre un Megawatt (MWp) di solare fotovoltaico con tecnologia al silicio cristallino si necessitano oggi di circa 250 litri di acqua, ovvero circa 1.875.000 litri all’anno per ogni MWp prodotto.
Tenendo conto che la scala media delle imprese cinesi si aggira sul Gigawatt (Gwp, ovvero 1000 megawatt all’anno), una singola impresa cinese ha, in media, un consumo di circa 1.875 miliardi di lt/anno di acqua; per essere competitivi sul mercato, quest'acqua non viene purificata e trattata, ma smaltita direttamente nell’ambiente, con tutti gli inquinanti pericolosi di produzione. Tra questi troviamo, per esempio, l'acido cloridrico, l'acido solforico, l'acido nitrico, il silicio e numerosi metalli pesanti.
Queste fabbriche cinesi nascono come funghi attraverso meccanismi di accesso al credito iperagevolati e garantiti dal governo cinese: il tasso d’interesse del prestito cinese è di circa il 3% all’anno con tempi di rientro dei prestiti di decine di anni, se non addirittura a fondo perduto. Per contro in Europa, ad esempio, i prestiti sono circa con il 7% di interesse con tempi di rientro dai tre ai cinque anni.
E' su queste basi che si fonda la competitività cinese globale la quale, attraverso questo modo di produrre i pannelli solari, ha conquistato il mondo, tanto è vero che anche in Italia il 50% dei pannelli proviene dalla Cina e dai mercati asiatici e questa percentuale è in costante aumento.
Il mercato italiano delle installazioni fotovoltaiche è, a oggi, il secondo al mondo dopo la Germania: nel 2009 si sono installati circa 600 MWp di impianti e per il 2010 si prevedono circa 1GWp; il tutto finanziato con il meccanismo incentivante del conto energia presente con la voce A3 sulla bolletta energetica. Esiste di fatto un paradosso sostanziale: i cittadini italiani finanziano indirettamente una produzione massificata, a elevato impatto ambientale e sociale, finanziando l’insostenibilità e quindi una green economy alimentata dal turbocapitalismo cinese a reti produttive unificate e dalla speculazione finanziaria globale.
Tecnologie cosiddette rinnovabili (solare, eolico, geotermico, biomasse, idroelettrico) che diventano automaticamente non rinnovabili, ad alto impatto ambientale e sociale, garantendo la perpetuazione del sistema di produzione all’interno del medesimo modello di sviluppo capitalistico; un sistema che, però, conferma la sua insostenibilità sia per l’ambiente sia la società stessa. E la Cina ne è un chiaro esempio, con le città assediate dalla cappa di inquinamento e il territorio devastato da grandi opere.
All’interno di questo contesto la produzione energica si mantiene centralizzata, con un elevato controllo delle infrastrutture di distribuzione da parte di grandi compagnie private o statali; una situazione che impedisce la decentralizzazione e l’indipendenza energetica nei territori e nelle comunità locali.
Ruolo che la vede protagonista dei duramenti contestati "Meccanismi di Sviluppo Pulito" (CDM) del Protocollo di Kyoto, meccanismi che appellandosi all'utilizzo di tecnologie "verdi", alimentano lo sviluppo di energia nucleare, di inceneritori a co-generazione, di grandi dighe, concentrazioni di impianti fotovoltaici ed eolici non sostenibili.
E', questa, la roadmap della greeneconomy cinese espressa a Cancun, che ci spiega il ruolo sempre più centrale che sta assumendo il paese asiatico nel mondo dei vertici ufficiali.
All'orizzonte, un nuovo "imperialismo", economico, commerciale, culturale, sociale: non ci sono solo gli Stati Uniti da contestare.