La rubrica dalla/sulla Cina di Paolo Do
Che l`ingresso della Cina, dieci anni fa, nel WTO abbia modificato profondamente questo paese, è innegabile. Allo stesso tempo, che tale entrata ed il nuovo protagonismo dell’Impero Celeste abbiano trasformato la stessa geografia della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, sembra fuor di dubbio.Il ruolo del nazionalismo in Cina non e’ affatto diminuito con il suo ingresso sul piano globale ma bensì rafforzato.
Questo ci dovrebbe costringere a riflettere non tanto su un nuovo protagonismo o revival dello Stato-nazione, quanto piuttosto a problematizzare l’attuale funzionamento di un anomalo Paese da oltre un miliardo e trecento milioni di persone che ha fatto del comando sulla forza lavoro e della gestione del capitale globale i suoi due assi portanti.
Laddove le conseguenze sociali dell`ingresso nel WTO e della globalizzazione rappresentano di fatto un progressivo venir meno dell’ideologia marxista- comunista come strumento di coesione sociale e spinta modernizzatrice, l`emergere del nazionalismo cinese sembra, piuttosto, una sorta di transizione nella crisi delle ideologie della rivoluzione. Non solo il controllo di un capitalismo multinazionale e monopolistico è ciò su cui si fonda la modernità della Cina, ma lo stesso capitale globale sembra aver assunto quelle stesse funzioni del comando e della sovranità una volta proprie dello Stato-nazione.
Per il comando capitalistico ed una Cina che sembra uscire dalle periferie della produzione mondiale, la rapida formazione di una nuova classe di lavoratori, completamente integrata nei circuiti globali, rappresenta la minaccia del rafforzamento di un potere della classe produttrice su scala globale.
È forse proprio per rispondere a questa minaccia che dall`Asia non hanno messo uno yuan nei bond Greci: piuttosto il fallimento. Il nome della minaccia si chiama welfare state europeo che la Cina ed un capitale multinazionale oggi, non vogliono arrischiarsi di salvare.
Oggi il comando sulla forza lavoro globale della nuova divisione del lavoro emergente passa, quindi, per la deflazione e pesanti tagli al welfare europeo, come il bilancio anti-crisi da 700 miliardi di euro descrive chiaramente. La ricetta europea non e’ altro che l`attacco alle conquiste prodotte dalle lotte operaie negli ultimi decenni: smantellamento che bisogna leggere all`interno dei nuovi rapporti di forza tra centro e periferia della produzione globale.
Con la crisi greca, ci troviamo di fronte al ridisegno di una nuova geografia dei profitti e dei poteri. Precarietà, mercificazione e progressiva privatizzazione della spesa sociale (pensioni, educazione e salute) sono non solo il nuovo terreno di accumulazione del capitale, quanto piuttosto l’emergere di un inedito sforzo multipolare per gestire una forza lavoro globale.