La convocazione di un’Assemblea Costituente risulta essere l’obiettivo fondamentale del movimento di resistenza.
Il colpo di stato in Honduras ha già superato gli ottanta giorni e poco a poco cominciano a sparire le notizie di questo paese nei titoli dei grandi mezzi di comunicazione. Il pericolo che venga accettato, utilizzando la forza dei fatti, il nuovo governo honduregno e le elezioni che si stanno preparando sotto un clima di repressione, dovrebbero preoccupare i democratici di tutto il mondo.
Il silenzio internazionale sulla resistenza honduregna e le timide e contraddittorie azioni di chi dovrebbe spingere per il ritorno alla costituzionalità, non ha fatto altro che rafforzare i settori di destra, non solo di questo paese.
La settimana scorsa è stato diffusa come una gran conquista la notizia della decisione del governo nordamericano di sospendere gli aiuti economici al governo ’de facto’, ma quasi non si è parlato del Fondo Monetario Internazionale (FMI) controllato dagli Stati Uniti, che ha concesso respiro finanziario alla dittatura.
Mentre i partiti politici, che hanno sostenuto il fallimento istituzionale, hanno già iniziato senza problemi la campagna elettorale per partecipare alle elezioni del prossimo novembre, con le quali, di fatto, legalizzeranno la dittatura e le sue conseguenze.
Senza dubbio, i golpisti non hanno preso in considerazione la reazione del popolo. Oltre alla pretesa iniziale di difesa dell’ordine istituzionale e del ritorno di Manuel Zelaya alla presidenza, il popolo ha cominciato ad organizzarsi per chiedere anche una Assemblea Costituente per ampliare i diritti cittadini e garantire la partecipazione popolare.
Il Frente Nacional de Resistencia al Golpe de Estado, che è riuscito a mantenere la mobilitazione quasi quotidiana fin dallo stesso giorno della sommossa militare, è diventato un insieme di organizzazioni e sindacati che costituiscono una struttura di un movimento politico con rappresentanze in tutto il paese.
Lo scorso fine settimana, il Fronte Nazionale ha realizzato un’assemblea con rappresentanti di quasi tutti i dipartimenti del paese che, oltre a stabilire un programma di mobilitazioni, ha avanzato una piattaforma di rivendicazioni che va ben oltre al ritorno di Zelaya, e cominciato a disegnare una struttura organizzativa.
A giudicare dalle indicazioni del movimento e la dichiarazione del Frente, la convocazione di un’Assemblea Costituente è il compito fondamentale del movimento.
Il coordinatore generale del Frente Nacional Contra el Golpe de Estado, Juan Barahona, ha espresso chiaramente questo concetto: “l’Assemblea Nazionale Costituente avanza con Zelaya o senza di lui, perché è un diritto e un desiderio del popolo honduregno per trasformare la nostra società”.
Alla fine questa è pure la ragione del colpo di stato. I militari hanno preso il presidente Zelaya e lo hanno espulso dal paese lo stesso giorno che doveva esserci una consultazione pubblica, per mezzo delle urne, per prevedere la possibilità di convocare un’assemblea costituente attraverso di un prossimo referendum.
E’ stata questa consultazione del popolo e il timore di dover convocare una assemblea costituente che concedesse più partecipazione al popolo che ha provocato il colpo di stato. Successivamente l’apparato di propaganda della destra ha indicato come motivi la supposta aspirazione di Zelaya a una rielezione e presunti abusi di potere o cattiva gestione dei fondi pubblici.
I golpisti hanno fatto male i calcoli, e l’azione organizzata per frenare il desiderio di partecipazione cittadina, lo ha risvegliato ancora di più. Adesso il popolo non si mobilita solamente per il ritorno di Zelaya, ma anche e quasi principalmente, per la convocazione dell’assemblea costituente. A gennaio prossimo decade il periodo del mandato di Manuel Zelaya, cosa che mette un limite temporale alla legittima richiesta del suo ritorno. Quello che non decade è la convocazione dell’assemblea costituente.
Inoltre adesso, il popolo ha acquisito esperienza organizzativa e comincia a darsi nuove forme di associazione, indipendente dai partiti politici esistenti e radicate nelle basi della società, che garantiscono la loro stabilità.
Chiunque vincerà le elezioni, se ci saranno, dovrà fare i conti con questa forza sociale in espansione se vorrà mantenere una minima governabilità.