Commento di Francisco Lopez Barcenas da La Jornada
Sul quotidiano messicano La Jornada il 29 aprile è apparso un intervento di Francisco Lopez Barcenas, avvocato che da anni accompagna i movimenti indigeni in Oaxaca.Da La Jornada
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L’Unione del Benessere Sociale per la Regione Triqui (Ubisort) ha mantenuto la parola. Questa organizzazione paramilitare, creata dal governo dello stato di Oaxaca nel 1994 per controllare la regione Triqui, è tornata a impugnare le armi facendo sì che del sangue innocente tornasse a tingere i verdi pendii di questo territorio indigeno.
D’accordo con l’informazione che è circolata pubblicamente, dopo l’aggressione risultano due persone morte: la messicana Beatriz Cariño Trujillo, del Centro d’Appoggio Comunitario Lavorando Uniti (Cactus), e Tyri Antero Jaakkola, finlandese, mentre più di 12 attivisti risultano dispersi, senza che i compagni sappiano se sono morti, feriti o nascosti da qualche parte, in quanto avevano tentato di rifugiarsi sulla montagna per proteggersi dai proiettili assassini.
Tanta rabbia contro una carovana di persone indifese è stata originata dal fatto che gli attivisti hanno tentato di rompere l’assedio, teso dagli aggressori al municipio autonomo di San Juan Copala, per poter consegnare alimenti, vestiti e un messaggio di solidarietà ai suoi abitanti, che da alcuni mesi si ritrovano isolati e senza corrente elettrica, a causa del loro desiderio di essere autonomi, cioè liberi, cioè se stessi.
Si trattava di un’aggressione annunciata da diversi giorni. Da quando le autorità del municipio autonomo avevano informato che sarebbe arrivata una carovana, la Ubisort aveva detto che non l’avrebbe lasciata entrare e che se fossero arrivati non si sarebbe presa la responsabilità di quello che sarebbe successo. E hanno mantenuto la parola, con il terribile risultato di persone innocenti morte, ferite e disperse. Ma ci sono stati altri avvenimenti che annunciavano la repressione nella regione Triqui. Il 28 novembre dell’anno scorso lo stesso gruppo paramilitare aveva impedito che gli integranti del Fronte Popolare in Difesa della Terra (FPDT) di San Salvador Atenco arrivassero al municipio, dove avevano pianificato di realizzare la chiusura della campagna per la libertà dei loro prigionieri. In quella occasione, molti avevano pensato che ci fosse un’alleanza tra i governatori Enrique Peña Nieto, dello stato del Messico, e Ulises Ruiz Ortiz, di Oaxaca, i governatori più repressivi degli ultimi 6 anni, alleati per evitare che i due movimenti di resistenza si unissero. L’ipotesi non era tanto lontana dalla realtà, perché a partire da quella data è aumentata la repressione nei confronti del municipio, fino ad arrivare al punto attuale.
Quello stesso giorno i quotidiani della capitale di Oaxaca hanno iniziato una forte campagna di disinformazione, affermando che il municipio era arrivato al capolinea. Per dare una qualche parvenza di serietà a queste parole, gli integranti della Ubisort avevano nominato agente municipale Anastacio Juárez Hernández, fratello del leader dell’organizzazione. Nonostante le autorità locali avessero più volte smentito questa versione, la campagna proseguiva, mentre il sangue continuava a scorrere nella regione triqui. Il 29 novembre 2009, le istallazioni del municipio hanno ricevuto l’aggressione più violenta dalla loro nascita, ma non solo, perché addirittura anche l’asilo era stato preso di mira dai colpi delle armi e il piccolo Elías Fernández de Jesús era rimasto ucciso e Tomotelín e Jacinto Velasco feriti, così come un altro bimbo dall’identità sconosciuta. Quello stesso giorno gli aggressori avevano posizionato dei rinforzi all’altezza della comunità La Sabana, lo stesso luogo in cui è stata aggredita martedì la carovana degli attivisti, con la chiara intenzione di tendere un agguato agli abitanti del luogo.
Dopo essersi assicurati che il municipio fosse isolato, hanno assestato quello che pensavano fosse il colpo definitivo. Il 10 dicembre, armati pesantemente e accompagnati da diverse persone, hanno sgomberato le autorità autonome del municipio e vi hanno istallato un posto di guardia permanente. Sono rimasti lì fino al 10 marzo, giorno in cui un gruppo di donne e bambini che appoggiano il municipio e le sue autorità hanno bloccato l’istallazione di guardia in un momento di minor vigilanza; siccome i paramilitari non sono riusciti a ritornarvi, hanno cominciato a sparare sulla comunità, ferendo la signora María Rosa Martínez, di 64 anni. La situazione si era fatta talmente pericolosa che molte famiglie hanno abbandonato San Juan Copala rifugiandosi in altri quartieri o allontanandosi dalla regione, sono state sospese le lezioni scolastiche e anche la Commissione Nazionale per lo Sviluppo dei Popoli Indigeni ha chiuso le sue sedi. Solo la chiesa è rimasta aperta; e gli abitanti dovevano muoversi con attenzione. Così stavano le cose al momento dell’aggressione alla carovana di osservazione dei diritti umani.
A vantaggio di chi va, in termini elettorali, la brutale imboscata di ieri a Oaxaca? È una domanda molto pertinente che si pone il nostro quotidiano. Le risposte possono essere varie. Una di queste, effettivamente, potrebbe essere trovata negli interessi dei diversi attori politico-elettorali della regione. Un’altra, negli interessi economici che vanno in quella direzione. Si dovrà frugare lì per vedere che cosa ne emerge. Per adesso, la cosa più importante è trovare forme per proteggere la popolazione, locale e non, dalla crudele repressione, esigere che autorità imparziali, aiutate da organi che vigilino sul loro lavoro, inizino una ricerca dei responsabili perché siano giudicati. Sfortunatamente, né nella Federazione né nello stato di Oaxaca si ha fiducia nelle istituzioni incaricate per legge a questo compito; per questo forse bisognerebbe ricorrere a istanze internazionali. Per il bene di tutti, non possiamo permettere che questa repressione rimanga impunita.