di Gennaro Carotenuto
La Pastorale della terra della conferenza episcopale brasiliana è molto preoccupata. Aumenta ogni anno dal 2006 la risoluzione violenta dei conflitti per la terra in Brasile e i tre quarti di quelli che si concludono con morti si concentrano in Amazzonia, nel Pará e nel Maranhão. L’aumento dei conflitti vuol dire che aumenta l’ingiustizia ma anche che aumenta la resistenza. Si perseguitano i difensori dei diritti umani ma mai come ora si sono liberati schiavi: oltre 11.000 persone tra 2007 e 2008 sono uscite dallo stato di schiavitù. La maggior parte di questi erano sfruttati nel più moderno dei settori agroindustriali, quello dei biocombustibili. Tra i cambiamenti più significativi, se fino a metà decennio la maggior parte dei conflitti aveva tra i protagonisti il movimento dei lavoratori senza terra (MST), negli ultimi anni al centro del maggior numero delle dispute sono venute a trovarsi le popolazioni native. In entrambi i casi il dato è significativo. I Sem Terra sono il movimento sociale più radicato e combattivo del paese e in grado di opporsi in maniera rapida ai soprusi dei latifondisti e delle multinazionali e contrattaccare occupando terre. I popoli nativi invece, sulla difensiva dagli anni ’70 e vittime di un genocidio silenzioso durante la dittatura militare, stanno recuperando protagonismo, iniziativa e capacità di contrattaccare e far valere i propri diritti ancestrali utilizzando leggi e sistema giudiziario che fino a pochi anni fa non erano alla loro portata. Oltre alla Pastorale della Terra interviene nel dibattito la ONG “Reporter Brasil”. L’organizzazione non governativa sostiene come sia risultato fallimentare il tentativo del governo di centro sinistra presieduto da Lula di fomentare una produzione dei biocombustibili con funzioni sociali e che oltre a produrre utili e rappresentare un tassello importante dell’indipendenza energetica del paese doveva anche produrre lavoro. “Il governo – secondo Marcel Gomes, coordinatore del programma di monitoraggio sui biocombustibili- pensava di sviluppare la piccola produzione dei biocombustibili fino a coinvolgere 200.000 famiglie contadine”. Non è andata così, ad oggi sono appena 30.000 le famiglie coinvolte nei programmi governativi di un paese che oramai –soprattutto con l’agroindustria- produce un miliardo di litri di biodiesel all’anno. “Sono mancati quasi del tutto gli incentivi, l’assistenza e la grande distribuzione non aveva interesse a favorire i piccoli produttori. Inoltre la soia [come avviene in altri casi come in Argentina] si è dimostrata una tipica monocoltura poco adatta alle famiglie contadine che hanno bisogno di differenziare la loro produzione per vivere. Tutto ciò rende il nostro bilancio di questa esperienza particolarmente negativo”. È senz’altro d’accordo con Gomes “Via Campesina”, il grande movimento mondiale che raccoglie 300 milioni di piccoli agricoltori di 80 paesi: “negli ultimi anni più va avanti la tecnologia agroindustriale e più cresce la fame e l’ingiustizia. Il modello agroindustriale ha aumentato la produzione agricola ma ha ridotto alla miseria gli agricoltori, aumentato l’inquinamento. L’agricoltura deve dar da mangiare a chi lavora la terra non garantire lucro agli industriali”.
Più di 500, 40, 30, 20, 10 anni dopo
ALLERTA ROSSA E CHIUSURA CARACOLES
BOICOTTA TURCHIA
Viva EZLN
Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
La lucha sigue!