L'intenzione di dare continuità nella riunione di Cancun all'accordo di Copenhagen, è orientato a soddisfare non l'agenda dell'umanità di fronte agli imminenti rischi che affronta la biosfera per il riscaldamento atmosferico, ma invece i grandi interessi economico-finanziari la cui deregulation è alla base della grande crisi che si è palesata a Wall Street nel 2007 e nel disastro generalizzato del Golfo del Messico nell'aprile scorso a causa dell'esplosione del giacimento Macondo della British Petrolium: la prima catastrofe ecologica globale nel tempo della peak oil.
L'agenda della Coop 16 è quella dei sistemi finanziari tipo Goldman Sacks, Morgan Stanley e delle mega imprese del gas, del petrolio e del carbone. E' un disegno puntellato dai prestiti al governo Calderon da parte della Banca Mondiale e del BID per dar forza a nuovi “stumenti finanziari” stabiliti a Kioto e fatti propri dall'accordo di Copenhagen: il merato dei buoni di carbonio e il programma di riduzione delle emissioni per la deforestazione e la degradazione ambientale.
Tutte due funzionano basandosi sul principio, che si è rilevato infondato dal collasso di Wall Street al disastro del Golfo, che “i mercati” (leggi la classe creditrice) sotto la mano invisibile sono quelli che più adatti ad assegnare i fondi con efficienza.
Sono scelte che favoriscono la nozione che le operazioni di speculatori e di mega imprese legate al sistema energetico imperante (basato su combustibili fossili) operano in un quadro sempre più deregolato dello Stato: l'attivazione incostituzionale da parte del presidente Calderon dei “contratti incentivati” della Pemex parla chiaro. Non è l'umanità in astratto, ma gli stati metropolitani e i suoi oligopoli del petrolio, del gas, del carbone, dell'elettricità e dell'industria automobilistica, insieme a enti finanziari, imprese dell'agrobusiness e strutture organizzate per privatizzare i guadagni e socializzare i costi, quelli che spingono nell'atmosfera milioni di tonnellate di gas, tra cui il CO2, favorendo l'effetto serra.
In altri articoli si è mostrato chiaramente come il mercato dei buoni di carbonio ostacola gli sforzi nella riduzione di emissioni. Con l'incorporazione formale degli Stati uniti in questo sistema si sono accresciute le possibilità di speculare con il clima passando da investimenti di 300 milioni di dollari a 3 miliardi di dollari.
Così come i mercati privi di regolamentazione, sottoposti all'avidità di guadagni, invariabilmente collassano, anche in questi settori si accentuano speculazioni e operazioni a rischio: insieme al mercato dei buoni di carbonio si promuovono i programmi di riduzione delle emissioni, che, come dice Ana de Ita in uno studio sugli impatti nei territori contadini e indigeni del Messico e del mondo, portano con se il fatto che i paesi ricchi pagano per “mantenere” selve tropicali, sfruttando fino al 90% delle aree “sotto contratto”, e continuano a inquinare nei loro paesi. “Anche se sembra fantascienza, usando i contratti di compravendita i paesi ricchi stanno comprando dal sud del mondo la capacità dei boschi di catturare carbonio. Il mercato dei REDD permette che imprese che inquinano, tra cui alcune che sono causa di mega disastri come la Bp, la Chevron-Texaco, la Shell, comprino crediti di carbonio che provengono dalla così detta conservazione dei boschi, instaurando un nuovo modus operandi per il land grabbing nelle aree protette e attaccando i diritti di proprietà individuale e comunale con lo scopo di sottrarli a centinaia di milioni di contadini e di indigeni.
Cop 16 è una garanzia di collasso, così come intende il termine Richard Leaky nel suo testo “La sesta estinzione”, perché promuove schemi che, nel mezzo della crisi climatico inducono alla mercantilizzazione e privatizzazione del mondo, dell'atmosfera e della selva tropicale, che sono le principali fonti di biodiversità e di diminuzione dell'effetto serra. Il mercato dei buoni di carbonio e il REDD mettono il destino del termostato che controlla la temperatura terrestre (CO2) in mano a speculatori del primo mondo e a mercanti del terzo mondo.
Tratto da: La Jornada