Una giornata senza di loro, senza la forza lavoro che struttura l’economia francese. Al tempo stesso una giornata dove gli immigrati non si sottraggono semplicemente al meccanismo economico del Paese, scioperando, ma al contrario prendono parola, “s’engagent” come recita il loro slogan, e presidiano i municipi di Francia per rendere visibile la loro presenza ineliminabile. Non solo sul piano economico, ci tengono a precisare, ma ormai a ogni livello della società.
Ore 12 e 30: Rue de Rivoli si blocca per una buona mezz’ora, a niente servono i clacson imperterriti degli automobilisti, la protesta dei sans papier passa anche per una resistenza fisica, attraverso i loro corpi investiti direttamente dai rapporti di produzione capitalistici, diciamo noi, coloniali, dicono loro. In effetti è forse la percezione dell’eredità coloniale non ancora cancellata a risuonare da leit-motiv: il governo francese, spiegano due lavoratori di provenienza ivoriana, persiste in una politica sociale centrata essenzialmente su una logica coloniale, per cui noi contribuiamo a tutti gli effetti all’economia del Paese (lavorando e pagando le imposte) e, aspetto non trascurabile, siamo compenetrati dalla cultura francese dal momento che parliamo la loro lingua, senza che a questo corrisponda alcun riconoscimento di diritti civili e politici. Alla domanda “pensate che la discriminazione in Francia dipenda in ultima analisi da fattori economici o da una questione cultural-razziale ?” è sorprendente notare come la risposta sia trasversalmente molto decisa : “tout les deux, mais d’abord c’est un problème économique”. Rivendicazione dei diritti e analisi dei rapporti economici costituiscono dunque il binomio inscindibile attorno a cui si dipanano e si articolano da un lato la politica di regolazione dell’immigrazione nella sua interezza, dall’altro la “questione razziale”, particolarmente dibattuta in questo momento in Francia.
Tuttavia, in questa “journée sans immigrés” parigina nessun slogan, nessun cartello o discorso chiama in causa il razzismo come punto di partenza per una pratica di lotta: l’esclusione dei “sans papier”, chiarisce un lavoratore algerino, non va combattuta appellandosi alle categorie del razzismo o dell’antirazzismo ma esigendo piuttosto rispetto e riconoscimento politico-sociale per tutti i lavoratori. Su questo aspetto, in realtà, sarebbe opportuno intavolare una discussione che comprendesse i soggetti molteplici di ciò che Etienne Balibar definisce l’odierna “underclass” , (ossia tutti gli individui che si trovano investiti, per ragioni disparate, da meccanismi di esclusione, senza che questo si riveli condizione sufficiente per attivare una coscienza di classe, né tanto meno un internazionalismo delle lotte) insieme a tutti coloro che oggi, in Francia, in Italia e in Europa, hanno scioperato, non come atto di pura solidarietà ma nell’ottica di una condivisione delle pratiche (sempre eterogenee) di resistenza, e delle loro ragioni (sempre specifiche ma al contempo generalizzabili). In effetti, il ritorno della razza sulla scena della riflessione teorica dovrebbe spingere a pensare se, e fino a che punto, si tratti di un campo concettuale che possa oggi funzionare da strumento “strategico” in mano ai sans papier, per combattere il regime di razionalità europeo relativo sia alle politiche migratorie, così come ai rapporti tra cittadinanza-lavoro-territorio; o se invece sia, quello della razza, un elemento sempre ricodificabile dal potere stesso.
Tornando all’evento odierno, la rilevanza politica di questo primo marzo va cercata proprio nel sostegno esterno che si è ricercato ed effettivamente riscontrato: le indicazioni degli organizzatori erano quelle di astenersi da qualunque attività lavorativa nelle ore dei sit-in, di scendere in piazza al fianco degli immigrati e di non contribuire in nessun modo all’economia nazionale, ovvero di non acquistare prodotti di alcun genere per l’intera giornata. Forse, analizzando meglio, non è corretto parlare di “sostegno”, tanto meno di “solidarietà”. O comunque non è quella l’ottica che può aiutarci a leggere le poste in gioco della “journée sans immigrés”: non si è trattato soltanto di appoggiare la lotta e le rivendicazioni portate avanti dai sans papier, elemento indubbiamente presente; l’idea che mi sembra sia stata sottoposta a una sorta di verifica pratica, va ben oltre, avanzando la tesi secondo cui oggi non è più possibile intraprendere una lotta, per quanto specifica essa sia, senza collocarla entro una rete, una griglia di resistenze eterogenee, che si trovano sempre di più tra loro interdipendenti. Chi di noi, a ben vedere, è totalmente esterno ai meccanismi di esclusione sociale che agiscono in maniera differenziale? E, seconda ragione, fino a che punto è possibile tracciare una linea di confine netta tra immigrati e non, tra cittadini e non ? Infine, dal punto di vista economico si intrecciano due aspetti che determinano l’importanza di una giornata senza immigrati che è stata anche una giornata senza (alcuni) dei non migranti: scioperando, i cittadini francesi hanno sottolineato i nessi sociali ed economici che ormai legano la manodopera degli immigrati alle attività professionali degli altri individui; in secondo luogo, l’adesione dei parigini si può leggere anche come modo per ribadire la trasversalità delle lotte e la loro inestricabile ibridazione reciproca: la suddivisione tra rivendicazioni salariali, lotte dei migranti, pratiche di emancipazione, e realtà dei movimenti non ha più senso, o meglio l’obiettivo è precisamente quello di adoperarci affinché non lo abbia, rendendo ogni lotta specifica un engagament non certo universale ma generalizzabile e, soprattutto, traducibile nei linguaggi delle altre forme di resistenza. In fondo, questo concetto sembra ben chiaro ai lavoratori immigrati che oggi hanno presenziato al sit in di fronte all’Hotel de Ville: “certo che le lotte possono unirsi e dialogare” argomenta uno di loro, “per noi è fondamentale che partecipino tutti i lavoratori perché questa giornata li riguarda: quello che vogliamo è il riconoscimento sociale di chiunque lavora in Francia, in Europa, indipendentemente dall’appartenenza politica o razziale”. I partiti, per l’appunto, nonostante l’appoggio formale del Partito Socialista, sono di fatto rimasti al di fuori dell’evento: Rue de Rivoli presidiata da centinaia di persone di colore, con un obiettivo politico ben preciso ma senza bandiera di riferimento, è un’immagine che destabilizza molti schemi politici, specie a sinistra.
Ore 12 e 30: Rue de Rivoli si blocca per una buona mezz’ora, a niente servono i clacson imperterriti degli automobilisti, la protesta dei sans papier passa anche per una resistenza fisica, attraverso i loro corpi investiti direttamente dai rapporti di produzione capitalistici, diciamo noi, coloniali, dicono loro. In effetti è forse la percezione dell’eredità coloniale non ancora cancellata a risuonare da leit-motiv: il governo francese, spiegano due lavoratori di provenienza ivoriana, persiste in una politica sociale centrata essenzialmente su una logica coloniale, per cui noi contribuiamo a tutti gli effetti all’economia del Paese (lavorando e pagando le imposte) e, aspetto non trascurabile, siamo compenetrati dalla cultura francese dal momento che parliamo la loro lingua, senza che a questo corrisponda alcun riconoscimento di diritti civili e politici. Alla domanda “pensate che la discriminazione in Francia dipenda in ultima analisi da fattori economici o da una questione cultural-razziale ?” è sorprendente notare come la risposta sia trasversalmente molto decisa : “tout les deux, mais d’abord c’est un problème économique”. Rivendicazione dei diritti e analisi dei rapporti economici costituiscono dunque il binomio inscindibile attorno a cui si dipanano e si articolano da un lato la politica di regolazione dell’immigrazione nella sua interezza, dall’altro la “questione razziale”, particolarmente dibattuta in questo momento in Francia.
Tuttavia, in questa “journée sans immigrés” parigina nessun slogan, nessun cartello o discorso chiama in causa il razzismo come punto di partenza per una pratica di lotta: l’esclusione dei “sans papier”, chiarisce un lavoratore algerino, non va combattuta appellandosi alle categorie del razzismo o dell’antirazzismo ma esigendo piuttosto rispetto e riconoscimento politico-sociale per tutti i lavoratori. Su questo aspetto, in realtà, sarebbe opportuno intavolare una discussione che comprendesse i soggetti molteplici di ciò che Etienne Balibar definisce l’odierna “underclass” , (ossia tutti gli individui che si trovano investiti, per ragioni disparate, da meccanismi di esclusione, senza che questo si riveli condizione sufficiente per attivare una coscienza di classe, né tanto meno un internazionalismo delle lotte) insieme a tutti coloro che oggi, in Francia, in Italia e in Europa, hanno scioperato, non come atto di pura solidarietà ma nell’ottica di una condivisione delle pratiche (sempre eterogenee) di resistenza, e delle loro ragioni (sempre specifiche ma al contempo generalizzabili). In effetti, il ritorno della razza sulla scena della riflessione teorica dovrebbe spingere a pensare se, e fino a che punto, si tratti di un campo concettuale che possa oggi funzionare da strumento “strategico” in mano ai sans papier, per combattere il regime di razionalità europeo relativo sia alle politiche migratorie, così come ai rapporti tra cittadinanza-lavoro-territorio; o se invece sia, quello della razza, un elemento sempre ricodificabile dal potere stesso.
Tornando all’evento odierno, la rilevanza politica di questo primo marzo va cercata proprio nel sostegno esterno che si è ricercato ed effettivamente riscontrato: le indicazioni degli organizzatori erano quelle di astenersi da qualunque attività lavorativa nelle ore dei sit-in, di scendere in piazza al fianco degli immigrati e di non contribuire in nessun modo all’economia nazionale, ovvero di non acquistare prodotti di alcun genere per l’intera giornata. Forse, analizzando meglio, non è corretto parlare di “sostegno”, tanto meno di “solidarietà”. O comunque non è quella l’ottica che può aiutarci a leggere le poste in gioco della “journée sans immigrés”: non si è trattato soltanto di appoggiare la lotta e le rivendicazioni portate avanti dai sans papier, elemento indubbiamente presente; l’idea che mi sembra sia stata sottoposta a una sorta di verifica pratica, va ben oltre, avanzando la tesi secondo cui oggi non è più possibile intraprendere una lotta, per quanto specifica essa sia, senza collocarla entro una rete, una griglia di resistenze eterogenee, che si trovano sempre di più tra loro interdipendenti. Chi di noi, a ben vedere, è totalmente esterno ai meccanismi di esclusione sociale che agiscono in maniera differenziale? E, seconda ragione, fino a che punto è possibile tracciare una linea di confine netta tra immigrati e non, tra cittadini e non ? Infine, dal punto di vista economico si intrecciano due aspetti che determinano l’importanza di una giornata senza immigrati che è stata anche una giornata senza (alcuni) dei non migranti: scioperando, i cittadini francesi hanno sottolineato i nessi sociali ed economici che ormai legano la manodopera degli immigrati alle attività professionali degli altri individui; in secondo luogo, l’adesione dei parigini si può leggere anche come modo per ribadire la trasversalità delle lotte e la loro inestricabile ibridazione reciproca: la suddivisione tra rivendicazioni salariali, lotte dei migranti, pratiche di emancipazione, e realtà dei movimenti non ha più senso, o meglio l’obiettivo è precisamente quello di adoperarci affinché non lo abbia, rendendo ogni lotta specifica un engagament non certo universale ma generalizzabile e, soprattutto, traducibile nei linguaggi delle altre forme di resistenza. In fondo, questo concetto sembra ben chiaro ai lavoratori immigrati che oggi hanno presenziato al sit in di fronte all’Hotel de Ville: “certo che le lotte possono unirsi e dialogare” argomenta uno di loro, “per noi è fondamentale che partecipino tutti i lavoratori perché questa giornata li riguarda: quello che vogliamo è il riconoscimento sociale di chiunque lavora in Francia, in Europa, indipendentemente dall’appartenenza politica o razziale”. I partiti, per l’appunto, nonostante l’appoggio formale del Partito Socialista, sono di fatto rimasti al di fuori dell’evento: Rue de Rivoli presidiata da centinaia di persone di colore, con un obiettivo politico ben preciso ma senza bandiera di riferimento, è un’immagine che destabilizza molti schemi politici, specie a sinistra.