Giornata intensa a Cancun, Messico. Nel mattino, infatti, si è svolta la manifestazione di Via Campesina, con migliaia di campesinos che hanno lasciato l'area che ospita il forum per attraversare la città; nel pomeriggio, poi, si è aperto anche il forum di Dialogo Climatico, organizzato dalle Ong e costruito come uno spazio di discussione e approfondimento sui temi del cambiamento climatico e delle alternative possibili. In serata, invece, si è svolta l'assemblea del collettivo “AntiCap AntiCop” con tanti giovani seduti in cerchio per discutere le azioni e le iniziative dei prossimi giorni.
La manifestazione di Via Campesina si è conclusa nel luogo in cui, nel 2003, si manifestava contro il Wto. Lo scenario, oggi, è completamente cambiato: se allora le iniziative di Cancun si inserivano nel ciclo di movimento post Seattle e Genova e nel percorso di mobilitazione contro la guerra in Iraq, oggi è la crisi globale a far da retroscena delle manifestazioni contro il Cop 16. Una crisi sistemica, epocale, che mette i movimenti davanti alla necessità di approfondire la discussione, comprendere la realtà nella sua complessità e ricercare nella pratica del comune un cammino possibile di resistenza e cambiamento.
Nello spazio allestito da Dialogo Climatico, invece, sono stati montati più tendoni che ospitano, in contemporanea, dibattiti e approfondimenti organizzati da una pluralità di movimenti e Ong del mondo e che approfondiscono alcune mobilitazioni locali. Un luogo attraversato da donne e uomini di ogni continente: ai messicani, infatti, si sono affiancati europei, nordamericani, asiatici, tra i quali molti cinesi che, però, alla proposta di un'intervista rispondevano di non poter parlare.
Molti panel hanno trattato i temi che hanno caratterizzato l'incontro dei popoli di Cochabamba: dalle migrazioni ambientali ai rifiuti, dal Redd al surriscaldamento climatico, dalla sovranità alimentare allo sviluppo sostenibile.
Un’ altro spazio di discussione si è aperto all’ interno del Foro de La Via Campesina, proposto da giovani provenienti da tutto il Messico e in particolare dal Distretto Federale, da Puebla, dal Chiapas e da molti altri luoghi e partecipato da tanti altri sudamericani e internazionali. Sono i giovani, studenti e non, dell’ “Anticap- Anticop”, che vogliono apportare un valore aggiunto alla discussione all’interno del Foro. Nel dibattito sul come mantenere indipendenza e autonomia dall'organizzazione generale e sul come contribuire alla discussione generale in maniera concreta, hanno deciso di realizzare azioni dirette, comunicative e creative, precedute da una socializzazione con gli abitanti delle periferie della città di Cancun i quali, come accade spesso, si ritrovano ai margini delle dinamiche sociali che attraversano i territori che abitano.
Nel frattempo, nell'altro pianeta del vertice internazionale sul clima che, circondato da un cordone militare, pensa di trovare soluzioni al cambiamento climatico monetizzando l'inquinamento, si cerca la soluzione all'enigma del futuro del Protocollo di Kyoto, che scade nel 2012. Dopo l'annuncio giapponese di non voler rinnovare il trattato, infatti, si moltiplicano gli sforzi per trovare una soluzione che non faccia saltare il tavolo. Ma, d'altra parte, non mancano le prese di posizione di quegli stati che denunciano l'iniquità degli accordi, ricordando che sono in troppi a non dare il proprio contributo alla riduzione del gas serra.
Ma se c'è una cosa concreta che esce dalla zona rossa creata dalla polizia messicana intorno ai palazzi del Cop 16, questa è la rabbia di tante e tanti delegati che in questa occasione ancora di più che a Copenaghen si trovano in uno spazio dove tutto avviene meno la possibilità di discutere di soluzioni concrete per contrastare il cambiamento climatico. Una rabbia che si è espressa nelle parole di tanti rappresentanti delle Organizzazioni non governative che hanno attraversano i forum dei movimenti per raccontare la propria indignazione.
Sta di fatto che il gruppo di lavoro sul Protocollo di Kyoto non ha concluso i propri lavori e più di qualcuno ha sottolineato la necessità di accelerare i negoziati; insomma, il Cop 16 affonda i piedi nelle sabbie mobili dell'impossibile ricerca di una formale governace globale.
E se il Venezuela sottolinea che tutti i temi sono sul piatto, la Bolivia ricorda che devono essere i delegati a discutere e non i gruppi di contatto politico informali in cui gli stati chiave vogliono definire l'agenda del globo. Cina, Europa, Nuova Zelanda, Egitto, Malesia e Nigeria hanno ricordato l'urgenza di rinnovare l'accordo di Kyoto, il cui rinnovo è diventato la materia formale del contendere. Negli hotel che si affacciano sulle spiagge “bianche” del Golfo del Messico regna il caos: dichiarazioni che si susseguono senza trovare concretezza e che rispecchiano lo scontro in atto tra apparati continentali, che utilizzano alleanze mobili per far valere i propri interessi e le connessioni con le corporations e i sistemi finanziari.
La delegazione dell'Alba - Venezuela, Ecuador, Nicaragua, Bolivia e República Dominicana – in una conferenza stampa rincara la dose e attacca il Cop 16 (ed i suoi documenti ufficiali in cui per ora è sparito completamente qualsiasi richiamo all'Accordo di Cochabamba) , sottolineando che alcuni stati pretendono di imporre un non-accordo che tutela soltanto i rispettivi interessi, creando così le condizioni per ripetere il fallimento di Copenhagen.
Ci sono, però, anche la buone notizie: Calderon si prepara a cambiare tutte le lampadine del Messico in quelle a basso consumo come contributo alla riduzione del consumo energetico (sic!) dopo aver ricevuto un prestito di 700 milioni di dollari dalla Banca Mondiale dei quali ben 350 milioni sono destinati a questo obiettivo. Sempre il Presidente messicano inneggia alle politiche REDD utilizzando la vendita delle quote forestali come grande contributo alla riduzione delle emissioni, o forse sarebbe più corretto dire come grande contributo alla finanziarizzazione e mercantilizzazione perfino dell'aria. ... e l'Italia, come racconta il Corriere della Sera, ha guadagnato ben tre posizioni – dal 44° al 41° - nella speciale classifica dei paesi maggiormente inquinanti del mondo stilsta in Germania. Peccato che questo “successo” è dovuto alla crisi generale che sta attraversando il globo: chiudono le fabbriche, migliaia di lavoratori restano a casa, mentre qualcuno continua ad arricchirsi. “Noi la crisi non la paghiamo” è lo slogan che ha attraversato centinaia di piazze; uno slogan che ha a che fare anche con i cambiamenti climatici. Cambiare il sistema e non il clima, perché la crisi è economica, ma anche sociale e ambientale e come si urla ancora nelle piazze italiane "il futuro è adesso".
Globalizzare la lotta, globalizzare la speranza come si dice qui dall'altro lato dell'oceano.