Il nauseante, avvilente dibattito sull'identità nazionale ha esasperato la maggior parte della popolazione francese e nei mesi scorsi innumerevoli e incessanti sono stati i rifiuti di accettare il clima malsano e ambiguo nei confronti degli immigrati imposto dal ministro dell'interno Brice Hortefeux e poi da quello dell'immigrazione, Eric Besson.
La giornata simbolica "24 ore senza di noi" indetta con un appello del collettivo omonimo ai cittadini "coscienti del contributo degli immigrati" ad aderire e partecipare ad un boicottaggio economico il 1 marzo nasce in reazione alla goccia che ha fatto traboccare il vaso. Una cascata di attacchi viscerali contro gli stessi valori della 'République', come se non bastasse la stigmatizzazione sistematica di tre generazioni di cittadini francesi di origine straniera.
A questo collettivo si sono accorpate le diverse e storiche associazioni di solidarietà con i sans-papiers ma la dilatazione vera a propria dell'iniziativa è avvenuta grazie all'intervento di un cospicuo gruppo di professionisti del cinema che ha realizzato un film collettivo di tre minuti deciso a fine gennaio durante un picchetto di sciopero che stava per essere caricato dalla polizia (www.collectifdescineastespourlessanspapiers.com).
Il cortometraggio, che sarà diffuso in 500 sale la prossima settimana e prima delle elezioni regionali, ha rotto il silenzio sullo sciopero ad oltranza dei sans-papiers andando a filmare i lavoratori che non vogliono restare invisibili.
In realtà, loro i documenti li hanno ma non il permesso di soggiorno!
Ricevono salario e sono iscritti nelle liste di occupazione, versano le trattenute per la malattia e la pensione, pagano regolarmente le tasse e l' affitto ma non hanno il 'papier' indispensabile per vivere legalmente sul territorio francese. Si arrangiano, ciascuno a modo suo, permessi falsi, o veri ma prestati in 'affitto' mensilmente. Oppure non li hanno proprio. In Francia la percentuale di lavoratori 'sans-papiers' è altissima in tutti settori, dai servizi, dalle pulizie ai trasporti, nell'agricoltura e nella ristorazione, nei cantieri nel commercio, rappresentano oltre il 10% della popolazione che ha un salario. Sono reclutati ad interim e le loro deplorevoli condizioni lavorative non sono un 'eccezione ma la regola. Decine di migliaia di stranieri senza un regolare permesso di soggiorno assicurano la competitività delle imprese francesi, non sono ai margini ma nel cuore della produzione nazionale e dal 2008 hanno iniziato a scioperare.
Dal 18 ottobre 2009, 6.000 sans-papiers hanno lanciato con il sostegno del sindacato confederale CGT uno sciopero nazionale trasversale a tutti i settori del mondo del lavoro per farla finita con l'arbitrio e i ricatti.
A metà dello scorso gennaio lo sciopero è stato rilanciato, non esigono una regolarizzazione di massa ma vogliono che i loro diritti vengano riconosciuti a cominciare da quello di soggiorno con una definizione chiara dei criteri di regolarizzazione e una coerenza amministrativa tra le prefetture del paese per i rilascio dei permessi.
Da anni lavorano in Francia ma se protestano, se si ammalano o se subiscono un incidente sul lavoro rischiano di essere rispediti da dove sono partiti. All'inizio, nel movimento erano quasi tutti africani, ma poi si sono aggiunti in massa i cinesi e in quest'ultimo mese anche i lavoratori kurdi. Dall'inizio dello sciopero molti vivono e dormono dove lavorano, spesso al freddo, avvolti nelle coperte sotto una tenda, senza servizi igienici. ll loro sciopero disegna il paesaggio francese delle grandi imprese e denuncia l'ipocrisia del sistema degli appalti che protegge i datori di lavoro che assumono i sans-papiers.
Protagonisti di uno sciopero lungo e ingrato: dei venti picchetti nei cantieri, nei ristoranti e catene commerciali della regione parigina se ne parla appena ed è stato urgente e necessario saper dare la voce, un viso e un corpo, far conoscere la collera e la miseria, la resistenza quotidiana di migliaia di persone che chiedono di essere rispettate e dicono "Lavoriamo qui, viviamo qui, restiamo qui."
Marina Nebbiolo